MFormazione "il FIGLIO dell'UOMO" ARGOMENTO dalla STAMPA QUOTIDIANA

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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi 2010-01-11

Giustizia / Resta il muro contro muro tra maggioranza e opposizione

Processo breve, via libera dal Senato

Il provvedimento passa ora alla Camera. Bagarre in aula, Gramazio (Pdl) lancia un faldone contro l'Idv

Le parole pronunciate ieri dal premier Silvio Berlusconi con le quali l'aggressione di piazza Duomo è stata paragonata ad alcune "aggressioni giudiziarie", saranno al vaglio della Prima Commissione del Csm, presso la quale è già stato aperto un fascicolo a tutela inerente dichiarazioni rilasciate nei mesi scorsi dallo stesso premier.

Emendamento sul reato di corruzione Preparato da Alfano per risolvere disputa interpretativa caso Mills

Il 25 febbraio la Cassazione deve confermare o no la condanna del teste pagato dal premier

Il denaro fu versato dopo la testimo-nianza: dettaglio da cui dipende la gravità del reato

Il presidente del Consiglio fa retromarcia sulle tasse: "L'attuale situazione di crisi impedisce di pensare a una riduzione delle imposte, è assolutamente fuori discussione".

Lo ha affermato, nel corso della conferenza stampa a Palazzo Chigi, il presidente del consiglio,

Silvio Berlusconi che ha invece precisato che il governo punterà a una "semplificazione di tutto il sistema tributario, per la quale - ha aggiunto - spero sia sufficiente un anno".

Un fisco "rattoppato", ingiusto, da cambiare.

"Dobbiamo porci la sfida di un grande cambiamento del sistema fiscale: l'ideale sarebbe un sistema efficace e giusto, quello che c'è adesso non è tanto efficace e non è neanche tanto giusto".

Il ministro ha ricordato che "il sistema fiscale italiano é tremendamente complicato, ci sono oltre 140 modi di prelevare e dedurre".

Ci sono sovrapposizioni incredibili, interventi che si sono accumulati negli anni.

Riforma del Fisco, 2 aliquote, 23 e 33%

Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al piano carceri e alla dichiarazione dello stato di emergenza nei sovraffollati penitenziari italiani (64.990 detenuti, a ieri, contro capienza 44.066 posti).

Processo breve da subito per i reati coperti da indulto

Alfano: "Andiamo avanti per una grande riforma costituzionale della giustizia"

Il ministro: "Prosegue anche l'iter delle leggi ordinarie". Bersani: "Così il dialogo è a rischio"

ST

DG

Studio Tecnico

Dalessandro Giacomo

40° Anniversario - SUPPORTO ENGINEERING-ONLINE

Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto, pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare.. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio..

 

Il Mio Pensiero:

Senza una vera Riforma della Giustizia, senza i mezzi, strutture, personale e senza la Giustizia OnLine, con il "Processo Breve" così come si sta imponendo al Parlamento da parte della maggioranza, di fatti viene negata giustizia a tutti i cittadini che ne avevano fatto richiesta, ed allo Stato di rendere giustizia contro lo strapotere della corruzione e delinquenza, malaffare, mafia, ecc..

Di fatti se non si adottano tutti gli strumenti per velocizzare i Processi, quelli in corso di giudizio che supereranno i limiti di tempo prescritti dalla nuova legge in discussione verranno dichiarati prescritti.

Sarà la Giustizia dei Ricchi, che grazie ai soldi adotteranno tutti i sistemi per far prolungare le udienze all'inverosimile, per mandare i processi in prescrizione.

In questo modo la Giustizia sarà Negata a chi ha promosso il giudizio, a vantaggio dei corrotti, corruttori delinquenti, contro la maggior parte della popolazione, contro le aziende sane, i lavoratori, pensionati, deboli, indifesi.

Negare la Giustizia per prescrizione di processi è peggio che avere processi lunghi, così le garanzie sono solo per coloro che delinquono , non per chi è nel giusto.

La negazione della Giustizia, con la prescrizione del processo è incostituzionale, perché non consente ai cittadini di avere pari dignità davanti alla legge e di conseguenza giustizia, contrariamente a quanto stabilito dalla Costituzione.

Nei fatti prevale la sopraffazione di chi ha compiuto il presupposto torto, non consentendo a chi si sente danneggiato di aver giustizia.

Nei fatti si garantisce in maniera distorta e prevaricante il presunto colpevole rispetto al ricorrente.

Comunque è sempre meglio avere un processo lungo nel tempo che comunque porti giustizia che una prescrizione che garantisce i delinquenti.

Così lo stato di diritto si disgregherà e si avrà l'anarchia.

Di fronte a questo sopruso è bene che i cittadini onesti facciano sentire la loro voce prima che sia troppo tardi, perché dopo si avrà paura di esprimere il proprio pensiero.

Chiunque potrà opprimerci sapendo che poi la farà franca.

E' chiaro comunque che lo stato debba attrezzarsi con tutti gli strumenti possibili per abbreviare i tempi dei processi, non a dichiararli prescritti.

Per. Ind. Giacomo Dalessandro

 

 

AVVENIRE

per l'articolo completo vai al sito internet

http://www.avvenire.it

2010-01-22

 

 

 

 

 

 

2010-01-20

20 Gennaio 2010

GIUSTIZIA

Processo breve, sì del Senato

Nuovo scontro premier-giudici

La legge sul cosiddetto "processo breve" ha ricevuto il via libera dall'aula del Senato. Il provvedimento è passato con 163 voti a favore, 130 contro e con 2 astenuti. Il testo passerà ora al vaglio della Camera. Hanno votato a favore Pdl e Lega, contrari il Pd, l'Idv, l'Udc, il gruppo Misto. In dissenso dal proprio gruppo i senatori Maritati del Pd e Musso del Pdl hanno annunciato la loro non partecipazione al voto.

Prima e dopo il voto si è registrata qualche intemperanza tra i banchi dei senatori. Dopo le dichiarazioni di voto, il gruppo dell’Idv si è alzato e ha esposto alcuni cartelli contro la norma, con i quali invitavano il presidente del Consiglio a "farsi processare". Immediata la reazione dei commessi, che però hanno avuto le loro difficoltà a togliere i cartelli dalle mani dei senatori, soprattutto da quelle di Stefano Pedica, particolarmente abile nel tenere lontano il foglio con il quale annunciava la "morte della giustizia". A un certo punto, vista la bagarre, è intervenuto in prima persona anche il senatore del Pdl Domenico Gramazio, il quale ha letteralmente lanciato il fascicolo degli emendamenti alla volta del gruppo Idv, colpendo il collega Alfonso Mascitelli. Stessa scena, ma senza lancio di oggetti, anche dopo il voto favorevole del Senato alla norma.

Il premier ancora contro i giudici. Il processo breve non è incostituzionale, di conseguenza non ci dovrebbero essere problemi per la sua promulgazione da parte del capo dello Stato, una volta che sarà stato approvato in via definitiva anche dalla Camera. Ne è convinto il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, che parlando con i giornalisti a margine di un pranzo con il card. Ruini, a poche ore dal via libera dato dal Senato alle norme sulla lunghezza dei procedimenti penali, ha anche definito le vicende giudiziarie che lo riguardano come dei veri e propri "plotoni di esecuzione".

"Sono tutti intellettualmente disonesti, non sono problemi di Berlusconi ma aggressioni al presidente del Consiglio - ha detto il Cavaliere riferendosi alle critiche dell'opposizione, secondo cui le nuove norme sono state studiate e fatte approvare velocemente proprio per consentire al premier di avvalersene nei processi che lo riguardano -. Questa è una cosa sicura e certa". E quelle delle minoranze sono "vere e proprie calunnie". "Il processo breve - ha poi sottolineato il premier - è un processo lungo, prevede tempi ancora troppo lunghi" In ogni caso, ha puntualizzato spiegando di non ritenere il provvedimento anticostituzionale, "è l'Europa che ce lo chiede. E c'è la Costituzione che ci dice che i processi debbono avere tempi certi e ragionevoli".

Ma il Berlusconi imputato cosa farà? - gli hanno poi chiesto i cronisti. Parteciperà ai processi che lo riguardano? "I miei avvocati insistono a dire che mi troverei di fronte a dei plotoni di esecuzione. - ha replicato il premier -. Non so se andrò, stiamo discutendo".

 

 

 

 

 

 

2010-01-15

 

 

BARI

Napolitano, "No a riforme

a colpi di maggioranza"

"Faccio appello alla consapevolezza che non dovrebbe ormai mancare tra le forze politiche e sociali della assoluta necessità di lavorare e di riformare, anche per l'Università, in un'ottica di lungo periodo e non sulla base di impostazioni contingenti, asfittiche, di corto respiro, cui corrispondano conflittualità deleterie": lo afferma il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel corso del suo intervento dell'inaugurazione dell'anno accademico dell'Università di Bari.

"I principi dominanti della nostra civiltà e gli indirizzi supremi della nostra futura legislazione, siano sanciti in norme costituzionali affinchè siano sottratti all'effimero gioco di semplici maggioranze parlamentari": lo afferma il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, citando quanto Aldo Moro disse presso l'Assemblea Costituente. Il capo dello Stato è oggi a Bari per presenziare alla cerimonia di intitolazione dell'Università del capoluogo pugliese allo statista democristiano.

 

 

 

 

2010-01-14

14 Gennaio 2010

IL FACCIA A FACCIA

"Patto tra Berlusconi e Fini

per una maggiore concertazione"

Tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini è stato preso "un impegno a una maggiore concertazione non solo sugli aspetti del partito, su cui c'è sempre stata, ma anche sulle iniziative di governo e per quello che riguarda l'attività parlamentare". È quanto dice Ignazio La Russa al termine del confronto a Montecitorio tra il premier e il presidente della Camera

L'ex leader di An, cofondatore del Pdl assieme al Cavaliere, aveva più volte preso le distanze dal governo e per questo era stato duramente attaccato anche dal Giornale, il quotidiano della famiglia Berlusconi, che lo aveva sostanzialmente accusato di essere un traditore.

 

 

 

 

 

14 Gennaio 2010

IL PALAZZO E IL PAESE

Berlusconi: taglio delle tasse non quest’anno

Contrordine: "la crisi rende impossibile procedere a un taglio delle tasse". Silvio Berlusconi mette la parola fine al dibattito, da lui stesso avviato nei giorni scorsi, sulla riforma fiscale. L’aumento del debito pubblico comporta una spesa per maggiori interessi di 8 miliardi l’anno, ha sottolineato il presidente del Consiglio, e in questa situazione è "fuori discussione" pensare a una riduzione del prelievo ora. Lo stop del premier è arrivato subito dopo il Consiglio dei ministri in una conferenza stampa a Palazzo Chigi ed ha offerto il destro all’opposizione per attaccare il governo, accusato dal leader del Pd Pierluigi Bersani di "giravolte" e di "irresponsabilità".

Con un Berlusconi che sposa la linea "rigorista" di Giulio Tremonti, ieri è toccato al ministro dell’Economia fare un po’ la parte del Berlusconi: "L’attuale sistema fiscale non è efficace né tanto giusto e dobbiamo porci la sfida di una grande cambiamento", ha detto il ministro parlando in Tv. La sorpresa però è durata poco perché Tremonti ha subito chiarito di non poter fissare alcuna scadenza sui tagli perché "non possiamo fare follie" e ha precisato che l’impegno alla riforma è subordinato a tre condizioni: la crisi, la tenuta dei conti pubblici e la compatibilità con il quadro della Ue. Pochi margini di manovra anche sull’Irap, la tassa sulle attività produttive di cui si era proposta la riduzione nei mesi scorsi: è tra le tasse che hanno "peggiorato" il sistema fiscale, ha detto il ministro, ma ora che c’è "è difficile tornare indietro".

Proprio ieri i dati resi noti dall’Economia hanno certificato un calo delle entrate tributarie del 3,9% nei primi 11 mesi 2009. Emerge un primo dato positivo sul debito pubblico, a novembre sceso leggermente in valore assoluto. Ma l’indebitamento cumulato resta di oltre 7 punti superiore a quello di fine 2008 e la caduta del Pil l’anno scorso fa presumere un sensibile aumento dei rapporti tra debito, deficit e prodotto: sono i numeri che più contano in sede europea.

È in questo quadro che Berlusconi, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha tirato il freno con toni perentori: "L’attuale situazione di crisi non comporta nessuna possibilità di riduzione delle imposte.

Abbiamo avuto – ha detto il premier – un calo delle entrate negli ultimi mesi, una diminuzione del 5% del nostro Pil e questo ci ha costretto a un deficit annuale che è andato a sommarsi al debito ereditato e che comporterà per quest’anno e per gli anni a venire, una maggiore spesa per interessi di 8 miliardi di euro all’anno". Tramonta così il progetto delle sole due aliquote Irpef e il rinvio per ora senza scadenza colpisce anche il quoziente familiare: "Ribadisco che il quoziente resta un nostro impegno" come promesso nella campagna elettorale, ha assicurato il premier, è il primo intervento da fare ma adesso "non c’è nessuna possibilità".

Berlusconi poi ha spostato il tiro sulla semplificazione del sistema impositivo, alla quale il governo sta lavorando. "Siamo di fronte a un caso che si impone, i commercialisti si mettono le mani nei capelli per la complessità di interpretazione delle norme fiscali. Ci vuole una semplificazione, non so se sarà sufficiente un anno".

Nonostante la frenata Tremonti è convinto comunque che il dibattito sulla riforma fiscale vada avviato, coinvolgendo oltre alla politica le parti sociali e il mondo accademico (un primo appuntamento sarà all’Aquila). Serve un sistema fiscale "più giusto ed efficace", ha detto il ministro, quello attuale è stato disegnato negli anni Sessanta e da allora "tutto è cambiato". Un progetto, però, più di prospettiva che di stretta attualità politica.

Per l’opposizione così il governo ha fatto un’altra "giravolta" sulle tasse dopo avere "fatto propaganda sulla riforma". "Quando si parla di interventi per le famiglie e il lavoro, la crisi non c’è – ha commentato il segretario del Pd Bersani – quando invece si parla di ridurre le tasse la crisi c’è. "Credo – ha aggiunto – che questo sia un modo irresponsabile di governare.

È proprio per fronteggiare la crisi che dobbiamo riorganizzare il fisco e potenziare la capacità di consumo". Lapidario Antonio Di Pietro: sui taglia fiscali "Berlusconi confessa di avere preso in giro gli italiani", ha detto il capo dell’Idv. Per il segretario della Cisl Raffaele Bonanni, "sarebbe un errore far slittare la discussione sulla riforma, dalla crisi si può uscire proprio con una trasformazione del sistema fiscale".

Nicola Pini

 

 

 

 

 

 

14 gennaio 2010

ROMA

Il Papa: "Chi governa

persegua il bene comune"

Crisi economica, nuovi insediamenti e periferie, oratori ed educazione dei giovani, vita, famiglia, affettività, malattia: sono stati questi i temi affrontati oggi da Benedetto XVI, nel discorso dell’udienza agli amministratori della Regione Lazio (Montino), del Comune (Alemanno) e della Provincia di Roma (Zingaretti). "La crisi che ha investito l'economia mondiale – ha esordito il Papa - ha avuto conseguenze anche per gli abitanti e le imprese di Roma e del Lazio. Allo stesso tempo, essa ha offerto la possibilità di ripensare il modello di crescita perseguito in questi ultimi anni".

"Lo sviluppo umano per essere autentico deve riguardare l'uomo nella sua totalità e deve realizzarsi nella carità e nella verità – ha proseguito -. La persona umana, infatti, è al centro dell'azione politica e la sua crescita morale e spirituale deve essere la prima preoccupazione per coloro che sono stati chiamati ad amministrare la comunità civile. È fondamentale che quanti hanno ricevuto dalla fiducia dei cittadini l'alta responsabilità di governare le istituzioni avvertano come prioritaria l'esigenza di perseguire costantemente il bene comune".

 

 

 

 

 

 

 

Il Csm apre un fascicolo su Berlusconi per la frase: pm come Tartaglia

Le parole pronunciate ieri dal premier Silvio Berlusconi con le quali l'aggressione di piazza Duomo è stata paragonata ad alcune "aggressioni giudiziarie", saranno al vaglio della Prima Commissione del Csm, presso la quale è già stato aperto un fascicolo a tutela inerente dichiarazioni rilasciate nei mesi scorsi dallo stesso premier.

La Commissione ha infatti deciso di acquisire agli atti la rassegna stampa sulle parole di Berlusconi, pronunciate ieri al termine del

Cdm, e la inserirà nel fascicolo già aperto.

14 gennaio 2010

 

 

 

 

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Economia

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14 Gennaio 2010

IL PALAZZO E IL PAESE

Berlusconi: taglio delle tasse non quest’anno

Contrordine: "la crisi rende impossibile procedere a un taglio delle tasse". Silvio Berlusconi mette la parola fine al dibattito, da lui stesso avviato nei giorni scorsi, sulla riforma fiscale. L’aumento del debito pubblico comporta una spesa per maggiori interessi di 8 miliardi l’anno, ha sottolineato il presidente del Consiglio, e in questa situazione è "fuori discussione" pensare a una riduzione del prelievo ora. Lo stop del premier è arrivato subito dopo il Consiglio dei ministri in una conferenza stampa a Palazzo Chigi ed ha offerto il destro all’opposizione per attaccare il governo, accusato dal leader del Pd Pierluigi Bersani di "giravolte" e di "irresponsabilità".

Con un Berlusconi che sposa la linea "rigorista" di Giulio Tremonti, ieri è toccato al ministro dell’Economia fare un po’ la parte del Berlusconi: "L’attuale sistema fiscale non è efficace né tanto giusto e dobbiamo porci la sfida di una grande cambiamento", ha detto il ministro parlando in Tv. La sorpresa però è durata poco perché Tremonti ha subito chiarito di non poter fissare alcuna scadenza sui tagli perché "non possiamo fare follie" e ha precisato che l’impegno alla riforma è subordinato a tre condizioni: la crisi, la tenuta dei conti pubblici e la compatibilità con il quadro della Ue. Pochi margini di manovra anche sull’Irap, la tassa sulle attività produttive di cui si era proposta la riduzione nei mesi scorsi: è tra le tasse che hanno "peggiorato" il sistema fiscale, ha detto il ministro, ma ora che c’è "è difficile tornare indietro".

Proprio ieri i dati resi noti dall’Economia hanno certificato un calo delle entrate tributarie del 3,9% nei primi 11 mesi 2009. Emerge un primo dato positivo sul debito pubblico, a novembre sceso leggermente in valore assoluto. Ma l’indebitamento cumulato resta di oltre 7 punti superiore a quello di fine 2008 e la caduta del Pil l’anno scorso fa presumere un sensibile aumento dei rapporti tra debito, deficit e prodotto: sono i numeri che più contano in sede europea.

È in questo quadro che Berlusconi, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha tirato il freno con toni perentori: "L’attuale situazione di crisi non comporta nessuna possibilità di riduzione delle imposte.

Abbiamo avuto – ha detto il premier – un calo delle entrate negli ultimi mesi, una diminuzione del 5% del nostro Pil e questo ci ha costretto a un deficit annuale che è andato a sommarsi al debito ereditato e che comporterà per quest’anno e per gli anni a venire, una maggiore spesa per interessi di 8 miliardi di euro all’anno". Tramonta così il progetto delle sole due aliquote Irpef e il rinvio per ora senza scadenza colpisce anche il quoziente familiare: "Ribadisco che il quoziente resta un nostro impegno" come promesso nella campagna elettorale, ha assicurato il premier, è il primo intervento da fare ma adesso "non c’è nessuna possibilità".

Berlusconi poi ha spostato il tiro sulla semplificazione del sistema impositivo, alla quale il governo sta lavorando. "Siamo di fronte a un caso che si impone, i commercialisti si mettono le mani nei capelli per la complessità di interpretazione delle norme fiscali. Ci vuole una semplificazione, non so se sarà sufficiente un anno".

Nonostante la frenata Tremonti è convinto comunque che il dibattito sulla riforma fiscale vada avviato, coinvolgendo oltre alla politica le parti sociali e il mondo accademico (un primo appuntamento sarà all’Aquila). Serve un sistema fiscale "più giusto ed efficace", ha detto il ministro, quello attuale è stato disegnato negli anni Sessanta e da allora "tutto è cambiato". Un progetto, però, più di prospettiva che di stretta attualità politica.

Per l’opposizione così il governo ha fatto un’altra "giravolta" sulle tasse dopo avere "fatto propaganda sulla riforma". "Quando si parla di interventi per le famiglie e il lavoro, la crisi non c’è – ha commentato il segretario del Pd Bersani – quando invece si parla di ridurre le tasse la crisi c’è. "Credo – ha aggiunto – che questo sia un modo irresponsabile di governare.

È proprio per fronteggiare la crisi che dobbiamo riorganizzare il fisco e potenziare la capacità di consumo". Lapidario Antonio Di Pietro: sui taglia fiscali "Berlusconi confessa di avere preso in giro gli italiani", ha detto il capo dell’Idv. Per il segretario della Cisl Raffaele Bonanni, "sarebbe un errore far slittare la discussione sulla riforma, dalla crisi si può uscire proprio con una trasformazione del sistema fiscale".

Nicola Pini

 

 

 

 

 

12 Gennaio 2010

L'EMERGENZA

Carceri, via libera del Cdm

al piano del governo

Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al piano carceri e alla dichiarazione dello stato di emergenza nei sovraffollati penitenziari italiani (64.990 detenuti, a ieri, contro una capienza regolamentare di 44.066 posti). Il piano predisposto dal ministro della Giustizia Angelino Alfano prevede: lavori di edilizia penitenziaria con la costruzione di nuovi istituti e nuovi padiglioni per portare la capienza a 80mila posti; detenzione domiciliare ai condannati per reati non gravi ai quali resta da espiare un anno; assunzione di duemila agenti penitenziari.

"Ci saranno delle riforme di accompagnamento che atterranno il sistema sanzionatorio e che riguarderanno coloro che devono scontare un piccolo residuo di pena", ha spiegato Alfano.Misura, questa, che dovrebbe riferirsi alla possibilità per i detenuti con un residuo di pena di un anno di andare agli arresti domiciliari. Infine, il Guardasigilli ha annunciato un aumento di organico "oltre duemila unità" della polizia penitenziaria.

Richiesto lo stato di emergenza. Il governo, ha ricordato, ha "realizzato in 18-20 mesi con grandi sforzi 1.600 nuovi posti, nei dieci anni precedenti ne erano stati costruiti circa 1.600". Ma questo non basta. "Il governo ritiene assolutamente grave la situazione nelle carceri italiane", ha spiegato Alfano. Da qui la decisione di chiedere lo stato d'emergenza, "per intervenire con la dovuta immeditezza, urgenza ed efficacia". Per il Guardasigilli, "la situazione delle carceri non è solamente un indice statistico, ma anche e soprattutto nel nostro e in tutti i paesi democratici la cifra che ne segnala la civiltà democratica", ha insistito. Ecco perchè serve "una risposta organica" e "dobbiamo immaginare una strada diversa rispetto a quella percorsa in questi 60 anni di storia repubblicana che ha sempre fatto i conti con l'emergenza nelle carceri, con il sovraffollamento indivudando sempre la stessa risposta: provvedimenti di amnistia e indulto. Trenta nei 60 anni di storia repubblicana", ha ricordato.

"L'Europa sia coinvolta". Ora, quindi, "l'intero parlamento insieme al governo è chiamato a un bivio: se percorrere nuovamente la strada di questi 60 anni, sapendo che un provvedimento attenuerebbe il fenomeno ma all'inzio del 2012 saremmo nelle stesse condizioni".Oppure, e questa è la via indicata da Alfano, "avviare strada diversa, una politica che valorizzi il sistema sanzionatorio alternativo alla detenzione, che restituisca dignità al detenuto anche attraverso il lavoro nelle carceri". Alfano poi ha sottolineato l'importanza di una strategia che coinvolga la comunità internazionale, visto che il 37 per cento dei detenuti nelle carceri italiane è straniero. "Il detenuto in Italia ha già fatto pagare un costo nel giusto processo e dunque almeno il vitto e l'alloggio li può andare a scontare in patria", ha sottolineato, per questo "ho lanciato il tema di una competenza europea in materia di istituti didetenzione".

E per questo, ha riferito, "nel mio primo incontro con i parlamentari europei di tutti i partiti chiesto una risoluzione al parlamento europeo che tenesse conto di questo presupposto". Ora, ha proseguito, "registro con soddisfazione che il parlamento europeo ha approvato una risoluzione che prevede l'intervento dell'Europa in materia carceraria". Non solo. "Nel programma di Stoccolma è stato inserito il tema delle carceri".

 

 

 

 

 

 

 

 

2010-01-12

 

12 Gennaio 2010

L'EMERGENZA

Carceri, il piano del governo:

"80mila posti e 2mila agenti"

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, porterà domani in Consiglio dei ministri il più volte annunciato piano carceri che "partendo dalla dichiarazione dello stato di emergenza", conterrà "tre pilastri" per risolvere la situazione di sovraffollamento. Al primo punto - ha detto lo stesso Alfano intervenendo in aula alla Camera nel corso della discussione di cinque mozioni - vi è un piano di edilizia penitenziaria grazie al quale la capienza delle carceri arriverà a 80mila posti (contro gli attuali 63mila di limite tollerabile, ndr). E ancora: "Ci saranno delle riforme di accompagnamento che atterranno il sistema sanzionatorio e che riguarderanno coloro che devono scontare un piccolo residuo di pena". Misura, questa, che dovrebbe riferirsi alla possibilità per i detenuti con un residuo di pena di un anno di andare agli arresti domiciliari. Infine, il Guardasigilli ha annunciato un aumento di organico

"oltre duemila unità" della polizia penitenziaria.

Richiesto lo stato di emergenza. Il governo, ha ricordato, ha "realizzato in 18-20 mesi con grandi sforzi 1.600 nuovi posti, nei dieci anni precedenti ne erano stati costruiti circa 1.600". Ma questo non basta. "Il governo ritiene assolutamente grave la situazione nelle carceri italiane", ha spiegato Alfano. Da qui la decisione di chiedere lo stato d'emergenza, "per intervenire con la dovuta immeditezza, urgenza ed efficacia". Per il Guardasigilli, "la situazione delle carceri non è solamente un indice statistico, ma anche e soprattutto nel nostro e in tutti i paesi democratici la cifra che ne segnala la civiltà democratica", ha insistito. Ecco perchè serve "una risposta organica" e "dobbiamo immaginare una strada diversa rispetto a quella percorsa in questi 60 anni di storia repubblicana che ha sempre fatto i conti con l'emergenza nelle carceri, con il sovraffollamento indivudando sempre la stessa risposta: provvedimenti di amnistia e indulto. Trenta nei 60 anni di storia repubblicana", ha ricordato.

"L'Europa sia coinvolta". Ora, quindi, "l'intero parlamento insieme al governo è chiamato a un bivio: se percorrere nuovamente la strada di questi 60 anni, sapendo che un provvedimento attenuerebbe il fenomeno ma all'inzio del 2012 saremmo nelle stesse condizioni".Oppure, e questa è la via indicata da Alfano, "avviare strada diversa, una politica che valorizzi il sistema sanzionatorio alternativo alla detenzione, che restituisca dignità al detenuto anche attraverso il lavoro nelle carceri". Alfano poi ha sottolineato l'importanza di una strategia che coinvolga la comunità internazionale, visto che il 37 per cento dei detenuti nelle carceri italiane è straniero. "Il detenuto in Italia ha già fatto pagare un costo nel giusto processo e dunque almeno il vitto e l'alloggio li può andare a scontare in patria", ha sottolineato, per questo "ho lanciato il tema di una competenza europea in materia di istituti didetenzione".

E per questo, ha riferito, "nel mio primo incontro con i parlamentari europei di tutti i partiti chiesto una risoluzione al parlamento europeo che tenesse conto di questo presupposto". Ora, ha proseguito, "registro con soddisfazione che il parlamento europeo ha approvato una risoluzione che prevede l'intervento dell'Europa in materia carceraria". Non solo. "Nel programma di Stoccolma è stato inserito il tema delle carceri".

 

 

 

 

 

 

 

2010-01-11

11 Gennaio 2010

VERTICE PDL

Giustizia, processo breve:

la maggioranza va avanti

Il disegno di legge sul processo breve sarà discusso da domani nell'aula del Senato, ma un vertice di maggioranza, convocato oggi alla presenza di Silvio Berlusconi, ha dato il via libera ad una serie di emendamenti che puntano ad eliminare alcune possibili cause di incostituzionalità, preservando però l'effetto di prescrizione sui processi al premier.

Secondo una bozza di cinque emendamenti che saranno presentati in aula domani dal Pdl, la legge prevede una diversa scansione dei tempi massimi del processo e la cancellazione delle esclusioni soggettive e oggettive contenute nel ddl originario. In particolare, i processi per reati con pena inferiore a 10 anni non possono durare più di tre anni in primo grado -- contro i due anni della precedente versione -- due anni in appello e un anno e mezzo in Cassazione. Ma nel caso la Suprema corte sancisca l'annullamento del processo con rinvio, si prevede un anno supplementare per ogni grado del nuovo processo.

Nei processi per reati più gravi, con pene dai 10 anni in su, si allungano i tempi del primo grado di giudizio, che diventano 4 anni, mentre l'appello dovrà celebrarsi sempre in due anni e un anno e sei mesi per la Cassazione. Infine, per i reati di mafia e terrorismo, la scansione si allunga; 5 anni primo grado, tre anni appello e 2 anni Cassazione, con la facoltà del giudice di prorogare questi termini fino a un terzo "ove rilevi una particolare complessità del processo o vi sia un numero elevato di imputati".

Queste norme valgono anche per i processi in corso. "Se entrasse così in vigore, la legge avrebbe sempre come effetto l'estinzione dei processi in corso per Silvio Berlusconi", ha detto una fonte del Pdl.

 

 

 

 

 

 

 

CORRIERE della SERA

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2010-01-22

E su Napolitano: "Rispettare il suo silenzio"

Processo breve, Fini apre alle modifiche

"Attendere l'esito della Camera"

"Ddl modificato in meglio al Senato, ora c'è il secondo round al Parlamento. Il giudizio va dato solo alla fine"

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Battibecco con uno studente sulla giustizia: "Hai visto Santoro?"

Gianfranco Fini (Emblema)

Gianfranco Fini (Emblema)

MILANO - "Il giudizio va dato solo alla fine dell'iter". Non si esprime il presidente della Camera Gianfranco Fini sul sì del Senato al testo sul processo breve, sottolineando che Palazzo Madama ha modificato in meglio il testo e ricordando soprattutto che ora c'è "il secondo round al Parlamento" e che "ci sarà una discussione". Un'apertura a nuove modifiche al provvedimento insomma, da parte del presidente della Camera, impegnato in una lectio magistralis a Tor Vergata: sul processo breve "modifiche sono già state fatte dal Senato" e "altre potrebbe farle la Camera". "Era certo rimproverabile costituzionalmente - ha detto Fini - che ci fossero norme valide solo per incensurati. Il Senato ha modificato". Per Fini, occorre quindi "attendere il testo finale per dare un giudizio definitivo, infatti anche la Camera potrebbe apportare altre modifiche". Rispetto a ciò che dissi sul fatto che bisognava dare più fondi alla giustizia - ha aggiunto il presidente della Camera rispondendo alla domanda di uno studente - qualcosa è avvenuto: una prima cospicua risorsa finanziaria per la macchina della giustizia è arrivata con la Finanziaria". "Anche se non sono sufficienti al 100 per cento, le risorse ci sono", ha scandito Fini, per il quale, tuttavia, "sul testo del Senato, le risorse non sono l'aspetto centrale. Ci sono - ha spiegato - alcune altre questioni che meritano di essere approfondite". "Anche se non sono sufficienti al 100 per cento, le risorse ci sono", ha scandito Fini, per il quale, tuttavia, "sul testo del Senato, le risorse non sono l'aspetto centrale. Ci sono - ha spiegato - alcune altre questioni che meritano di essere approfondite".

"GIUSTO IL SILENZIO DI NAPOLITANO" - Fini ha criticato poi quanti chiedono che il presidente della Repubblica intervenga su provvedimenti come il processo breve, in discussione in Parlamento, invitando a rispettare il silenzio di Napolitano. "Non si può ipotizzare che mentre il Parlamento lavora il capo dello Stato parli - ha detto il presidente della Camera -: pensare ad una cosa del genere significa non conoscere il nostro ordinamento perché quando il Parlamento lavora il capo dello Stato deve tacere". "Non si può chiedere" al capo dello Stato, secondo Fini "di diventare un attore politico". Pronta, in merito, la replica del leader dell'Italia dei Valori Antonio di Pietro. "Prendiamo atto della precisazione del presidente Fini in merito all'opportuno silenzio del capo dello Stato durante lo svolgimento dell'iter parlamentare di un disegno di legge - ha detto l'ex pm -. A scanso di equivoci, posto che qualche agenzia di stampa ha chiamato in causa l'Italia dei Valori, ribadiamo che noi non abbiamo mai chiesto al capo dello Stato di intervenire prima che il processo breve venga approvato dalla Camera" ha precisato Di Pietro. "Il nostro auspicio - ha poi aggiunto - è stato ed è che, una volta approvato, il presidente Napolitano non lo firmi. Questo crediamo appartenga alla sfera del diritto di parola e, soprattutto, del diritto di sperare e ci auguriamo che non ci siano tolti".

LEGITTIMO IMPEDIMENTO - Sul tema della giustizia è tornato anche il Guardasigilli Angelino Alfano, tornando a ribadire che processo breve e legittimo impedimento sono due provvedimenti "che rispondono a ragioni differenti e che andranno avanti insieme". "Non sono due ipotesi alternative - ha spiegato Alfano a margine della riunione informale di ministri europei della Giustizia a Toledo -. Il disegno di legge sul processo a data certa (io preferisco chiamarlo così perché breve non è, 8-10-12 anni non è un periodo di tempo breve) è contro l'irragionevole durata e serve per non farci condannare dall'Europa. Il legittimo impedimento - ha aggiunto - è una legge sul diritto-dovere di governare da parte di chi è stato chiamato dal popolo a governare, cioè Silvio Berlusconi oggi e chi verrà dopo di lui domani". E sul legittimo impedimento interviene anche il numero uno dell'Udc Pier Ferdinando Casini. "Il legittimo impedimento è l'unica soluzione per i problemi di Berlusconi" ha detto il leader centrista. "Mi sembra - ha aggiunto - che la posizione dell'Udc sia ragionevole".

Redazione online

22 gennaio 2010

 

 

 

Il ragazzo gli aveva chiesto conto delle dichiarazioni fatte in tv nel programma di fazio

Fini, battibecco con uno studente

Un giovane al leader della Camera: "Il processo breve non è un'indecenza?". La replica: "Hai visto Santoro?"

MILANO - È stata una lectio magistralis molto intensa quella sulla democrazia partecipativa che il presidente della Camera Gianfranco Fini ha tenuto all'Università di Tor Vergata. Al momento delle domande da parte degli studenti, uno degli universitari si è infervorato sul processo breve, chiedendo al presidente della Camera se non lo ritenga "una indecenza". Fini lo ha stoppato smorzando i toni: "Lei ha visto Santoro ieri sera eh?...".

IL BATTIBECCO - Il giovane studente ha chiesto conto a Fini della presa di posizione di qualche tempo fa da Fazio, quando il presidente della Camera sostenne che avrebbe detto sì al processo breve solo a fronte di congrue risorse alla giustizia. A quel punto Fini ha spiazzato il giovane chiedendogli: "Hai visto Santoro ieri sera?...". Poi, però, ha replicato. "Rispetto a ciò che dissi da Fazio è accaduto qualcosa in più perché in Finanziaria c'è stata una prima cospicua risorsa finanziaria per il funzionamento dell'apparato giudiziario in Italia. È un primo passo ma va nella direzione giusta". "Per quanto riguarda - ha aggiunto presidente della Camera - il testo uscito dal Senato non credo ci si debba concentrare sulle risorse perché qualcosa è migliorato. Ci sono alcune questioni che meritano di essere approfondite". Fini ha quindi osservato che oggi, visti i miglioramenti sul fronte dei fondi alla giustizia, non ripeterebbe quanto detto da Fazio ma si concentrerebbe piuttosto su altre questioni anche se "ci sono notevoli modifiche e positive che sono state fatte al Senato". "Ora - ha aggiunto - c'è il secondo round alla Camera, ci sarà un dibattito e il giudizio va dato alla fine". "È buona norma - ha concluso - attendere che l'iter sia concluso, visto che il nostro è un sistema di parlamentarismo perfetto, per dare un giudizio complessivo. Comprendo le ragioni della polemica ma a volte sono più legate alla propaganda che a una reale lettura dei testi".

 

22 gennaio 2010

 

 

 

 

2010-01-21

"È una discriminazione palese, chiunque lo può vedere"

Processo breve, Bersani: il Pdl ci ripensi

Il segretario dei democratici: dal Senato una macchia indelebile, tanti processi cancellati per salvare Berlusconi

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Berlusconi: "Contro di me plotoni di esecuzione" (20 gennaio 2010)

Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani (Eidon)

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ROMA - "Alla Camera lotteremo con forza" contro il ddl sul processo breve. Nel passaggio dal Senato a Montecitorio poi "saranno più chiari gli effetti" della legge e questo "spero potrà favorire una riflessione per la maggioranza". Lo ha detto il leader del Pd, Pier Luigi Bersani, a margine di un convegno a Montecitorio, all'indomani del provvedimento nell'aula di Palazzo Madama. Il testo, che prevede una tempistica certa per i procedimenti, secondo le forze di opposizione è stato portato avanti con urgenza solo per dare modo al premier Silvio Berlusconi di beneficiarne e avrà come effetto la cancellazione di molti processi aperti. "È un tema di discriminazione palese - ha detto Bersani - e questo può vederlo chiunque".

"MACCHIA INDELEBILE" - "Resterà una macchia indelebile anche se la battaglia riprenderà alla Camera - ha aggiunto Bersani -. Al Senato mercoledì si è fatta la cosa peggiore che si poteva fare", ovvero "distruggere la possibilità di giustizia per centinaia di migliaia di persone e cancellare centinaia di migliaia di processi per salvare una persona sola".

CSM - La prima commissione del Consiglio superiore della magistratura (Csm) valuterà se inserire anche le critiche fatte mercoeldì dal premier alle toghe nella pratica già aperta sugli attacchi di Berlusconi contro la magistratura. La presidente della commissione, Fiorella Pilato, ribadisce che "è automatico che i consiglieri prendano atto di queste nuove dichiarazioni e valuteranno se accludere alla pratica a tutela della giurisdizione". Uno dei consiglieri della commissione ha osservato che "il fascicolo sta crescendo con le dichiarazioni ormai quotidiane del presidente del Consiglio".

Redazione Online

21 gennaio 2010

 

 

 

Era stata condannata alla Corte dei Conti per alcune nomine. "Ma voglio chiarire"

Processo breve, Moratti: escludere

i reati contro pubblica amministrazione

Il sindaco vorrebbe salvare il dibattimento sui derivati e evitare la chiusura del processo che la riguarda

Il sindaco di Milano, Letizia Moratti (Fotogramma)

Il sindaco di Milano, Letizia Moratti (Fotogramma)

MILANO - Dopo la bocciatura al Senato, il sindaco di Milano Letizia Moratti chiederà alla Camera di esaminare un emendamento sul processo breve per salvare il dibattimento sui derivati del Comune di Milano e per non estinguere il processo davanti alla Corte dei Conti che l'ha già condannata assieme ai suoi assessori per il danno erariale provocato da nomine di dirigenti comunali - vedi il caso Madaffari - e giornalisti dell'ufficio stampa, nomine giudicate in primo grado illegittime.

"RIPRESENTERO' L'EMENDAMENTO" - "Riproporrò alla Camera - ha assicurato il sindaco di Milano Letizia Moratti - l'emendamento già proposto e non recepito al Senato: io ovviamente chiedo che vengano tolti dal processo breve i reati contro la pubblica amministrazione e lo Stato, quindi anche quello alla Corte dei Conti perché io voglio trasparenza e chiarezza". Da giorni le polemiche sul processo breve investono anche le ricadute sui procedimenti di natura contabile. Secondo l'opposizione, la formulazione estinguerebbe i dibattimenti davanti alla Corte dei Conti a carico dell'ex ministro della giustizia Roberto Castelli, del sindaco Letizia Moratti per le cosiddette "consulenze d'oro" e dello stesso relatore della legga a Palazzo Madama, Giuseppe Valentino.

"VOGLIO CHIAREZZA" - "Sono la prima a volere trasparenza e chiarezza - ha aggiunto Letizia Moratti, difendendo quel riassetto della squadra dirigenziale che le è costato una condanna della magistratura contabile -. Ai cittadini milanesi io ho fatto solo risparmiare: non ho aumentato le tariffe, non ho messo nuove tasse, ho aumentato la qualità dei servizi e abbiamo risparmiato 190 milioni con la riorganizzazione della macchina comunale. Perché se no non si capisce come si fa a risparmiare senza incidere sui servizi". Sul fronte invece del processo dei derivati, per il quale lunedì il gup di Milano Simone Luerti dovrà decidere la richiesta di rinvio a giudizio di quattro istituti di credito internazionali, di undici funzionari di banca, di due ex manager di Palazzo Marino accusati di truffa aggravata ai danni del Comune di Milano, il sindaco già nel novembre scorso aveva chiesto al sottosegretario Gianni Letta di stralciare quella fattispecie dai reati per i quali si applica il processo breve. (fonte Ansa)

21 gennaio 2010

 

 

 

 

 

Dopo il via libera al processo breve: "Non è incostituzionale, calunnie dall'opposizione"

"Contro di me plotoni di esecuzione"

Berlusconi e il processo Mediaset: non so se sarò in aula, gli avvocati me lo sconsigliano. E su Craxi: è nella storia

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ROMA - Il processo breve non è incostituzionale, di conseguenza non ci dovrebbero essere problemi per la sua promulgazione da parte del capo dello Stato, una volta che sarà stato approvato in via definitiva anche dalla Camera. Ne è convinto il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, che parlando con i giornalisti a margine di un pranzo con il card. Ruini, a poche ore dal via libera dato dal Senato alle norme sulla lunghezza dei procedimenti penali, ha anche definito le vicende giudiziarie che lo riguardano come dei veri e propri "plotoni di esecuzione".

"IL PROCESSO? NON E' BREVE" - "Sono tutti intellettualmente disonesti, non sono problemi di Berlusconi ma aggressioni al presidente del Consiglio - ha detto il Cavaliere riferendosi alle critiche dell'opposizione, secondo cui le nuove norme sono state studiate e fatte approvare velocemente proprio per consentire al premier di avvalersene nei processi che lo riguardano -. Questa è una cosa sicura e certa". E quelle delle minoranze sono "vere e proprie calunnie". "Il processo breve - ha poi sottolineato il premier - è un processo lungo, prevede tempi ancora troppo lunghi" In ogni caso, ha puntualizzato spiegando di non ritenere il provvedimento anticostituzionale, "è l'Europa che ce lo chiede. E c'è la Costituzione che ci dice che i processi debbono avere tempi certi e ragionevoli".

"PLOTONI DI ESECUZIONE" - Ma il Berlusconi imputato cosa farà? - gli hanno poi chiesto i cronisti. Parteciperà ai processi che lo riguardano? "I miei avvocati insistono a dire che mi troverei di fronte a dei plotoni di esecuzione. - ha replicato il premier -. Non so se andrò, stiamo discutendo".

"CRAXI PROTAGONISTA DELLA STORIA" - Berlusconi ha anche parlato di Bettino Craxi, commemorato in questi giorni. "Era un mio amico - ha commentato - : tutti hanno detto quello che lui ha portato nella politica italiana e credo che sia da annoverare tra i protagonisti della nostra storia repubblicana". Il premier ha detto di aver "molto apprezzato" le parole che il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha usato nella lettera inviata alla vedova di Bettino Craxi.

Redazione Online

20 gennaio 2010(ultima modifica: 21 gennaio 2010)

 

 

 

 

 

PROCESSO BREVE, IL Sì DEL SENATO/L’analisi

Fretta, errori e conseguenze:

manca una riforma di sistema

Norme retroattive irrazionali per i termini ancora più ridotti sui processi pendenti: con i casi Mills e diritti tv, estinti Parmalat e Antonveneta

Da 6,5 a 10 anni per un processo non sarebbero pochi, a patto di risorse commisurate. Ma senza misure coerenti e complessive sulla giustizia, e fuori da riassetti costituzionali delle immunità, spicca la norma retroattiva che farà evaporare due interi processi del premier in corso.

Mai prima d’ora in Parlamento, con pari evidenza in nessuna delle 7 leggi approvate dal 2001 dalla maggioranze di Silvio Berlusconi e poi applicate ai suoi processi, una norma retroattiva si appresta ad avere l’immediato effetto di far evaporare non due figure di reato, o due prove d’accusa, ma addirittura due interi processi del premier già a metà del loro percorso verso la sentenza di primo grado: quelli nei quali il presidente del Consiglio è imputato di frode fiscale sui diritti tv Mediaset, e di corruzione in atti giudiziari del testimone David Mills. Ascolta, una volta un giudice come me giudicò chi gli aveva dettato la legge: prima cambiarono il giudice, e subito dopo la legge. Risuona De Andrè (1973) nella legge che, approvata ieri dal Senato, paradossalmente Berlusconi fa mostra di non apprezzare perchè "prevede tempi ancora troppo lunghi, sino a 10 anni è eccessivo". Ha proprio ragione. Solo che non è il suo caso. E’ piuttosto il caso delle 465 vittime di altrettanti reati che ogni giorno in Italia restano con un pugno di mosche in mano davanti a imputati graziati dalla prescrizione. E’ il caso delle parti offese dei 12 processi che, ogni 100, "saltano" per un difetto nei 28 milioni di notifiche manuali l’anno che affannano 5mila cancellieri. Ed è il caso dei 30mila italiani che reclamano indennizzi per l’eccessiva durata dei loro processi, già costata allo Stato 118 milioni.

Non è invece il caso di una politica che finge di ascoltare l’Europa quando Strasburgo condanna la lentezza italiana (per la verità raccomandando, invece di rigide gabbie temporali, l’adeguamento di risorse proporzionali al tipo di cause), ma fa orecchie da mercante quando l’Europa condanna l’Italia a risarcire i detenuti in 2,7 metri quadrati a testa. Se almeno accompagnassero una coerente e sistematica riforma della giustizia, le controverse norme sull’estinzione dei processi troverebbero forse maggiore asilo. Anche perché tre anni per arrivare a una sentenza di primo grado, altri due per l’Appello e 18 mesi per la Cassazione non sono pochi, a patto di ben ponderare la congruità, e quindi la sostenibilità, delle attuali dotazioni della Giustizia rispetto alla nuova tempistica con la quale lo Stato vuole garantire ai cittadini, per il futuro, di non far durare tre gradi di giudizio appunto più di 6 anni e mezzo nella maggior parte dei casi (7 anni e mezzo per gli altri, 10 anni per mafia e terrorismo elevabili a 15).

Ma nessuno può ignorare la norma transitoria retroattiva che a gamba tesa cambia, a metà partita, le regole sulla cui base si stanno celebrando i processi in primo grado per reati con pene sotto 10 anni e commessi prima del 2 maggio 2006: appena in vigore, la norma transitoria ne determinerà l’estinzione se sono trascorsi 2 anni non dall’inizio del dibattimento, e neanche dal rinvio a giudizio, ma addirittura dalla richiesta del pm di rinvio a giudizio. Un totale non senso. Che però ne acquista uno solo, se si bada al fatto che il giudizio sui diritti tv Mediaset nasce da una richiesta del 22 aprile 2005, e il processo Mills da una del 10 marzo 2006: entrambi saranno dunque estinti dalla norma transitoria retroattiva. Che, come danni collaterali, falcidierà anche tutti gli altri processi nelle medesime condizioni. Quanti non si sa, ma quali, in alcuni casi, sì: per esempio la scalata Antonveneta, l’aggiotaggio Parmalat contestato ai colossi bancari mondiali, i dossier illegali Telecom e Pirelli, le truffe allo Stato sui rifiuti da parte di Impregilo, le corruzioni Enipower-Enelpower. Peccato che l’altra domanda nel testo di De Andrè, oggi un giudice come me lo chiede al potere, se può giudicare, non riesca a trovare risposta in una equilibrata disciplina costituzionale delle immunità, e in un rinnovato bilanciamento di contrappesi tra politica e magistratura a garanzia dei rispettivi terreni di autonomia: guasti sempre più profondi sarebbero risparmiati all’ordinamento, e acute tensioni smetterebbero di lacerare la società. Invece si stanno tramutando i proclami sulle "immunità" in sotterfugi di "impunità". E si sta scegliendo di mettere la colonna sonora di De Andrè (Tu sei il potere: vuoi essere giudicato? Vuoi essere assolto o condannato?) pure sotto il nuovo "calendario" dei processi.

Luigi Ferrarella

21 gennaio 2010

 

 

 

 

Cosa cambia con il processo breve

Rimborso per i processi troppo lunghi ed estinzione:

tre anni per il primo grado, due se sono in corso

Il voto finale al Senato sul processo breve (Liverani)

Il voto finale al Senato sul processo breve (Liverani)

ROMA - I processi 'lumaca' saranno rimborsati (anche se poi l'ultima parola spetterà al ministero dell'Economia) e potranno estinguersi dopo un periodo ben preciso che sarà di tre anni in primo grado, due in appello e un anno e sei mesi per la Cassazione. La 'tagliola' scatta però dopo due anni per i processi in corso su reati commessi prima del maggio 2006. È quanto prevede il ddl sul processo breve approvato da Palazzo Madama. Queste in sintesi i punti principali del provvedimento che ora passa all'esame della Camera:

EQUA RIPARAZIONE - La domanda di equa riparazione per il ritardo 'subito' con il processo dovrà essere presentata dalla parte interessata al presidente della Corte d'Appello del distretto in cui ha sede il magistrato competente. Ed entro quattro mesi la Corte D'Appello dovrà pronunciarsi sul ricorso con decreto motivato. Se viene accolto il pagamento del rimborso questo dovrà avvenire entro 120 giorni. L'opposizione contro il ricorso dovrà essere presentata entro 60 giorni. La Corte d'Appello può sospendere il pagamento "per gravi motivi".

PRESCRIZIONE - Il processo dovrà considerarsi estinto se il giudizio di primo grado non sarà concluso entro tre anni (dall'esercizio dell'azione penale da parte del Pm); entro due per l'appello ed entro un anno e sei mesi per il giudizio in Cassazione. Ma questo riguarderà solo i processi relativi a reati con pene inferiori nel massimo a 10 anni. In caso di annullamento con rinvio disposto dalla Cassazione, ogni grado di giudizio che dovrà celebrarsi di nuovo non dovrà durare più di un anno. I termini si allungano in presenza di reati più gravi: 4 anni per il primo grado; due per l'appello; un anno e sei mesi per il giudizio di merito. Fino ad arrivare ai reati di mafia e terrorismo per i quali il primo grado dovrà durare cinque anni: tre per l'appello e due per la Cassazione. Il giudice può poi aumentare tali termini fino ad un terzo se il processo è particolarmente complesso o se ci sono molti imputati. Il Pm deve esercitare l'azione penale entro tre mesi dalla fine delle indagini preliminari. Il corso dei termini è sospeso in caso di autorizzazione a procedere; se c'è impedimento dell'imputato o del difensore; per conseguire la presenza dell'imputato che deve essere estradato. Dal giorno in cui cessa la causa di sospensione i termini tornano a decorrere. Se si estingue il processo la parte civile trasferisce l'azione in sede civile e la sua azione dovrà avere priorità. L'imputato può anche non avvalersi del cosiddetto processo breve. Le norme saranno applicabili anche ai processi in corso davanti alla Corte dei Conti.

NORMA TRANSITORIA - L'estinzione processuale si applica ai processi in corso solo se sono relativi a reati indultati o indultabili, commessi cioè prima del maggio 2006, e se hanno pene inferiori a 10 anni. Ma sarà più breve di quella per i processi futuri: la 'tagliola' scatterà dopo due anni e non dopo tre. In questo modo, accusa l'opposizione, salteranno i processi Mediaset e Mills in cui è imputato il premier. Il tetto dei due anni varrà anche per i processi in corso davanti alla magistratura contabile purché siano ancora in primo grado e questo non si sia concluso in cinque anni. Non varrà invece se il giudizio contabile è già in appello (norma modificata da un nuovo emendamento del relatore Giuseppe Valentino).

(fonte: Ansa)

20 gennaio 2010

 

 

 

 

le magistrature. no a riforme che "distruggono la giustizia". Bersani: la cosa peggiore

Processo breve, via libera dal Senato

Il provvedimento passa ora alla Camera. Bagarre in aula, Gramazio (Pdl) lancia un faldone contro l'Idv

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Il presidente del Senato, Renato Schifani (Lapresse)

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ROMA - La legge sul cosiddetto "processo breve" ha ricevuto il via libera dall'aula del Senato. Il provvedimento è passato con 163 voti a favore, 130 contro e con 2 astenuti. Il testo passerà ora al vaglio della Camera.

L'IRA DELLE MAGISTRATURE - La decisione del Senato ha provocato l'immediata reazione dei magistrati che hanno dichiarato la loro contrarietà a riforme "che distruggono la giustizia". Il Comitato Intermagistrature - che riunisce la magistratura ordinaria, amministrativa e contabile e l'Avvocatura dello Stato - in una nota ribadisce le "fortissime preoccupazioni già espresse nelle più varie sedi istituzionali per il ddl sul processo breve "che rischia di produrre conseguenze devastanti sull'intero sistema della giustizia italiana".

IL PD - Duro anche il commento di Pier Luigi Bersani: "Hanno fatto la cosa peggiore che si potesse fare: distruggere migliaia di processi, lasciare senza giustizia migliaia di vittime per salvare uno solo" ha dichiarato il segretario del Pd. "Sia chiaro - aggiunge - che nessuno della maggioranza, davanti a questo scempio, potrà dire che non c'era. Per parte nostra combatteremo anche alla Camera come abbiamo fatto con vigore al Senato per mettere la maggioranza davanti alle sue responsabilità".

PDL - Opposto il giudizio del Pdl. "Vale per la sceneggiata al Senato dell'opposizione, che finge di ignorare il dramma dei processi che non finiscono mai - afferma il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone - e vale per i soliti attacchi contro Silvio Berlusconi, con la sinistra che finge di non vedere il chiaro accanimento giudiziario in atto da anni contro il premier: per l'ennesima volta, il Pd si mostra a rimorchio dell'Italia dei Valori. Di Pietro guida, e il Pd insegue, affannosamente e malinconicamente". Interviene anche Angelino Alfano: il ministro della Giustizia spiega che il ddl sul processo breve è un provvedimento "sulla ragionevole durata del processo penale", il quale "benché di iniziativa parlamentare, è sostenuto dal governo poiché deflazionando il processo penale produrrà ulteriori risparmi di spesa conseguenti all'azzeramento della legge Pinto". Sempre a proposito di giustizia, il Guardasigilli ha aggiunto che va "ripensata adeguatamente" la "struttura, la composizione e la funzione del Consiglio Superiore della Magistratura, ben oltre l'esigenza di innovarne il sistema elettorale, che può essere modificato con legge ordinaria".

LE DICHIARAZIONI DI VOTO - Al voto del Senato sul processo breve si era arrivati dopo una lunga discussione.Le dichiarazioni di voto erano iniziate attorno alle 12. "Fermatevi finchè siete in tempo" ha sottolineato Gianpiero D'Alia, capogruppo dell'Udc, tra i primi ad intervenire. "Restano in piedi incongruenze e storture - ha sottolineato il senatore centrista - come possiamo votare questa amnistia? Noi voteremo contro". "Forse un giorno chiederete scusa ai cittadini - ha detto poi Luigi Li Gotti dell'Italia dei Valori - ma sarà troppo tardi". Li Gotti, che ha ricordato "le tante leggi ad personam approvate solo nell'interesse di Berlusconi" e che ha parlato di "una norma che non esiste in nessuna parte del mondo", ha poi sottolineato come proprio nell'aula del Senato si è irrisa da parte di alcuni deputati, "così come i mafiosi brindarono alla morte di Falcone e Borsellino" alla notizia di possibili attentati contro il pm palermitano Ingroia.

"RAGIONEVOLE DURATA" - Il senatore Federico Bricolo, della Lega Nord, ha fatto invece notare come le norme in discussione erano in realtà sostenute da molti esponenti del centrosinistra prima che si scoprisse che erano applicabili anche a uno dei processi che riguardano Berlusconi. E ha ribadito che la ratio delle nuove norme è puntare alla "ragionevole durata del processo". Stesso concetto ribadito dal capogruppo del Pdl, Maurizio Gasparri: "Ma è davvero breve questo processo - si è chiesto l'ex ministro ricordando che le nuove norme prevedono comunque che nei casi di reati più gravi i termini per il giudizio possano arrivare fino a 15 anni -? Circa 500 processi al giorno spariscono per prescrizione, questa legge vuole imporre alla magistratura di celebrarli i processi". L'impatto di questa legge -ha poi ricordato Gasparri - sarà solo sull'1% del 3,5 milioni di processi aperti attualmente in Italia.

"CONSEGUENZE PER I CITTADINI" - "Non siete stati capaci di dimostrare che questo provvedimento non avrà conseguenze per i cittadini - ha invece evidenziato la capogruppo del Pd, Anna Finocchiaro -. Con il processo breve decretate la fine di migliaia di processi penali e quindi ci sarà una denegata giustizia per migliaia di cittadini". La Finocchiaro ha poi ricordato il precedente della legge ex Cirielli (che fu disconosciuta dal suo stesso relatore) che fece schizzare verso l'alto il numero delle prescrizioni.

IL PIDIELLINO DISSIDENTE - Enrico Musso, del Pdl, è intervenuto per prendere le distanze dal provvedimento, riconoscendolo di fatto come una legge ad personam, anche se nel poco tempo concessogli dal presidente Schifani non ha mancato di bacchettare la minoranza per non riconoscere la bassa produttività delle toghe. "La maggioranza ha sbagliato a non ammettere pubblicamente che c'erano due obiettivi - ha detto Musso - : quello della ragionevole durata del processo e quello che è diventato una specie di agenda nascosta, e cioè la tutela del presidente del Consiglio". Musso ha poi deciso di non partecipare al voto per evitare che la sua posizione fosse strumentalizzata . Anche Alberto Maritati del Pd ha deciso di non prendere parte al voto di quello che ha definito "uno scellerato disegno di legge": "Voglio - ha detto - che sia anche fisicamente sancita la mia distanza da questo provvedimento".

BAGARRE IN AULA - Prima e dopo il voto si è registrata qualche intemperanza tra i banchi dei senatori. Dopo le dichiarazioni di voto, il gruppo dell’Idv si è alzato e ha esposto alcuni cartelli contro la norma, con i quali invitavano il presidente del Consiglio a "farsi processare". Immediata la reazione dei commessi, che però hanno avuto le loro difficoltà a togliere i cartelli dalle mani dei senatori, soprattutto da quelle di Stefano Pedica, particolarmente abile nel tenere lontano il foglio con il quale annunciava la "morte della giustizia". A un certo punto, vista la bagarre, è intervenuto in prima persona anche il senatore del Pdl Domenico Gramazio, il quale ha letteralmente lanciato il fascicolo degli emendamenti alla volta del gruppo Idv, colpendo il collega Alfonso Mascitelli. Stessa scena, ma senza lancio di oggetti, anche dopo il voto favorevole del Senato alla norma.

IL PRESIDIO "VIOLA" - Fuori da Palazzo Madama si sono invece riuniti in presidio quelli del popolo "viola", gli stessi del No-B-Day, che si sono autoconvocati con passaparola in concomitanza con la discussione in aula "Non ci stiamo - hanno spiegato - a rimanere in silenzio di fronte ad un Parlamento che, invece di occuparsi dei problemi del Paese, approva la diciottesima legge ad personam in 16 anni. Una legge, tra l'altro, con dubbi di costituzionalità molto accentuati".

Redazione Online

20 gennaio 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2010-01-20

Giustizia / Resta il muro contro muro tra maggioranza e opposizione

Processo breve, via libera dal Senato

Il provvedimento passa ora alla Camera. Bagarre in aula, Gramazio (Pdl) lancia un faldone contro l'Idv

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Processo breve, Bersani: avanti così e finiremo su Avatar (19 gennaio 2010)

L'Anm: il provvedimento metterà in ginocchio la Giustizia (12 gennaio 2010)

Il presidente del Senato, Renato Schifani (Lapresse)

Il presidente del Senato, Renato Schifani (Lapresse)

ROMA - La legge sul cosiddetto "processo breve" ha ricevuto il via libera dall'aula del Senato. Il provvedimento è passato con 163 voti a favore, 130 contro e con 2 astenuti. Il testo passerà ora al vaglio della Camera.

LE DICHIARAZIONI DI VOTO - Le dichiarazioni di voto erano iniziate attorno alle 12. "Fermatevi finchè siete in tempo" ha sottolineato Gianpiero D'Alia, capogruppo dell'Udc, tra i primi ad intervenire. "Restano in piedi incongruenze e storture - ha sottolineato il senatore centrista - come possiamo votare questa amnistia? Noi voteremo contro". "Forse un giorno chiederete scusa ai cittadini - ha detto poi Luigi Li Gotti dell'Italia dei Valori - ma sarà troppo tardi". Li Gotti, che ha ricordato "le tante leggi ad personam approvate solo nell'interesse di Berlusconi" e che ha parlato di "una norma che non esiste in nessuna parte del mondo", ha poi sottolineato come proprio nell'aula del Senato si è irrisa da parte di alcuni deputati, "così come i mafiosi brindarono alla morte di Falcone e Borsellino" alla notizia di possibili attentati contro il pm palermitano Ingroia.

"RAGIONEVOLE DURATA" - Il senatore Federico Bricolo, della Lega Nord, ha fatto invece notare come le norme in discussione erano in realtà sostenute da molti esponenti del centrosinistra prima che si scoprisse che erano applicabili anche a uno dei processi che riguardano Berlusconi. E ha ribadito che la ratio delle nuove norme è puntare alla "ragionevole durata del processo". Stesso concetto ribadito dal capogruppo del Pdl, Maurizio Gasparri: "Ma è davvero breve questo processo - si è chiesto l'ex ministro ricordando che le nuove norme prevedono comunque che nei casi di reati più gravi i termini per il giudizio possano arrivare fino a 15 anni -? Circa 500 processi al giorno spariscono per prescrizione, questa legge vuole imporre alla magistratura di celebrarli i processi". L'impatto di questa legge -ha poi ricordato Gasparri - sarà solo sull'1% del 3,5 milioni di processi aperti attualmente in Italia.

"CONSEGUENZE PER I CITTADINI" - "Non siete stati capaci di dimostrare che questo provvedimento non avrà conseguenze per i cittadini - ha invece evidenziato la capogruppo del Pd, Anna Finocchiaro -. Salteranno molti processi e non sarà fatta giustizia". La Finocchiaro ha ricordato il precedente della legge ex Cirielli che fece schizzare verso l'alto il numero delle prescrizioni.

IL PIDIELLINO DISSIDENTE - Enrico Musso, del Pdl, è intervenuto per prendere le distanze dal provvedimento, riconoscendolo di fatto come una legge ad personam, anche se nel poco tempo concessogli dal presidente Schifani non ha mancato di bacchettare la minoranza per non riconoscere la bassa produttività delle toghe. "La maggioranza ha sbagliato a non ammettere pubblicamente che c'erano due obiettivi - ha detto Musso - : quello della ragionevole durata del processo e quello che è diventato una specie di agenda nascosta, e cioè la tutela del presidente del Consiglio". Musso ha poi deciso di non partecipare al voto per evitare che la sua posizione fosse strumentalizzata . Anche Alberto Maritati del Pd ha deciso di non prendere parte al voto di quello che ha definito "uno scellerato disegno di legge": "Voglio - ha detto - che sia anche fisicamente sancita la mia distanza da questo provvedimento".

BAGARRE IN AULA - Prima e dopo il voto si è registrata qualche intemperanza tra i banchi dei senatori. Dopo le dichiarazioni di voto, il gruppo dell’Idv si è alzato e ha esposto alcuni cartelli contro la norma, con i quali invitavano il presidente del Consiglio a "farsi processare". Immediata la reazione dei commessi, che però hanno avuto le loro difficoltà a togliere i cartelli dalle mani dei senatori, soprattutto da quelle di Stefano Pedica, particolarmente abile nel tenere lontano il foglio con il quale annunciava la "morte della giustizia". A un certo punto, vista la bagarre, è intervenuto in prima persona anche il senatore del Pdl Domenico Gramazio, il quale ha letteralmente lanciato il fascicolo degli emendamenti alla volta del gruppo Idv, colpendo il collega Alfonso Mascitelli. Stessa scena, ma senza lancio di oggetti, anche dopo il voto favorevole del Senato alla norma.

IL PRESIDIO "VIOLA" - Fuori da Palazzo Madama si sono invece riuniti in presidio quelli del popolo "viola", gli stessi del No-B-Day, che si sono autoconvocati con passaparola in concomitanza con la discussione in aula "Non ci stiamo - hanno spiegato - a rimanere in silenzio di fronte ad un Parlamento che, invece di occuparsi dei problemi del Paese, approva la diciottesima legge ad personam in 16 anni. Una legge, tra l'altro, con dubbi di costituzionalità molto accentuati".

Redazione Online

20 gennaio 2010

 

 

 

 

Processo breve, mercoledì ok in Senato

Bersani: avanti così e finiremo su Avatar

Opposizioni all'attacco. Il Pd: norme salva premier. L'ironia del segretario. Idv occupa l'Aula per protesta

Pierluigi Bersani

Pierluigi Bersani

ROMA - Se va avanti il processo breve, "il rischio è che finiamo si Avatar. È allucinante che dobbiamo sempre discutere di questi temi. Negli altri Paesi si discute di fisco, lavoro, impresa, riforma sanitaria e difesa ambiente. Invece io temo che da noi tutta la politica finisca sulla Luna". Le battute del segretario del Pd, Pierluigi Bersani, opsite martedì sera di Ballarò, sintetizzano il clima che si respira attorno al "processo breve", il provvedimento in discussione mercoledì in Senato per ridurre la durata dei processi entro limiti prestabiliti. Norme che rappresenterebbero un aiuto indiretto per il presidente del Consiglio, che vedrebbe risolti attraverso la prescrizione alcuni dei suoi problemi giudiziari.

L'ITER DEL DDL - Mercoledì l'Aula del Senato concluderà l'esame degli emendamenti presentati al ddl sul processo breve. Le dichiarazioni di voto saranno in diretta tv, così come il voto finale sul provvedimento. L'opposizione martedì ha protestato e ribadito che si tratta di un provvedimento "per salvare il premier dai suoi processi". A fine seduta i senatori dell'Idv hanno occupato persino l'Aula sedendosi ai banchi del governo: "Vogliamo essere un presidio democratico - afferma il capogruppo Felice Belisario - in un momento in cui si fa a pezzi la giustizia solo per salvare il premier". Alla prova del voto segreto però l'opposizione non ha retto e almeno 5 senatori del centrosinistra votano ripetutamente con la maggioranza. Il Pd ha chiesto 78 voti segreti. La presidenza del Senato gliene concede solo 15. Ma alle prime tre votazioni chieste dal senatore del Pd Giovanni Legnini, è l'opposizione che va sotto: ogni volta mancano almeno 5-6 voti. I senatori della maggioranza ridono e applaudono. Di voti segreti non se ne fanno più.

NORMA TRANSITORIA - È il vero "cuore" del provvedimento, come sottolinea Felice Casson (Pd) e passa con 144 si, 125 no e tre astensioni. L'opposizione insorge dicendo che si tratta di una norma "salva-premier". Si applicherà ai processi in corso che riguardano reati indultati o indultabili con pene fino a 10 anni. La prescrizione processuale scatterà se saranno trascorsi due anni (per i processi futuri il termine è di tre anni) da quando il pm ha esercitato l'azione penale senza che si sia concluso il giudizio di primo grado. Per Giampiero D'Alia è "un'amnistia mascherata che difficilmente la Lega potrà spiegare ai suoi elettori".

IL MANTRA DEL PD - In segno di protesta, i senatori del Pd decidono di leggere tutti una stessa dichiarazione nella quale si ricorda tra l'altro che proprio martedì la Corte di Giustizia Ue ha respinto il ricorso di Cesare Previti (pur non citandone mai il nome). Una sorta di "mantra", ma il senatore del Pdl Piero Longo nel protestare contro la "litania" si confonde e critica il "tantra". Quindi recita un contro-mantra, quello degli Hare Krishna: "Hare hare krishna hare hare". La maggioranza non approva nessuna proposta di modifica dell'opposizione, neanche quella che aveva richiesto il sindaco di Milano Letizia Moratti per evitare di pagare centinaia di milioni per il processo sui derivati. La senatrice del Pd Marilena Adano interviene più volte a sostegno dell'emendamento ma inutilmente.

19 gennaio 2010(ultima modifica: 20 gennaio 2010)

 

 

 

 

 

E' SCONTRO APERTO SUL DDL VOLUTO DALLA MAGGIORANZA

Processo breve al Senato, l'Anm attacca

E il Pd insorge: faremo ostruzionismo

Palamara: "Mette in ginocchio la giustizia". Ma Bonaiuti: "Andiamo avanti con le riforme"

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Processo breve, Berlusconi accelera (11 gennaio 2010)

MILANO - Le norme sul cosiddetto "processo breve" approdano al Senato. Ma sul provvedimento, considerato dalle opposizioni l'ennesima legge "ad personam" che il centrodestra si appresta ad approvare nell'interesse di Silvio Berlusconi, è già bagarre. Il presidente dell'assemblea di Palazzo Madama, Renato Schifani, ha sospeso martedì in serata la seduta dopo un'accesa protesta dell'opposizione, che ha iniziato a battere le mani sui banchi chiedendo il ritorno del testo in commissione. Schifani ha convocato per mercoledì mattina alle 9 la conferenza dei capigruppo per discutere il dafarsi. Il Senato deve ancora cominciare a votare le pregiudiziali di costituzionalità delle nuove norme.

Luca Palamara, presidente Anm (LaPresse)

Luca Palamara, presidente Anm (LaPresse)

RIFORMA SERIA - Nel frattempo resta negativo il giudizio sul provvedimento espresso dall'Associazione nazionale magistrati. Quel provvedimento "rischia di mettere in ginocchio la già disastrata macchina giudiziaria" ha detto il presidente Luca Palamaranel corso di un'intervista a Sky Tg 24. E non solo: "Non dà giustizia alle vittime dei reati e garantisce l'impunità a chi ha commesso fatti delittuosi". E questo perché "per come è combinata la macchina giudiziaria non potremo mai definire i processi nei tempi indicati dal legislatore". "Noi per primi - ha aggiunto Palamara - vogliamo una riforma seria della giustizia che, come ha detto il capo dello Stato, tenga conto degli interessi generali per un servizio credibile agli occhi dei cittadini".

"CI METTIAMO DI TRAVERSO" - Anche il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, è contrario al progetto del governo: "Dopo la decisione presa dal governo e dalla maggioranza" di andare avanti nell'approvazione del processo breve "stiamo entrando in un tunnel pericolosissimo". "Sia chiaro - ha detto Bersani - che sulle scelte che sono annunciate noi ci metteremo di traverso. Il processo breve non solo è una disarticolazione del sistema giudiziario, ma è un'amnistia per i colletti bianchi. Non si può mettere a repentaglio un sistema in nome delle esigenze di una persona". La presidente del gruppo Pd a Palazzo Madama, Anna Finocchiaro, ha annunciato battaglia: "Qui in Senato siamo già di traverso, abbiamo chiesto che il provvedimento torni in commissione perchè questi emendamenti presentati dalla maggioranza introducono delle parti assolutamente nuove rispetto al testo discusso. Abbiamo presentato dieci tra pregiudiziali e sospensive e se non verrà accolta la nostra richiesta di tornare in commissione faremo ostruzionismo e presenteremo centinaia e centinaia di emendamenti".

LA REPLICA DEL CENTRODESTRA- La replica del centrodestra arriva dal sottosegretario alla presidenza e portavoce del premier, Paolo Bonaiuti: "Bersani ha paura delle elezioni regionali e dell'opposizione che gli viene dall'interno del Pd e dall'Idv". "Purtroppo avviene quello che era facile prevedere - ha detto Bonaiuti a SkyTg24 - e cioè che siamo vicini alle regionali: Bersani credo abbia una disponibilità, ma la paura è maggiore date anche le condizioni di difficoltà che sta incontrando il Pd in alcune regioni, e dati i problemi che ha. Bersani - secondo Bonaiuti - teme l'opposizione all'interno di Veltroni e Franceschini che remano controcorrente e deve subire il controcanto e l'opposizione durissima di Di Pietro e De Magistris e che ora sono molto scomodi". Le misure decise dalla maggioranza sul processo breve e legittimo impedimento, ha confermato Bonaiuti, "andranno avanti".

VIA LIBERA A LEGITTIMO IMPEDIMENTO - Intanto la commissione Giustizia della Camera ha concluso l'esame degli emendamenti al testo sul legittimo impedimento. Il relatore e primo firmatario del provvedimento Enrico Costa esprime soddisfazione: "Si tratta di un testo equilibrato, serio - commenta - che va oltre i confini della maggioranza che peraltro si è dimostrata molto compatta". I deputati centristi, la cui proposta sul legittimo impedimento era stata in gran parte recepita dal Lodo Costa, si sono astenuti su molti emendamenti che sono stati respinti invece dal centrodestra. Le proposte di modifica presentate erano 168 di cui 5 presentate dall'Udc e tre dal deputato del Pdl Enrico La Loggia. Il provvedimento dovrà ricevere ora il parere delle commissioni competenti ed è atteso in Aula per il 25 gennaio.

12 gennaio 2010(ultima modifica: 13 gennaio 2010)

 

 

 

2010-01-17

Il ministro Tremonti: "Riforma del fisco entro il 2013"

"La riforma si finanzierà anche al suo interno, spostando il prelievo ed eliminando gli eccessi di complicazione"

Giulio Tremonti (Ansa)

Giulio Tremonti (Ansa)

MILANO - Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha detto che la riforma del fisco sarà effettuata entro il 2013 e che in gran parte si autofinanzierà. "La riforma si finanzierà anche al suo interno, spostando il prelievo ed eliminando gli eccessi di complicazione", ha spiegato il ministro in una lunga intervista al Sole24Ore in edicola domenica. Nell'immediato, Tremonti esclude la possibilità di una riduzione della pressione fiscale ma "non è affatto escluso che nel tempo a venire -- afferma -- si possano aprire finestre di opportunità per riduzioni fiscali, ma queste devono essere sottoposte al vincolo della disciplina del bilancio". Rispondendo alle critiche per il mancato taglio alle tasse, il ministro incalza: "Un conto è proporre di tagliare le tasse per 20-30 miliardi con un taglio ugualmente virtuoso e simmetrico della spesa per servizi e consumi intermedi delle Regioni. Un conto è uscire dall'astrattismo e proporre di tagliare le tasse con la macelleria sociale del taglio alla sanità".

IL PERIODO - Il periodo adatto per fare la "riforma delle riforme", quella del fisco, sarà - ha detto il ministro - dopo le elezioni regionali, quando si apre un periodo di tre anni di tregua elettorale, fino alla primavera del 2013. La riforma del fisco si farà "non in termini di speculazione elettorale o di avventurismo demenziale - prosegue Tremonti - ma in termini di vero riformismo". Il sistema fiscale italiano, secondo il ministro, è stato disegnato negli anni '60 e da allora infinitamente rattoppato ma "riflette un mondo che non c'è più". Il ministro ha aggiunto che sulla proposta di Enrico Letta di individuare 34 interventi "cacciavite" spera di riuscire a convincere l'esponente del Pd "che il cacciavite va usato per montare una macchina nuova non per stringere le viti di una macchina vecchia". Quanto al metodo, sarà quello del confronto. "All'Aquila si terrà il coordinamento dei lavori - afferma Tremonti - si raccoglieranno carte ed idee, si ascolteranno tutte le istituzioni interessate" e poi precisa: "Questo non è immobilismo o rallentismo ma positiva determinazione del fare".

Redazione Online

17 gennaio 2010

 

 

 

 

 

Le banche e la crisi

Chi non paga per gli errori

Mentre le fabbriche chiudono e i lavoratori perdono il posto, le banche, vere responsabili della crisi, fanno profitti; li fanno dopo essere state salvate dai contribuenti e li devolvono in gran parte a se stesse sotto forma di lauti guadagni per dirigenti e amministratori; nello stesso tempo rifiutano il credito alle imprese e, obbligandole a chiudere e a licenziare, affossano l'economia. Sono accuse note; le ripete anche il presidente Obama.

Come non farsi travolgere da simili accuse indirizzate a unmestiere già impopolare prima della crisi? Invece bisogna ragionare e non farsi travolgere. E se il ragionare comincia col distinguere, occorre esaminare le accuse una per una.

Oggi guardiamo ai salvataggi bancari, questione bruciante perché il denaro usato era del contribuente. Si noti che i salvataggi — cerniera tra il prima e il dopo crisi— sono avvenuti soprattutto in Paesi orgogliosamente predicanti le virtù magiche della proprietà privata e del mercato libero: Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Olanda; non in Italia, dove le banche si sono rafforzate con capitali privati. Si noti anche che il tema va tenuto distinto da altre questioni riguardanti il modo in cui le banche si conducono oggi coi loro debitori, nel mercato finanziario, nel compensare dirigenti e amministratori: questioni su cui occorrerà tornare e che riguardano tutte le banche, non soltanto quelle in cui lo Stato ha immesso capitale.

È, era, giusto salvare le banche? In condizioni normali la risposta è no. Se è cronicamente incapace di fare utili, qualunque impresa, anche se banca, deve uscire dal mercato perché, invece di creare, distrugge ricchezza. Il fallimento è un modo di uscire, non l'unico né sempre il migliore; altri sono il passaggio di proprietà o la rilevazione da parte di un concorrente.

Le condizioni del 2008, però, non erano normali; stava crollando non una banca, ma la funzione bancaria stessa; e le perdite erano spesso un fatto momentaneo dovuto a cattiva gestione o a panico, non un indebolimento irrimediabile. Se la moneta cessa di circolare e nessuno fa più credito ad alcuno, ogni economia basata sullo scambio (dunque, nel mondo di oggi, tutte le economie) crolla e ricostruirla è arduo. Il perdurare del panico avrebbe moltiplicato a dismisura le vittime innocenti: risparmi e posti di lavoro perduti.

In quelle circostanze l'interesse a salvare le banche era generale, prima che dei banchieri.

Non solo: per il contribuente che lo paga, il salvataggio è per lo più un buon affare, non una perdita. Ciò che egli compera vale assai più del bassissimo prezzo pagato ed è destinato a rivalutarsi. I giganteschi utili che la banca centrale americana ha appena annunciato ne sono la riprova: e le banche centrali devono sapere (ma qualche volta lo dimenticano!) che i loro utili sono destinati non a se stesse ma alle casse dello Stato.

Salvare sì, dunque; ma chi? Chi tra azionisti, amministratori, dirigenti, impiegati, depositanti, debitori? Mentre in un fallimento puro la risposta sarebbe "nessuno", in un salvataggio non può essere "tutti". Almeno i primi tre dei sei soggetti elencati dovrebbero perdere soldi e funzioni.

È da deplorare che ciò non sempre sia avvenuto. Ma nei casi in cui non è avvenuto, la critica va rivolta al salvante più che al salvato. Spettava al potere pubblico distinguere tra continuità della banca e discontinuità della sua proprietà e del comando.

Tommaso Padoa-Schioppa

17 gennaio 2010

 

 

 

 

Organici scoperti, magistrati in subbuglio

L'Anm non esclude uno sciopero per attirare l'attenzione sul problema delle procure senza personale adeguato

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Audio: intervista a Luca Palamara

Luca Palamara, presidente dell'Associazione nazionale magistrati, all'assemblea di Roma (Ansa)

Luca Palamara, presidente dell'Associazione nazionale magistrati, all'assemblea di Roma (Ansa)

ROMA - L'associazione nazionale magistrati (Anm) è pronta anche a proclamare uno sciopero per dare un forte segnale di allarme sulla grave situazione di scoperture di organico nelle procure. Aprendo i lavori dell'assemblea organizzata dall'Anm oggi in Cassazione, davanti a procuratori provenienti da tutta Italia, il presidente del sindacato delle toghe Luca Palamara non ha parlato esplicitamente (ascolta l'audio) di astensione dal lavoro ma ha avvertito che i magistrati sono pronti a iniziative "estreme".

"UFFICI SVUOTATI" - "L'Anm non potrà assistere inerme allo svuotamento degli uffici di procura ma vuole una riforma della giustizia che assicuri un processo giusto in tempi ragionevoli e vuole uffici organizzati e funzionanti - ha spiegato Palamara -. Ecco perché l'associazione è fermamente intenzionata ad adottare ogni efficace e anche estrema iniziativa di mobilitazione della magistratura associata e di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulla gravità della situazione attuale". Secondo il sindacato delle toghe la "desertificazione" delle procure è "drammatica": in due soli anni le scoperture di organico si sono quadruplicate passando da 68 a 249.

"CIRCOSCRIZIONI DA RIVEDERE" - L'Anm si è detta contraria al decreto legge varato dal governo che per risolvere i vuoti pensa a trasferimenti d'ufficio negli uffici di procura, soprattutto nelle cosiddette sedi disagiate e punta piuttosto - oltre alla soluzione temporanea di revocare il divieto di mandare nelle procure i magistrati di prima nomina - sulla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, definita da Palamara "l'unica soluzione stabile ed efficace".

 

16 gennaio 2010(ultima modifica: 17 gennaio 2010)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2010-01-15

Il presidente della Repubblica al teatro Petruzzelli di Bari

L'appello del presidente Napolitano:

"No a riforme a colpi di maggioranza"

"Assoluta necessità di lavorare e di riformare in un'ottica di lungo periodo e non su impostazioni contingenti"

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Napolitano: "Coraggio e riforme per superare la crisi" (31 dicembre 2009)

Giorgio Napolitano (La Presse)

Giorgio Napolitano (La Presse)

BARI - "No a riforme a colpi di maggioranza". Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha lanciato la sua "raccomandazione" al mondo politico dal teatro Petruzzelli di Bari, dove venerdì mattina partecipa alla cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico e alla intestazione dell'ateneo barese ad Aldo Moro.

LUNGO PERIODO - "Faccio appello alla consapevolezza che non dovrebbe ormai mancare tra le forze politiche e sociali della assoluta necessità di lavorare e di riformare, anche per l'Università, in un'ottica di lungo periodo e non sulla base di impostazioni contingenti, asfittiche, di corto respiro, cui corrispondano conflittualità deleterie" ha affermato il presidente della Repubblica. Al suo arrivo Napolitano è stato accolto dal rettore dell'Ateneo barese, Corrado Petrocelli. Alla cerimonia partecipano anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, il ministro per i rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto, il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano, e il sottosegretario all'Università, Giuseppe Pizza.

ALDO MORO - Aldo Moro lascia una "preziosa eredità di pensiero e morale" nonchè "l'esempio della fedeltà all'insegnamento e con esso del rapporto con i giovani, di una piena comunione con gli studenti". Il Capo dello Stato ricorda lo statista nel corso del suo intervento per auspicare riforme condivise, lungimiranti, che non portino a nuove conflittualità. Lo fa rievocando "la splendida stagione per il nostro paese" che fu l'assemblea Costituente. Tempi in cui "una generazione giovane, ricca di interessi culturali e di idealità, faceva irruzione nella politica, prendeva posto nel Parlamento che rinasceva per stendere la Carta dei principi e delle regole della Repubblica italiana". Agnese Moro, che con il fratello Giovanni ha partecipato alla cerimonia ha ricevuto la stretta di mano del presidente: "Mio padre fece il suo dovere fino in fondo, con impegno, speranza, calore, umiltà e dedizione. Oggi l'Università di Bari intitolando a lui l'ateneo assume la responsabilità di coinvolgere i giovani, quelli che lui chiamava "il meglio di noi", nei suoi impegni e speranze. Oggi è davvero una lieta giornata".

L'UNIVERSITA' - Il Teatro Petruzzelli di Bari, l'università del capoluogo pugliese, dedica in pompa magna se stessa al grande statista ucciso dalle brigate rosse. Da venerdì l'ateneo ne porterà il nome, e Giorgio Napolitano benedice la scelta, dedicando un pensiero al "quartetto dei professorini democristiani di forte impronta cattolica e di moderna cultura giuridica" che 50 e più anni fa scrivevano una pagina nella storia nazionale. Erano anni in cui Moro, insieme a Fanfani, La Pira, e Dossetti pensavano le regole che sarebbero valse per molto tempo. Tra loro Moro scriveva e sanciva una "idea di fondo". Questa: "i principi dominanti della nostra civiltà e gli indirizzi supremi della nostra futura legislazione vanno sanciti in norme costituzionali per sottrarle all'effimero gioco di semplici maggioranze parlamentari". "Faccio appello alla consapevolezza che non dovrebbe mai mancare tra le forze politiche e sociali della assoluta necessità di lavorare e di riformare, in un'ottica di lungo periodo e non sulla base di impostazioni contingenti, asettiche, di corto respiro cui corrispondano conflittualità deleterie", dice il capo dello stato. Il riferimento diretto è alla richiesta appena avanzata dal rettore dell'università di Bari, Petrocelli di una riforma universitaria che sappia bloccare la fuga dei cervelli. Ma in questa risposta Napolitano inserisce un "anche" che dà il senso politico dell'intervento. Infatti spiega che la necessità di riforme di lungo periodo e condivise vale "anche per l'università", e così facendo allarga il discorso a temi di portata ancora più ampia.

Redazione online

15 gennaio 2010

 

 

 

 

Una pace di interesse pensando alle regionali e alle inchieste del premier

Una colazione tesa che però segna il tramonto della "guerra civile" nel Pdl

Definire positivo l’incontro di ieri perché Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini hanno stipulato una sorta di patto di consultazione sa di paradosso. Rischia di fotografare più le distanze che la ripresa della collaborazione, per quanto guardinga e da consolidare, tra fondatore e cofondatore del Pdl. L’idea che esponenti di vertice di una stessa coalizione debbano promettere di vedersi più spesso dice quanto i percorsi del presidente del Consiglio e della Camera si fossero allontanati; e quanto in parte lo siano ancora. L’accenno ai "danni del fuoco amico", fatto dagli esponenti del centrodestra presenti alle due ore di colloquio, confermano le ferite provocate dalla guerra civile di carta alimentata dai giornali vicini al Pdl.

Ma la sensazione è che nonostante le tossine accumulate in questi mesi, e riemerse nel pranzo aMontecitorio, Berlusconi e Fini sappiano di dover tentare una tregua; e non soltanto perché c’è la campagna elettorale per le regionali. Anche l’allusione al "fuoco amico" è un modo indiretto per concordare l’archiviazione dello scontro fra palazzo Chigi e terza carica dello Stato. Con uno snodo delicato e fondamentale, nella strategia berlusconiana: l’esito parlamentare della legge sul "processo breve". Per il capo del governo, la disponibilità di Fini a non intralciarla, seppure fra qualche dubbio residuo, sarebbe la prova che i distinguo e le critiche seminati da mesi nei confronti del governo non erano atti di sabotaggio.

Su questo punto, sembra che alla fine le preoccupazioni dei due interlocutori, scortati dal sottosegretario Gianni Letta e da Ignazio La Russa e Italo Bocchino, si siano avvicinate più del previsto. La tesi secondo la quale Fini ha sempre e solo voluto rivendicare l’autonomia della Camera davanti al governo, è stata accettata dal premier anche perché preluderebbe ad un compromesso sul "processo breve". In realtà, commenti sull’esito del colloquio variano leggermente fra gli ex di An ed i berlusconiani. I primi appaiono cauti, non vogliono dare l’impressione che dopo settimane di scontri sia esplosa una pace sospetta: quella che fa parlare di "inciucio" ad Antonio Di Pietro.

Gli altri, invece, concordano sulla versione di una colazione interlocutoria ma non esitano a definirla positiva. "Si è ripresa una strada comune", sostiene il ministro Sandro Bondi, "anche se è giusto non dare tutto per risolto". È una prudenza obbligata, viste le polemiche che accompagnano il percorso parlamentare della riforma della giustizia; le tensioni con la magistratura, che col Consiglio superiore ha aperto un fascicolo dopo le accuse di Berlusconi ai pubblici ministeri che lo processano; e qualche differenza di vedute sull’alleanza con l’Udc. Il premier è irritato dalla "strategia dei due forni" dei centristi. "Quelli mi hanno stufato", avrebbe detto al presidente della Camera. "Pensano di allearsi con noi solo dove si vince? Allora basta intese con loro". Fini, invece, appare più attento a non rompere con il partito di Pier Ferdinando Casini in vista delle regionali. Nel Lazio, ritiene che la candidata del Pdl, la sindacalista Renata Polverini, possa vincere se rimane alleata dell’Udc.

Nelle file berlusconiane, tuttavia, c’è qualche malumore non solo su Casini, ma sulla scelta della stessa Polverini, sebbene Fini condivida le perplessità del premier sulla politica dei "due forni". Non è chiaro se la tregua dei vertici del Pdl reggerà. Ma l’incontro potrebbe implicare qualcosa di più di una riconciliazione forzata fra Berlusconi e Fini: magari il tramonto di una lunga offensiva partita dall’interno della maggioranza oltre che dal centrosinistra, che a tratti ha mostrato il governo in bilico. Il pranzo con Fini, percepito dall’opposizione come sponda contro Berlusconi, simboleggia la crisi di questa strategia. In realtà, la manovra si era bloccata già il 13 dicembre a Milano, appena la statuetta del Duomo lanciata da uno squilibrato ha colpito in faccia il premier. Non significa che nel Pdl le polemiche scompariranno. Ma cambia lo sfondo nel quale si inseriscono.

Massimo Franco

15 gennaio 2010

 

 

 

 

 

 

2010-01-14

INCONTRO "chiarificatore"tra i due: "danni anche dal fuoco amico"

Pdl, patto Berlusconi-Fini

"Inaccettabile la linea dell'Udc"

La Russa: "Il premier e il presidente della Camera

si sono impegnati a una maggiore concertazione"

Berlusconi e Fini (foto d'archivio Afp)

Berlusconi e Fini (foto d'archivio Afp)

ROMA - Due ore di incontro a Montecitorio per superare "le incomprensioni". E preparare la linea politica in vista delle Regionali. Risultato: Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini siglano un "impegno a una maggiore concertazione". A spiegarlo ai giornalisti è il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, che era presente al pranzo tra i due leader. L'impegno siglato dal premier (per lui un menù speciale, a causa dei postumi dell'aggressione in Piazza Duomo) e dal presidente della Camera vale "non solo sugli aspetti del partito, su cui la concertazione c'è sempre stata, ma anche sulle iniziative di governo e per quello che riguarda l'attività parlamentare". Un faccia a faccia "non di maniera", dice La Russa. "Sia Fini che Berlusconi non hanno nascosto l'esistenza di problemi - aggiunge il ministro - sviluppando un ragionamento su un piano di cordialità, ma senza nascondersi. Credo si sia trovato il modo per ovviare ai problemi, alle questioni o, come preferisco chiamarli io e non loro, le incomprensioni".

DOPPIO FORNO - Tra i temi dell'incontro, anche la linea delle "alleanze variabili" seguita dall'Udc alle regionali. Linea che entrambi condannano. "Fini e Berlusconi - spiega sempre il coordinatore nazionale del Pdl - sono concordi nel contestare la linea dell'Udc, la politica del doppio forno per noi è inaccettabile". E dunque? I pareri sono diversi "sulle conseguenze" che Fini e Berlusconi fanno discendere da questa considerazione. "La questione è rimasta aperta", dice La Russa. Berlusconi è stato netto, "mentre Fini è stato meno drastico". Capitolo giustizia: "Il presidente della Camera condivide la linea del governo e prima del Consiglio dei ministri di ieri (mercoledì, ndr) c'è stata una telefonata in cui si è convenuto di rinunciare al decreto blocca processi". Durante il vertice, inoltre, "si è parlato anche del fuoco amico e del danno che provoca". Sull'opportunità di stabilire frequenti faccia a faccia sui temi politici, Berlusconi ha invece risposto a Fini con una battuta: "Io a pranzo da te verrei tutte le settimane, ma mi sembra più corretto venire quando mi inviti..."

Redazione online

14 gennaio 2010

 

 

 

 

 

"Sulla giustizia riproporremo l'inappellabilità delle assoluzioni di primo grado"

Berlusconi: "La crisi economica

non consente la riduzione delle tasse"

Ma annuncia una semplificazione del fisco. "Aggressioni giudiziarie come piazza Duomo". Anm: inaccettabile

Silvio Berlusconi (Ansa)

Silvio Berlusconi (Ansa)

ROMA - Annuncia il via libera del Consiglio dei ministri al piano carceri ("In passato si sono fatti condoni e amnistie, noi vogliamo creare una situazione che duri nel tempo"). Spiega la rinuncia del governo a presentare il cosiddetto decreto blocca-processi ("C'è una sentenza della Corte Costituzionale, e riteniamo che possa essere applicata direttamente senza bisogno di interpretazione"). Lancia una stoccata all'opposizione ("Ci accusano di non aver fatto nulla, ma è esattamente il contrario visto che dagli studi fatti emerge che mai nessun governo ha fatto quanto abbiamo fatto noi in 19 mesi"). Ma soprattutto, dopo il dibattito degli ultimi giorni, Silvio Berlusconi approfitta della conferenza stampa dopo il Consiglio dei Ministri per sgomberare il campo da ogni equivoco sulla riforma fiscale: "Con la crisi attuale - è il succo del suo discorso - una riduzione delle tasse è fuori discussione". Il Cavaliere è netto: "Non intendiamo assolutamente introdurci in questa campagna elettorale per le elezioni regionali e amministrative con delle promesse di riduzioni delle imposte".

SEMPLIFICAZIONE - Il premier annuncia però che l'esecutivo sta lavorando per una semplificazione del sistema impositivo: il primo provvedimento di taglio che sarà attuato appena possibile, ma non ora, sarà l'introduzione del quoziente familiare. "Nessuno di noi ha parlato di 2 o 8 imposte - afferma il Cavaliere. - Una semplificazione del sistema tributario e fiscale si impone, ma sarà un lavoro lungo, duro. Anche i commercialisti si mettono le mani nei capelli quando devono interpretare queste norme. Sarà un lavoro lungo e duro, spero possa essere sufficiente un anno, ma è un lavoro improbo che abbiamo cominciato ad affrontare".

NIENTE FOLLIE - Sul tema interviene anche Giulio Tremonti. Il sistema fiscale attuale, spiega il ministro dell'Economia intervenendo più tardi a Porta a Porta, "non è molto efficace e non è molto giusto". "Io e il presidente del Consiglio - sottolinea - pensiamo sia giusto aprire un grande dibattito. Per essere giusti ed efficienti come paese dobbiamo porci la sfida di un grande cambiamento del sistema fiscale. L'ideale sarebbe un sistema fiscale efficiente e giusto". E la riduzione della pressione fiscale? "Ci troviamo davanti a una fase economica molto complicata e Berlusconi questo lo sa bene. Non possiamo fare stupidate, follie".

GIUSTIZIA E TV - Davanti ai giornalisti Berlusconi torna anche a parlare di giustizia. "Nella riforma che stiamo esaminando - afferma - riproporremo l'inappellabilità delle sentenze di assoluzione di primo grado". E poi: "Quando si parla di processo breve c'è una calunnia e una menzogna di fondo. Con le modifiche che faremo, il processo in Italia resta comunque lungo, tra i più lunghi d'Europa, ma almeno ci saranno tempi certi". Non manca, da parte del premier, una critica a certe trasmissioni televisive che "fanno diminuire l'attenzione e la percezione della politica". "Non a caso l'apprezzamento dei politici e al 7% - spiega - mentre quello per le istituzioni è sempre elevato. Ciò è dovuto ai pollai e alle risse che si vedono sulle televisioni, pubbliche o private che siano". Al termine della conferenza stampa, il premier, dopo aver ribadito di subire continuamente attacchi politici ("E sul piano giudiziario - dice - le aggressioni sono parificabili a quelle di piazza del Duomo, se non peggio") si congeda con una battuta in latino: "Non prevalebunt".

ANM: INACCETTABILE - Una frase che ha suscitato ancora una volta la ferma reazione dell'Associazione nazionale magistrati. "Ancora una volta assistiamo a gravi insulti rivolti dal capo del governo nei confronti dell'istituzione giudiziaria la cui legittima e doverosa attività viene oggi paragonata a comportamenti illeciti e violenti - dicono il presidente Luca Palamara e il segretario Giuseppe Cascini -. È inaccettabile che la discussione sui temi delicati della giustizia debba continuare con questi toni in un clima di violenza verbale e di aggressione".

Redazione online

13 gennaio 2010

 

 

 

E il portavoce Bonaiuti: "Silvio e Gianfranco troveranno doverosamente un accordo"

Accuse ai Pm, interviene il Csm

Berlusconi li aveva paragonati a Tartaglia, l'uomo dell'aggressione in piazza Duomo. Oggi incontro con Fini

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Berlusconi: "Per ora niente riduzione delle tasse, dai pm aggressioni come Tartaglia" (13 gennaio 2010)

Gianfranco Fini e SIlvio Berlusconi

Gianfranco Fini e SIlvio Berlusconi

ROMA - Il Csm si occuperà delle frasi pronunciate mercoledì a Palazzo Chigi dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che durante l'incontro con la stampa a margine del Consiglio dei ministri aveva paragonato "l'aggressione" giudiziaria nei suoi confronti a quella fisica subita in piazza Duomo a Milano per mano di Tartaglia. La prima commissione di Palazzo dei Marescialli ha infatti deciso di acquisire i giornali che riportano le dichiarazioni di Berlusconi e di inserirle nell'ampia pratica a tutela di magistrati oggetto in passato di accuse rivolte dal premier. Questo fascicolo pende da tempo e riguarda in particolare i giudizi espressi dal presidente del Consiglio sui magistrati delle Procure di Palermo e di Milano che hanno riaperto le indagini sulle stragi mafiose e sui giudici del processo Mills.

L'INCONTRO CHIARIFICATORE - Intanto, sul fronte politico, è atteso per oggi un confronto tra lo stesso Berlusconi e il presidente della Camera, Gianfranco Fini. L'ex leader di An, cofondatore del Pdl assieme al Cavaliere, aveva più volte preso le distanze dal governo e per questo era stato più volte duramente attaccato anche dal Giornale, il quotidiano della famiglia Berlusconi, che lo aveva sostanzialmente accusato di essere un traditore. Paolo Bonaiuti, portavoce del premier, intervenendo a Uno Mattina, ha assicurato che durante l’incontro di oggi - previsto a Montecitorio attorno all'ora di pranzo - Berlusconi e Fini "troveranno doverosamente l’accordo". Bonaiuti ha spiegato che tra i due "ci sarà un dibattito e un confronto ampio" e che "come sempre i cofondatori del Pdl discuteranno e, come sempre, troveranno doverosamente l’accordo. Non vedo all’orizzonte alcun problema".

L'"ANTICICLONE" DELLE REGIONALI - Bonaiuti, nel corso della trasmissione di Raiuno, si è anche concesso una piccola divagazione cimentandosi nelle previsioni del tempo, anche se il clima in questione è quello politico: "Visto che Bersani mi ha detto che devo fare il meteorologo - ha detto il sottosegretario - , ecco il bollettino di oggi: sul Pdl il cielo resta sereno con possibilità di ampie schiarite. Nel Pd, invece, resta l'anticiclone delle Regionali, con rischi di temporali da parte di Franceschini, Veltroni e Di Pietro". Va detto in realtà che in meteorologia l'anticiclone è di solito sinonimo di bel tempo.

"GIUSTIZIA AD PERSONAM" - Quanto al tema della giustizia, Bonaiuti ha invece sintetizzato così: "Bisogna salvaguardare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura ma si deve pensare a preservare anche l’autonomia e l’indipendenza della politica". Per il sottosegretario, "il vero problema è che certa magistratura si è mossa in maniera politica rispetto al presidente del Consiglio" e per questo, a suo parere, bisogna riconoscere che esiste una "giustizia ’ad personam’, che ha colpito il presidente Berlusconi con tutta una serie di procedimenti, tanto che un magistrato italiano su dieci in un modo o nell'altro si è occupato di lui".

(Fonti: Ansa e Apcom)

Redazione online

14 gennaio 2010

 

 

 

 

e sull'armonizzazione delle rendite finanziarie: "bisogna essere prudenti"

"Serve un cambiamento del sistema fiscale, ma dobbiamo ancora studiare"

Tremonti a Porta a Porta: "Non possiamo fare follie siamo in una fase economica molto complicata"

Giulio Tremonti (Newpress)

Giulio Tremonti (Newpress)

MILANO - "Dobbiamo porci la sfida di un grande cambiamento del sistema fiscale: l'ideale sarebbe un sistema efficace e giusto, quello che c'è adesso non è tanto efficace e non è neanche tanto giusto". Lo ha detto il ministro dell'Economia Giulio Tremonti intervenendo alla trasmissione di Rai1 "Porta a Porta" condotta da Bruno Vespa. Gli impegni del governo "sono subordinati alla crisi, alla tenuta dei conti pubblici e alla compatibilità europea" sottolinea subito dopo Tremonti.

I TEMPI DELLA RIFORMA - Il ministro dell'Economia però non precisa i tempi della possibile futura riforma fiscale. "Dobbiamo studiare seriamente, non possiamo fare stupidate o follie siamo in una fase economica molto complicata, abbiamo il terzo debito pubblico del mondo e non la terza economia. Non è un'avventura nè un programma elettorale" aggiunge Tremonti. Bruno Vespa insiste e chiede: "C'è un'ipotesi di previsione?". Tremonti risponde: "Come era nei nostri accordi redazionali, questa è una domanda...". E Vespa dice: "Alla quale non si può ancora rispondere". Tremonti: "No, lei stesso sa bene che deve fare la domanda in termini di attrazione (probabilmente intendeva dire di audience ndr) ma prima devi capire che cosa c'è, che cosa devi fare e come vanno le cose".

RENDITE FINANZIARIE - Poi il ministro dell'Economia ha affrontato il tema dell'armonizzazione fiscale delle rendite finanziarie. Quello dell'armonizzazione delle rendite "è un tema lungimirante, - ha detto Tremonti - ma bisogna essere prudenti. Noi abbiamo i depositi bancari che sono tassati al 27% e i titoli pubblici al 12,5%. Chi ha questi titoli? Una quota enorme i lordisti, che pagano le tasse all'estero e una grossa quota di quei soldi sta nel portafoglio delle famiglie e non c'è dietro la mano di uno gnomo di Zurigo e quindi bisogna essere prudenti nel valutare perchè" bisogna stare attenti "alla famiglia con i suoi risparmi".

Il ministro dell'Economia si è invece detto fiducioso sul fronte delle entrate: "Le entrate tengono e nel 2008 sono un po' cresciute".

IRAP - Poi Tremonti ha affrontato la questione dell'Irap che inizialmente il governo aveva intenzione di ridurre. L'Irap è "un'imposta che ha sostituito altri tributi, non so se è stata una scelta intelligente ma adesso tornare indietro è difficile" ha spiegato Tremonti mettendo l'Irap anche tra le tasse che hanno "peggiorato" il sistema fiscale italiano.

Redazione online

13 gennaio 2010

 

 

 

 

 

 

Lavoro, governo battuto alla Camera

Via libera a una mozione del Pd per l'occupazione nel Mezzogiorno: 269 voti a favore e 257 contrari

ROMA - Governo battuto nell'Aula della Camera sulla mozione del Pd relativa alle iniziative per favorire l'occupazione del Mezzogiorno. Quando è stata messa in votazione una parte della mozione, a firma Sergio D'Antoni, su cui il sottosegretario al Lavoro, Pasquale Viespoli aveva dato parere negativo, i sì sono stati 269 contro i 257 no. I deputati del Pd a quel punto hanno esultato alzandosi in piedi e applaudendo. La seconda parte della mozione D'Antoni (approvata poi) ha invece avuto parere favorevole dal governo.

LE REAZIONI - "Sconfitta l'ostilità del Governo verso il Sud - commenta il deputato democratico Franco Laratta. - Chiediamo ora che l'esecutivo riveda la sua posizione, risponda ai drammi del Mezzogiorno, aiuti giovani, famiglie e imprese. Il Sud sta morendo lentamente, i giovani scappano via, la criminalità controlla molte aree. Non possiamo andare avanti così". "Preso atto della gravità della situazione e della chiarezza delle nostre posizioni, il governo è stato costretto a non esprimere parere negativo verso la mozione sul Mezzogiorno, e anzi ad accoglierne alcuni punti, con particolare riferimento alla crisi occupazionale e alla necessità di interventi a sostegno di lavoro e imprese" afferma invece Leoluca Orlando, portavoce nazionale dell'Italia dei Valori.

13 gennaio 2010

 

 

 

 

torna in commissione il ddl sul processo breve, ma il pd abbandona i lavori

Vito: "Nessun decreto blocca-processi"

L'annuncio del ministro durante la riunione

dei capigruppo a Palazzo Madama

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Processo breve, scontro

in Senato (12 gennaio 2009)

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Editoriale - Che cosa è

un processo giusto

di Luigi Ferrarella

Il ministro Vito

Il ministro Vito

ROMA - Non ci sarà alcun decreto blocca processi al Consiglio dei Ministri. Lo ha annunciato il ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, durante la riunione dei capigruppo a Palazzo Madama. Motivo: la sentenza della Corte Costituzionale che avrebbe ispirato il decreto, ha detto il ministro ai presidenti dei gruppi, "è immediatamente applicativa" e di conseguenza non c'è necessità di un decreto per attuarla. Secondo il ministro, infine, si sarebbe parlato del decreto "in maniera informale", ma non ci sarebbe alcun testo scritto.

SOSPENSIONE - La questione riguardava la durata della sospensione dei processi in corso in primo grado così da consentire all'imputato, nell'ipotesi di contestazioni suppletive in dibattimento relative a circostanze che già emergono dal fascicolo del pm, di ricorrere al rito abbreviato. I novanta giorni di sospensione, prospettati in origine nella bozza di testo sottoposta al Quirinale dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, sarebbero scesi a una durata inferiore, dopo un lavorio di mediazione che ha visto impegnato anche il presidente della Camera Gianfranco Fini. La decisione di non fare un decreto sembra indicare, tuttavia, che una intesa sulla durata della sospensione non sarebbe stata trovata. L'ipotesi di uno 'stop' di 45 giorni prospettata nei colloqui con il Colle potrebbe essere stata considerata insufficiente dai 'tecnici' di Berlusconi che avrebbero preferito, a questo punto, una sospensione di 60 giorni, utile anche in vista dell'imminente campagna elettorale. Per effetto del decreto, infatti, i due processi a carico del premier (Mills e Mediaset) sarebbero sospesi.

COMMISSIONE - Nel frattempo, il disegno di legge sul processo breve è tornato in Commissione. Nonostante l'auspicio del presidente del Senato, Renato Schifani ("Spero che questo possa riportare un clima di serenità nel dibattito"), si è però consumato l'ennesimo strappo tra maggioranza e opposizione. "Non è possibile andare avanti ancora con trucchi e trucchetti" ha dichiarato la capogruppo Pd in commissione Giustizia Silvia Della Monica. "Abbandoniamo i lavori della commissione Giustizia perché la maggioranza, in palese violazione del regolamento del Senato, ha impedito alla commissione Giustizia di svolgere le proprie funzioni". "Il rinvio in commissione - conclude la capogruppo Pd - ha così rivelato il suo chiaro intento: quello cioè di uno sterile quanto inutile passaggio parlamentare che mantenesse inalterato il testo del governo. È chiaro a questo punto che la volontà di governo e maggioranza non è mai stata quella di aprire un vero confronto e dialogo, ma quello di utilizzare ogni possibile escamotage parlamentare per arrivare all’approvazione di un provvedimento che porterà al disastro della giustizia nel nostro Paese, pur di far saltare i processi del premier".

13 gennaio 2010

 

 

 

 

 

Che cosa è un processo giusto

E se gli aspiranti riformatori della giustizia facessero prima un salto a Cassano d’Adda, sezione distaccata del Tribunale di Milano? Qui non la carenza, ma l’assenza ormai da mesi di cancellieri sta totalmente bloccando la registrazione di 450 sentenze civili e 520 decreti ingiuntivi già fatti: tutti provvedimenti di giustizia ordinaria, spicciola ma importante per la vita delle persone, che i giudici hanno già deciso, ma che formalmente non esistono e dunque non possono dispiegare i loro effetti per i cittadini che li attendono. Ma non sembra essere questa "la durata indeterminata dei processi" dai quali proclama di volerli "tutelare " il riscritto disegno di legge sul "processo breve", soave etichetta che dovrebbe rendere digeribile "la tagliola" sui processi (diritti d’autore al pdl Gaetano Pecorella): quasi che un cittadino dovesse felicitarsi di veder garantito il proprio diritto a constatare in breve l’estinzione del processo penale da cui attende giustizia, e non invece di ottenere in breve il risultato dell’accertamento, cioè la sentenza che fa scaturire diritti, obblighi, sicurezze e risarcimenti.

"La giustizia perfetta non esiste ", notava nel 1974 Carlo Bo nell’articolo "La regola di Ponzio ", ma "dovrebbe esistere una giustizia sollecita, responsabile, che non si abituasse a sostituire il proprio tempo, soddisfatto nella tranquillità, al tempo senza risposta di chi attende". E in effetti solo un incosciente oggi potrebbe assuefarsi al match tra Italia e Somalia in fondo alle classifiche annuali della Banca Mondiale sui tempi e costi per far rispettare un contratto. O rassegnarsi al malsano "federalismo giudiziario" delle abissali disparità tra tribunali, che per l’esito di un fallimento a Reggio Calabria o Ascoli fa mettere in cantiere battesimo, comunione e cresima dei figli, mentre a Trieste fa aspettare 4 volte meno. E il vero decreto-competitività per le imprese sarebbe quello che le sottraesse alla "tassa" occulta (2,2 miliardi la stima annuale) che l’inaffidabilità tempistica della giustizia, specie civile, scarica su ogni azienda.

Solo che la risposta del governo alla "regola di Ponzio"—processo breve, rincorsa a 18 mesi di quasi automatico legittimo impedimento per il premier, e nel frattempo decreto legge per fermare subito e per 2 mesi i processi nei quali, proprio come i suoi, vi sia stata una modifica delle imputazioni — è sbagliata. Per il clima che compromette, proprio quando pareva potersi avviare in Parlamento una limpida discussione tra le coalizioni almeno sui corretti termini di una costituzionalizzazione di prerogative delle cariche istituzionali. Per le distorsioni che introduce nel merito, ad esempio applicandosi nell’ultima versione anche alle imprese indagate, e così avvantaggiando Impregilo nel processo a Napoli sui rifiuti, o Telecom e Pirelli nel processo a Milano sui dossier illegali. E per il consueto sapore agro del metodo, restituito anche stavolta dalla permanenza della norma transitoria che, estinguendo tutti i processi senza sentenza di primo grado a due anni dalla richiesta di rinvio a giudizio, conclama la volontà del premier di liberarsi in questo modo dei due nei quali è imputato di corruzione in atti giudiziari del teste Mills e di frode fiscale sui diritti tv Mediaset.

Luigi Ferrarella

13 gennaio 2010

 

 

 

 

 

Ma Bonaiuti: "Il Cavaliere ha le carte in regola per governare, lo dicono i sondaggi"

Nuovo avvertimento di Fini a Berlusconi

"Il governo non detti l'agenda legislativa"

Il presidente della Camera critica l'"uso distorto della decretazione di urgenza che soffoca il libero dibattito"

Berlusconi e Fini (Lapresse)

Berlusconi e Fini (Lapresse)

ROMA - Non spetta al governo dettare l'agenda dei lavori in Parlamento. Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, lancia un nuovo duro monito ai colleghi della maggioranza. Lo fa durante una tavola rotonda a Montecitorio dedicata proprio a "Parlamento ed evoluzione degli strumenti della legislazione": "Proprio il confronto parlamentare è in grado di dare piena legittimazione democratica alla decisione politica - ha detto Fini -. Solo una visione mitologica della democrazia può infatti a ritenere che la funzione di governo si traduca automaticamente in un'agenda legislativa predefinita a senso unico".

DECRETAZIONE DI URGENZA - Fini parla di uso distorto della decretazione di urgenza, che "tende a limitare, o peggio a soffocare il libero dibattito parlamentare sulle grandi decisioni della politica pubblica". "La legittimazione democratica a governare - prosegue - non è solo un dato iniziale che scaturisce dalle urne, ma si rafforza giorno dopo giorno nell’affrontare e nel risolvere i problemi sempre nuovi e inattesi che si presentano sul terreno concreto dei bisogni della collettività". Il presidente della Camera valuta in modo profondamente negativo anche l'inflazione normativa che "è da contrastare in quanto mina le radici del principio della certezza del diritto" e "riflette la tendenza degli ordinamenti giuridici e dei poteri pubblici ad allargarsi ai più vasti settori della società". La quantità eccessiva di norme, conclude, determina "un alto tasso di disorganicità del sistema giuridico".

"BERLUSCONI HA LE CARTE IN REGOLA" A Fini ha replicato dai microfoni di SkyTg24 il sottosegretario Paolo Bonaiuti, portavoce del premier, secondo cui Silvio Berlusconi "ha tutte le carte in regola" per governare, perché "ha la legittimazione che gli deriva dalle urne" e quella che "gli viene dal giorno per giorno perché tutti i sondaggi di tutte le case" dicono "che ha un gradimento molto elevato, che in taluni casi supera il 65%".

12 gennaio 2010

 

 

 

 

 

sovraffollamento

Piano carceri, via libera del Cdm

La costruzione di nuovi istituti porterà la capienza a 80 mila posti. Saranno assunti 2mila agenti penitenziari

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Governo, piano carceri per 80 mila posti (12 gennaio 2009)

(Newpress)

(Newpress)

ROMA - Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al piano carceri e alla dichiarazione dello stato di emergenza nei sovraffollati penitenziari italiani (64.990 detenuti contro una capienza regolamentare di 44.066 posti).

I PUNTI - Il piano predisposto dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, prevede: lavori di edilizia penitenziaria con la costruzione di nuovi istituti e nuovi padiglioni per portare la capienza a 80mila posti; detenzione domiciliare ai condannati per reati non gravi ai quali resta da espiare un anno; assunzione di duemila agenti penitenziari.

STATO DI EMERGENZA - La dichiarazione dello stato emergenza, ha spiegato Alfano, durerà "fino al 31 dicembre del 2010" durante il quale "con 600 milioni saranno costruiti 47 nuovi padiglioni" nelle vecchie carceri "sul modello dell'Aquila". Nel frattempo, nel 2011 e 2012, "saranno realizzate strutture flessibili e tradizionali". Il capo del Dap, Franco Ionta, "sarà responsabile di tutta questa missione" per un totale di 21.749 posti in più.

13 gennaio 2010

 

 

 

TUTELA DEI MINORI

Violenza in casa,

così si difende il bimbo-testimone

Un progetto-pilota di magistrati, forze dell'ordine e volontariato. I dati allarmanti sui disagi dei piccoli

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Associazione Differenza Donna

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Il sito del tribunale dei minori di Roma

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Rapisce figlio di 6 anni e lo affida a carceriere di 8 anni (12 gen'10)

Bimbi in affido (Foto Ansa)

Bimbi in affido (Foto Ansa)

ROMA - Urla, botte, minacce, lacrime. Scene di vita familiare che in troppi casi avvengono sotto gli occhi dei bambini. Piccoli testimoni che restano traumatizzati come se la violenza si fosse scatenata su di loro. Non considerarli alla pari delle vittime di maltrattamenti ha provocato, finora, centinaia di paradossi: come quello di un padre indagato per aver picchiato la moglie davanti ai figli, che ha avuto la sospensione delle visite dal tribunale dei minori e l’affidamento congiunto dal tribunale civile.

Giustizia che non dialoga: un problema che ora potrebbe essere risolto da un protocollo d’intesa, il primo in Italia. Lo hanno siglato l’associazione Differenza donna, i tribunali ordinario e dei minori, le corrispondenti procure, la questura, il comando provinciale dei carabinieri e gli ospedali Umberto I, policlinico Tor Vergata, San Gallicano e Bambin Gesù. Manca il Campidoglio, ma secondo il consigliere del Pdl Lavinia Mennuni l’intenzione c’è. L’iniziativa, promossa da Differenza donna, è diventata realtà grazie a una risoluzione del Csm voluta dal consigliere Fabio Roia. Alla base del progetto, una ricerca svolta dall’associazione guidata da Emanuela Moroli in 30 uffici giudiziari. "I bambini che assistono alle violenze - sottolinea l’avvocato Teresa Manente, capo dell’ufficio legale - subiscono danni psicofisici gravissimi. Perciò meritano la stessa tutela dei bambini picchiati".

Differenza donna ha analizzato un campione di 78 piccoli testimoni di angherie familiari e ne ha tratto conclusioni allarmanti. Su 28 maschi tra i 5 e i 13 anni, il 42% dà prova di comportamenti aggressivi; il 53% di iperattività. Nel 25% dei casi i bambini hanno difficoltà a scuola, 65 volte su cento sono in conflitto con la madre. La loro capacità di socializzare è alterata, mentre la possibilità di scivolare nella violenza appare di estrema facilità. Disturbi del sonno, del linguaggio e della salute sono i modi in cui si manifesta il disagio. Per le bambine (22) sono in agguato la depressione (30%) e la tendenza a isolarsi (30%). Anche loro hanno un sonno frammentato, tormentato dagli incubi, e spesso si ammalano. I bimbi più piccoli, da zero a quattro anni, hanno reazioni anche più evidenti. Su 14 maschietti, il 57% dimostra aggressività, il 71% fa a pezzi con rabbia i giocattoli, il 78,5% è iperattivo, oltre il 70% non ha un rapporto sereno con la mamma. Le bambine (14) sono depresse nel 28% dei casi.

L'ospedale Umberto I di Roma ha siglato il protocollo d'intesa (Foto Ansa)

L'ospedale Umberto I di Roma ha siglato il protocollo d'intesa (Foto Ansa)

L’obiettivo del protocollo è sottrarre al più presto i piccoli alle scene da incubo a cui sono costretti ad assistere. Perciò la procura ordinaria informerà "tempestivamente" quella dei minori "di ogni notizia di violenza o maltrattamenti o atti persecutori su donne e figli minorenni", anche se sono "soltanto testimoni". Il dialogo sarà reciproco e coinvolgerà le forze dell’ordine. Se sarà il caso, i bimbi, con le loro mamme, saranno affidati a una struttura protetta. Le aggressioni in casa, spiega il presidente del tribunale dei minori, Melita Cavallo, sono in crescita. In parte per "il fenomeno dell’immigrazione", con le diverse culture che porta con sé. In parte "per la perdita del lavoro: l’uomo che resta disoccupato non si accetta più".

L’accordo prevede anche di accelerare i tempi delle cause di separazione e divorzio. Tribunale ordinario e dei minori, fisseranno "con urgenza e con termini abbreviati" le udienze relative ai ricorsi che contengono notizie di violenze e atti persecutori su madri e figli. Si controllerà l’esistenza di altri procedimenti pendenti e di provvedimenti adottati da diverse autorità giudiziarie, in modo da evitare che un marito risulti violento per un magistrato e senza macchia per un altro. Verranno pure istituite sezioni specializzate: la prima l’ha già creata il presidente Paolo De Fiore per i reati collegiali. Gli ospedali, infine, introdurranno un codice rosa come "strumento di classificazione delle situazioni di violenza intrafamiliare, fisica, psicologica, sessuale e di sfruttamento di donne e minori". All’Umberto I, annuncia Massimiliano Mazzotto, il servizio funzionerà 24 ore su 24.

Lavinia Di Gianvito

13 gennaio 2010

 

 

 

 

 

2010-01-12

L'annuncio di Alfano: Chiedo lo stato di emergenza, il provvedimento in Cdm

Governo, piano carceri per 80 mila posti

Interventi per costruire nuovi penitenziari e ampliare quelli esistenti, in arrivo 2 mila nuovi agenti di custodia

ROMA - Un nuovo piano delle carceri per portare le capacità del sistema italiano di detenzione a circa 80 mila posti. Lo presenterà mercoledì il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che ha anticipato la notizia nel corso di un intervento alla Camera. Il piano, ha puntualizzato Alfano, "sarà presentato in consiglio dei ministri assieme alla richiesta di stato di emergenza".

I TRE PILASTRI - Il documento, ha detto il ministro, poggerà su tre pilastri. Vi sarà "un piano di edilizia giudiziaria che ponga il nostro Paese al livello delle sue necessità", ha detto Alfano, vale a dire, "un livello capienza attorno agli 80mila posti". Il "secondo pilastro" è costituito da "norme di accompagnamento che attenuino il sistema sanzionatorio per chi deve scontare un piccolissimo residuo di pena". Terzo e ultimo intervento, "una politica del personale". Dunque, ha spiegato il ministro, "saranno assunti 2mila nuovi agenti di polizia penitenziaria" per "migliorare la condizione complessiva delle nostre carceri".

LO STATO DI EMERGENZA - Non si abuserà dello stato d'emergenza, ha precisato Alfano: "Lo stato d'emergenza non è il preludio di un abuso, ma uno strumento di efficienza". Nel 2010, ha poi spiegato il ministro, "intendiamo realizzare un numero di posti che ci consentano di tamponare l'emergenza, affiancando una serie di norme che deflazionino la presenza in carcere". A sollevare perplessità sullo stato d'emergenza era stato il capogruppo del Pd, Dario Franceschini.

CARCERI E COSTITUZIONE - "Confido che il Consiglio dei ministri accolga questa mia richiesta, perchè penso che solo attraverso questa via si possa riuscire a recuperare un vero significato dell'articolo 27 della nostra Costituzione" ha poi commentato Alfano. L'articolo in questione recita, al terzo comma, che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

12 gennaio 2010

 

 

carceri

In Italia boom di detenuti:

su 65 mila, 24 mila sono stranieri

Dati del Sindacato della polizia penitenziaria.

Gli extracomunitari sono poco meno di 20 mila

ROMA - Un detenuto su tre nelle carceri italiane è straniero: su 65 mila persone ospitate nei penitenziari della penisola, 24 mila sono cittadini stranieri (il 37%). Sono i dati diffusi dal Sindacato autonomo della polizia penitenziaria (Sappe) che chiede al governo Berlusconi di "incrementare concretamente le espulsioni dei detenuti stranieri" per alleviare i gravi problemi di sovraffollamento delle carceri. "Si deve incrementare il grado di attuazione della norma che prevede l’applicazione della misura alternativa dell’espulsione per i detenuti stranieri i quali debbano scontare una pena, anche residua, inferiore ai due anni; potere che la legge affida alla magistratura di sorveglianza", afferma Donato Capece, segretario generale del Sappe. "I dati - prosegue Capece - evidenziano un boom di detenuti stranieri nelle carceri italiane. Si stratta di numeri incontrovertibili". "Oggi abbiamo in Italia 65.000 detenuti: ben 24mila (il 37% del totale) sono stranieri: 4.333 sono i comunitari detenuti (3.953 gli uomini e 380 donne) mentre quelli extracomunitari sono ben 19.666 (18.827 uomini e 839 donne)". In alcuni Istituti la percentuale di presenza di detenuti stranieri è davvero altissima: nella Casa Circondariale di Padova sono l’83%, al Don Soria di Alessandria il 72% come a Brescia mentre nella sarda Is Arenas Arbus sono il 73%. E buona parte dei penitenziari del Nord hanno una presenza varia che oscilla tra il 60 ed il 70%.

ESASPERAZIONE - "Questo accentua - continua Capece - per le difficoltà di comunicazione e per una serie di atteggiamenti troppo spesso aggressivi - le criticità con cui quotidianamente devono confrontarsi le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria. Si pensi, ad esempio, agli atti di autolesionismo in carcere, che hanno spesso la forma di gesti plateali, distinguibili dai tentativi di suicidio in quanto le modalità di esecuzione permettono ragionevolmente di escludere la reale determinazione di porre fine alla propria vita". Le motivazioni messe in evidenza sono varie: esasperazione, disagio (che si acuisce in condizioni di sovraffollamento), impatto con la natura dura e spesso violenta del carcere, insofferenza per le lentezze burocratiche, convinzione che i propri diritti non siano rispettati, voglia di uscire anche per pochi giorni, anche solo per ricevere delle cure mediche. Ecco, queste situazioni di disagio si accentuano per gli immigrati che per diversi problemi legati alla lingua e all’adattamento pongono in essere gesti dimostrativi.

ACCORDI CON PAESI D'ORIGINE - Sappe chiede dunque al Governo Berlusconi di "recuperare il tempo perso su questa significativa criticità penitenziaria e di avviare rapidamente le trattative con i Paesi esteri da cui provengono i detenuti - a partire da Romania, Tunisia, Marocco, Algeria, Albania, Nigeria - affinchè scontino la pena nei Paesi d’origine". Questo, oltre a mettere un freno ad una grave emergenza, potrebbe rivelarsi un buon affare anche per le casse dello Stato, con risparmi di centinaia di milioni di euro, nonché per la sicurezza dei cittadini. Un detenuto - ricorda Capece - costa infatti in media circa 300 euro al giorno allo Stato italiano".

 

18 ottobre 2009(ultima modifica: 19 ottobre 2009)

 

 

 

 

È SCONTRO APERTO SUL DDL VOLUTO DALLA MAGGIORANZA

L'Anm contro il processo breve

E il Pd attacca: faremo ostruzionismo

Il presidente Palamara: "Mette in ginocchio la giustizia". Ma Bonaiuti: "Andiamo avanti con le riforme"

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NOTIZIE CORRELATE

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Processo breve, Berlusconi accelera (11 gennaio 2010)

Luca Palamara, presidente Anm (LaPresse)

Luca Palamara, presidente Anm (LaPresse)

MILANO - Resta più che negativo il giudizio dell'Associazione nazionale magistrati sul processo breve. Quel provvedimento "rischia di mettere in ginocchio la già disastrata macchina giudiziaria" ha detto il presidente Luca Palamara nel corso di un'intervista a Sky Tg 24.

RIFORMA SERIA - E non solo: "Non dà giustizia alle vittime dei reati e garantisce l'impunità a chi ha commesso fatti delittuosi". E questo perché "per come è combinata la macchina giudiziaria non potremo mai definire i processi nei tempi indicati dal legislatore". "Noi per primi - ha aggiunto Palamara - vogliamo una riforma seria della giustizia che, come ha detto il capo dello Stato, tenga conto degli interessi generali per un servizio credibile agli occhi dei cittadini".

"CI METTIAMO DI TRAVERSO" - Anche il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, è contrario al progetto del Governo: "Dopo la decisione di martedì presa dal governo e dalla maggioranza" di andare avanti nell'approvazione del processo breve "stiamo entrando in un tunnel pericolosissimo". "Sia chiaro- aggiunge Bersani- che sulle scelte che sono annunciate noi ci metteremo di traverso. Il processo breve non solo è una disarticolazione del sistema giudiziario ma è un'amnistia per i colletti bianchi. Non si può mettere a repentaglio un sistema in nome delle esigenze di una persona".

FINOCCHIARO - Il presidente del gruppo Pd a Palazzo Madama, Anna Finocchiaro, preannuncia battaglia: "Qui in Senato siamo già di traverso, abbiamo chiesto che il provvedimento torni in commissione perchè questi emendamenti presentati dalla maggioranza introducono delle parti assolutamente nuove rispetto al testo discusso in commissione. Abbiamo presentato dieci tra pregiudiziali e sospensive e se non verrà accolta la nostra richiesta di tornare in commissione faremo ostruzionismo e presenteremo centinaia e centinaia di emendamenti".

BONAIUTI - La replica del centrodestra arriva dal sottosegretario alla presidenza e portavoce del premier, Paolo Bonaiuti: "Bersani ha paura delle elezioni regionali e dell'opposizione che gli viene dall'interno del Pd e dall'Idv". "Purtroppo avviene quello che era facile prevedere - ha detto Bonaiuti a SkyTg24 - e cioè che siamo vicini alle regionali: Bersani credo abbia una disponibilità, ma la paura è maggiore date anche le condizioni di difficoltà che sta incontrando il Pd in alcune regioni, e dati i problemi che ha. Bersani - secondo Bonaiuti - teme l'opposizione all'interno di Veltroni e Franceschini che remano controcorrente e deve subire il controcanto e l'opposizione durissima di Di Pietro e De Magistris e che ora sono molto scomodi". Le misure decise dalla maggioranza sul processo breve e legittimo impedimento, ha confermato Bonaiuti, "andranno avanti".

 

12 gennaio 2010

 

 

 

 

 

durante una tavola rotonda a Montecitorio

Nuovo avvertimento di Fini a Berlusconi

"Il governo non detti l'agenda legislativa"

Il presidente della Camera critica l'"uso distorto della decretazione di urgenza che soffoca il libero dibattito"

Berlusconi e Fini (Lapresse)

Berlusconi e Fini (Lapresse)

ROMA - Non spetta al governo dettare l'agenda dei lavori in Parlamento. Il presidente della Camera Fini lancia un nuovo duro monito ai colleghi della maggioranza. Lo fa durante una tavola rotonda a Montecitorio dedicata proprio a "Parlamento ed evoluzione degli strumenti della legislazione": "Proprio il confronto parlamentare è in grado di dare piena legittimazione democratica alla decisione politica - ha detto Fini -. Solo una visione mitologica della democrazia può infatti a ritenere che la funzione di governo si traduca automaticamente in un'agenda legislativa predefinita a senso unico".

DECRETAZIONE DI URGENZA - Fini parla di uso distorto della decretazione di urgenza, che "tende a limitare, o peggio a soffocare il libero dibattito parlamentare sulle grandi decisioni della politica pubblica". "La legittimazione democratica a governare - prosegue - non è solo un dato iniziale che scaturisce dalle urne, ma si rafforza giorno dopo giorno nell’affrontare e nel risolvere i problemi sempre nuovi e inattesi che si presentano sul terreno concreto dei bisogni della collettività". Il presidente della Camera valuta in modo profondamente negativo anche l'inflazione normativa che "è da contrastare in quanto mina le radici del principio della certezza del diritto" e "riflette la tendenza degli ordinamenti giuridici e dei poteri pubblici ad allargarsi ai più vasti settori della società". La quantità eccessiva di norme, conclude, determina "un alto tasso di disorganicità del sistema giuridico".

12 gennaio 2010

 

 

 

 

Nuova sintonia

Premier al Quirinale,

l'incontro del disgelo

Berlusconi soddisfatto del colloquio. Napolitano: ti trovo bene. La replica: ho la pelle dura

ROMA — "Come stai? Ti trovo bene", dice Napolitano tendendo la mano. "Sì, è passato tutto. Ho la pelle dura", risponde Berlusconi. È con queste laconiche battute distensive, ma senza un replay delle ostentazioni viste in tv con l'indice puntato sulle cicatrici del Cavaliere, che ieri sera è cominciato l'incontro del disgelo al Quirinale. Un colloquio di un'ora, che un premier caricatissimo e con i bioritmi alle stelle (così lo descrivono i suoi) ha utilizzato per anticipare al capo dello Stato le emergenze sulle quali intende concentrarsi nel 2010. Al primo punto dell'agenda di governo, i nodi economico-sociali imposti dalla crisi.

Berlusconi lascia il Quirinale (Ansa)

Berlusconi lascia il Quirinale (Ansa)

Per favorire il traghettamento dalla stagnazione alla crescita, Palazzo Chigi sta mettendo a punto un progetto di semplificazione fiscale. Ma, ha assicurato Berlusconi, pianificata su tempi e con metodi che tengano conto del nostro debito pubblico e delle esigenze di essere coerenti con i parametri europei. E poi, in sequenza, ha spiegato le nuove iniziative cui pensa sui problemi dell'occupazione, del Mezzogiorno, della sicurezza, dell'immigrazione, delle carceri, della scuola e dell'università. In pratica, quasi tutti i temi proposti dal presidente della Repubblica nel suo messaggio di fine anno "per dare nuovo slancio all'Italia". Accoglierli in farli propri è parso sul Colle un modo per dimostrare sensibilità e condivisione rispetto agli auspici presidenziali. Un tentativo di rasserenamento. Di altri problemi toccati il 31 dicembre da Napolitano, cioè giustizia e riforme costituzionali, il premier ha soltanto fatto cenno a grandi linee, nella ricognizione di ieri. Probabilmente perché sono problemi troppo caldi e sensibili, specie in questa fase preelettorale. E lo si è visto con l'annunciata accelerazione del Pdl, guardata subito con sospetto dal centrosinistra, per offrire uno scudo giudiziario al premier mettendo contemporaneamente in cantiere norme sul "processo breve" (sia pure emendato) e sul "legittimo impedimento".

Da quel che è trapelato sul "sereno scambio di opinioni", il presidente non si è sbilanciato in giudizi. Il che, dopo tanti velenosi contrasti, dev'esser sembrato al Cavaliere un sufficiente viatico. Almeno per il momento. Non a caso, rientrando a Palazzo Grazioli ha commentato la sua visita sorridendo: "Tutto bene, con Napolitano. Abbiamo parlato delle cose da fare nei prossimi mesi... Tutto bene". Insomma: la fase dell'incomunicabilità ai vertici dello Stato si è chiusa. Era cominciata a ottobre, dopo il no della Consulta sul Lodo Alfano e, tra accuse e polemiche al limite della delegittimazione scatenata dal centrodestra, si era protratta fino al giorno dell'aggressione di piazza Duomo. Da allora, tre telefonate (di solidarietà da parte del presidente, di reciproco scambio d'auguri per le feste e di complimenti del Cavaliere a San Silvestro) hanno poco alla volta sgombrato il clima di sospetti che alimentava le polemiche dei falchi berlusconiani. Tra i quali qualcuno insiste ancora a indicare in un presunto asse tra Quirinale e Fini uno dei pericoli maggiori per il premier. Un'ipotesi di dietrologia politica sempre ignorata, sul Colle, ma non da Fini. Che l'ha respinta anche ieri, da Palermo. "Non c'è nessun asse tra me e Napolitano, ma solo un fatto di buonsenso. Alcune questioni non possono essere eluse. Le riforme vanno fatte e il confronto deve avvenire in Parlamento, senza etichette, partendo non da ciò che è utile oggi ma da ciò che serve dal punto di vista generale".

Marzio Breda

12 gennaio 2010

 

 

 

processo breve da subito per i reati coperti da indulto

Alfano: "Andiamo avanti per una grande

riforma costituzionale della giustizia"

Il ministro: "Prosegue anche l'iter delle leggi ordinarie". Bersani: "Così il dialogo è a rischio"

Angelino Alfano (LaPresse)

Angelino Alfano (LaPresse)

MILANO - Sulla giustizia "abbiamo deciso di andare avanti". Angelino Alfano appare soddisfatto dell'esito del vertice di Palazzo Grazioli. Dopo il ritorno a Roma di Silvio Berlusconi, infatti, il Pdl si è subito rimesso al lavoro. Il premier respinge le accuse dell'opposizione di puntare a leggi ad personam ("sono leggi ad libertatem") e detta le linee programmatiche per il 2010: riforma fiscale, interventi sulla giustizia, riforme costituzionali. È proprio la giustizia il tema del primo vertice dell'anno. "L'incontro è andato molto bene - assicura il Guardasigilli Alfano. - Abbiamo riscontrato la consueta coesione della nostra maggioranza e della nostra coalizione". Il ministro ribadisce le priorità della maggioranza: accelerare i tempi della riforma costituzionale della giustizia e, parallelamente, proseguire l'iter delle leggi ordinarie del processo breve e del legittimo impedimento. "Abbiamo deciso di andare avanti sulla riforma della giustizia - ha aggiunto il ministro -. Partiranno immediatamente degli incontri all'interno della coalizione per definire un testo di riforma costituzionale della giustizia, la grande riforma del settore". Per Alfano questo testo "sarà sottoposto al dibattito parlamentare e sarà un lavoro che avrà tempi rapidi".

"COSÌ DIALOGO A RISCHIO" - L’esito del vertice di maggioranza sulla giustizia con il premier Berlusconi non è piaciuto però al segretario del Pd Pier Luigi Bersani. L'accelerazione del Pdl sui tema della giustizia rischia, secondo il segretario dei democratici, di pregiudicare l’annunciata disponibilità al confronto bipartisan sul complesso delle riforme istituzionali. "Sarebbe questa la prima mossa del "partito dell'amore"? Andando avanti a testa bassa sui suoi provvedimenti il governo sa bene che mette a repentaglio una discussione di sistema sulle riforme istituzionali, ivi compreso il rapporto tra Parlamento e magistratura" è l'avvertimento del segretario dei democratici. "Non bastano i giochi di parole o le finte benevolenze verso l'opposizione a nascondere la realtà dei fatti. La nostra disponibilità è quella dichiarata più volte: si sospendano i provvedimenti che governo e maggioranza hanno annunciato e si discuta subito dell'ammodernamento del nostro sistema" ha concluso Bersani.

PROCESSO BREVE - Intanto la maggioranza ha dato il via libera al maxi-emendamento a firma del senatore Valentino per la modifica del provvedimento sul processo breve. La decisione è stata presa nel corso del vertice a Palazzo Grazioli, come conferma il presidente della commissione Giustizia del Senato, Filippo Berselli. In pratica, il ddl sul processo breve deve valere da subito anche per i processi in corso di primo grado ma non per tutti: solo per quello puniti con meno di 10 anni di pena e relativi a reati coperti da indulto, vale a dire commessi fino al 2 maggio 2006. Il giudice - è scritto nelle modifiche alle disposizioni transitorie - dovrà dichiarare estinto il processo se sono trascorsi più di due anni dal momento in cui il pm ha chiesto il rinvio a giudizio senza che si sia arrivati a una sentenza di primo grado, oppure 2 anni e 3 mesi nei casi di nuove contestazioni.

 

11 gennaio 2010(ultima modifica: 12 gennaio 2010)

 

 

 

 

 

Riforme sì ma vere

Per la coralità con la quale è stato discusso e presentato, il programma emerso ieri dal vertice del centrodestra a palazzo Grazioli ha l’ambizione di un piano per il resto della legislatura. Ma se non decollasse, non è escluso che alla fine possa rivelarsi anche una buona piattaforma elettorale. L’apertura ostentata all’opposizione in materia di giustizia è, almeno nelle intenzioni, un tentativo di disarmare le resistenze sul "processo breve" ed il legittimo impedimento: le misure che riguardano il presidente del Consiglio, sulle quali in realtà le divergenze rimangono, sottolineate dal centrosinistra con toni più o meno immutati.

Ma la maggioranza che ritrova Silvio Berlusconi dopo l’aggressione subita il 13 dicembre scorso in piazza Duomo, a Milano, ha avuto l’accortezza di allargare i propri orizzonti. L’abbinamento con le riforme costituzionali e gli accenni ad una riforma del fisco entro il 2010 hanno l’obiettivo di dare spessore all’iniziativa; e in parallelo di diluire l’impatto dei provvedimenti che peseranno sulla sorte processuale del presidente del Consiglio. La novità è che dopo le tensioni interne dei mesi scorsi, il centrodestra mostra o almeno accredita una nuova compattezza.

Si tratta di una tregua che dovrebbe avere effetti a cascata: gli ultimi accordi per le candidature alle regionali; l’incontro, rinviato da tempo, fra Berlusconi ed il presidente della Camera, Gianfranco Fini; e un rapporto meno rissoso con la minoranza. Il Guardasigilli, Angelo Alfano, rilancia la riforma costituzionale sulla giustizia parlando di "consueta coesione" della coalizione. E indica tempi rapidi per proporla al Parlamento. In realtà, al di là delle ottime intenzioni, le incognite non sono del tutto scomparse. La situazione, pacificata in apparenza, rimane in bilico.

La reazione di Fini all’ipotesi di una riforma delle tasse, fatta dallo stesso Berlusconi, è agrodolce. Sottolineando che senza una copertura finanziaria l’idea si riduce a propaganda, il presidente della Camera offre l’ennesima sponda alle critiche dell’opposizione; e proietta un alone di suspense sul suo vertice con il premier. Ma l’ostacolo-principe rimane la giustizia. Le modifiche offerte da Pdl e Lega sono ritenute dagli avversari inaccettabili. Il fatto che siano state ratificate a palazzo Grazioli e la volontà del governo di approvarle presto, acuiscono le diffidenze.

Il duello in latino fra il Pd che denuncia le "leggi ad personam" e Berlusconi che le definisce "ad libertatem " marca le distanze. L’intenzione del governo di procedere comunque di fronte ad una "melina" parlamentare, è anche un invito a superare i veti di una parte dell’opposizione. Difficile non temere la continuazione delle convulsioni del 2009. L’incontro di ieri al Quirinale fra Berlusconi e il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, fa pensare che rispetto al recente passato esista un margine di mediazione. Il problema è riuscire a conciliare l’esigenza della stabilità con quella di approvare riforme vere che valgano per tutti; che non solo siano di interesse generale, ma vengano percepite come tali.

Massimo Franco

12 gennaio 2010

 

 

 

2010-01-11

processo breve da subito per i reati coperti da indulto

Alfano: "Andiamo avanti per una grande

riforma costituzionale della giustizia"

Il ministro: "Prosegue anche l'iter delle leggi ordinarie". Bersani: "Così il dialogo è a rischio"

MILANO - Sulla giustizia "abbiamo deciso di andare avanti". Angelino Alfano appare soddisfatto dell'esito del vertice di Palazzo Grazioli. Dopo il ritorno a Roma di Silvio Berlusconi, infatti, il Pdl si è subito rimesso al lavoro. Il premier respinge le accuse dell'opposizione di puntare a leggi ad personam ("sono leggi ad libertatem") e detta le linee programmatiche per il 2010: riforma fiscale, interventi sulla giustizia, riforme costituzionali. È proprio la giustizia il tema del primo vertice dell'anno. "L'incontro è andato molto bene - assicura il Guardasigilli Alfano. - Abbiamo riscontrato la consueta coesione della nostra maggioranza e della nostra coalizione". Il ministro ribadisce le priorità della maggioranza: accelerare i tempi della riforma costituzionale della giustizia e, parallelamente, proseguire l'iter delle leggi ordinarie del processo breve e del legittimo impedimento. "Abbiamo deciso di andare avanti sulla riforma della giustizia - ha aggiunto il ministro -. Partiranno immediatamente degli incontri all'interno della coalizione per definire un testo di riforma costituzionale della giustizia, la grande riforma del settore". Per Alfano questo testo "sarà sottoposto al dibattito parlamentare e sarà un lavoro che avrà tempi rapidi".

"COSÌ DIALOGO A RISCHIO" - L’esito del vertice di maggioranza sulla giustizia con il premier Berlusconi non è piaciuto però al segretario del Pd Pier Luigi Bersani. L'accelerazione del Pdl sui tema della giustizia rischia, secondo il segretario dei democratici, di pregiudicare l’annunciata disponibilità al confronto bipartisan sul complesso delle riforme istituzionali. "Sarebbe questa la prima mossa del "partito dell'amore"? Andando avanti a testa bassa sui suoi provvedimenti il governo sa bene che mette a repentaglio una discussione di sistema sulle riforme istituzionali, ivi compreso il rapporto tra Parlamento e magistratura" è l'avvertimento del segretario dei democratici. "Non bastano i giochi di parole o le finte benevolenze verso l'opposizione a nascondere la realtà dei fatti. La nostra disponibilità è quella dichiarata più volte: si sospendano i provvedimenti che governo e maggioranza hanno annunciato e si discuta subito dell'ammodernamento del nostro sistema" ha concluso Bersani.

PROCESSO BREVE - Intanto la maggioranza ha dato il via libera al maxi-emendamento a firma del senatore Valentino per la modifica del provvedimento sul processo breve. La decisione è stata presa nel corso del vertice a Palazzo Grazioli, come conferma il presidente della commissione Giustizia del Senato, Filippo Berselli. In pratica, il ddl sul processo breve deve valere da subito anche per i processi in corso di primo grado ma non per tutti: solo per quello puniti con meno di 10 anni di pena e relativi a reati coperti da indulto, vale a dire commessi fino al 2 maggio 2006. Il giudice - è scritto nelle modifiche alle disposizioni transitorie - dovrà dichiarare estinto il processo se sono trascorsi più di due anni dal momento in cui il pm ha chiesto il rinvio a giudizio senza che si sia arrivati a una sentenza di primo grado, oppure 2 anni e 3 mesi nei casi di nuove contestazioni.

11 gennaio 2010

 

 

 

 

Il premier torna a palazzo grazioli: "stasera vedrò napolitano"

Berlusconi riparte dalla giustizia

"Leggi ad personam? Mi indigno"

Vertice con Alfano. Su Fini: "Una leale collaborazione". Fisco, riforma entro l'anno. Bersani: ma basta annunci

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Tremonti, vertice ad Arcore. E il Cavaliere va in "pressing" (9 gennaio 2010)

L'arrivo di Berlusconi a Palazzo Grazioli (Afp)

L'arrivo di Berlusconi a Palazzo Grazioli (Afp)

ROMA - Berlusconi torna al lavoro dopo una lunga assenza da Roma, quasi un mese, per le conseguenze dell'aggressione subita in piazza Duomo a Milano il 13 dicembre. E riparte dalla giustizia. Davanti a Palazzo Grazioli, dove è stato accolto da alcuni sostenitori, ha parlato dei provvedimenti in agenda, leggi ad personam secondo l'opposizione: "Non voglio più parlare di queste cose, sono leggi ad libertatem e mi indigno soltanto quando sento queste cose, e io non voglio indignarmi".

Berlusconi torna al lavoro Berlusconi torna al lavoro Berlusconi torna al lavoro Berlusconi torna al lavoro Berlusconi torna al lavoro Berlusconi torna al lavoro Berlusconi torna al lavoro Berlusconi torna al lavoro

"NESSUN PROBLEMA CON FINI" - Berlusconi ha poi rassicurato sui suoi rapporti con Fini (che ha convocato un "contro vertice" sulla giustizia): "Per me non ci sono problemi. Abbiamo tanti anni di collaborazione leale alle spalle e io non ho mai avuto dubbi al riguardo". Ma con i giornalisti parla anche della riforma fiscale, dicendosi ottimista sull'ipotesi di portarla a compimento in tempi brevi: "C'è da lavorare, penso però che si possa fare quest'anno. Soprattutto se ci sarà la volontà di tutte le parti. La riforma è indispensabile e fondamentale per ammodernare il Paese". Gli replica Bersani: siamo pronti a discutere di fisco anche domattina, ma il governo la smetta con la politica degli annunci. "Due mesi fa si abolisce l'Irap, adesso si riprende la proposta di 16 anni fa su due aliquote. Questo governo ci fa correre dietro a delle palle perse - ha detto il segretario del Pd -. Discutiamo sulle detrazioni Irpef per il lavoro e le famiglie, sul superamento degli studi di settore, sugli equilibri tra imposte sul lavoro e rendite finanziarie, sulla lotta al nero e all'evasione".

STATUETTE DEL DUOMO - Il premier non ha rinunciato a una battuta sull'aggressione che lo ha tenuto lontano dalla politica per un mese. Rispondendo a una domanda sulle ormai celebri statuette del Duomo, ha detto: "Hanno perso di valore, ormai te le tirano dietro". E sulle ferite che ha riportato: "Ho pochissimi segni. Purtroppo per il dente dovrò fare un impianto. Ma ho fatto dei muscoli fortissimi". Entrando a Palazzo Grazioli, il premier si è anche affacciato nella redazione di Red tv, emittente dell'ala dalemiana del Pd, per fare gli auguri ai redattori. Il ritorno al lavoro avviene dopo quasi un mese di convalescenza, prima al San Raffaele poi ad Arcore, anche se scandito dalle visite di dirigenti del partito ed esponenti di governo. Nel mezzo c'è stata una visita in Francia, dalla figlia Marina, e pochi giorni fa le foto che mostravano il premier senza bende e senza segni sul viso.

VERTICE DI MAGGIORANZA - Stasera Berlusconi incontrerà il presidente Napolitano. Ma prima è in programma un vertice di maggioranza, iniziato subito dopo pranzo. Oltre ai vertici del Pdl, sono presenti anche diversi esponenti della Lega. Un incontro voluto dal premier per fare il punto sull'attività di governo nell'anno appena iniziato. Per il Pdl, oltre ai sottosegretari Letta e Bonaiuti, sono presenti il ministro Alfano, quello della Difesa La russa, Cicchitto, Verdini, Vizzini, Quagliarello, Ghedini, Gasparri, i finiani Bocchino e Bongiorno e il ministro Bondi. Per la Lega sono presenti il ministro Calderoli, Cota, Castelli e Bricolo. Il Cavaliere detterà le linee guida per il 2010: riforma fiscale, interventi sulla giustizia, riforme costituzionali. Si parlerà probabilmente anche di Regionali. Il premier ascolterà i coordinatori, c’è ancora da sciogliere il duplice nodo Puglia-Campania. Anche Fini ha discusso di giustizia in separata sede: a Montecitorio ha incontrato La Russa, Bocchino e la presidente della commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno.

IDV: ENNESIMA BARZELLETTA - Le parole di Berlusconi sulle leggi ad personam provocano la reazione dell'Italia dei Valori: "Leggi ad libertatem? L'ennesima barzelletta del premier, stavolta in latino - dice il capogruppo alla Camera Massimo Donadi -. A smentire le parole di Berlusconi è l'evidenza dei fatti: è stato assolto in 11 processi su 13 solo perché ha cambiato le leggi, con provvedimenti ad personam. Su queste basi non ci può essere alcun dialogo". Il sottosegretario Bonaiuti ha invece spiegato che "non si tratta di leggi ad personam, ma di giustizia ad personam. Cioè di una risposta a una giustizia politicizzata che ha colpito il presidente del Consiglio in quella maniera. Se l'opposizione dà segno di recepirlo, abbiamo fatto un passo avanti".

 

11 gennaio 2010

REPUBBLICA

per l'articolo completo vai al sito Internet

http://www.repubblica.it

2010-01-22

Il presidente della Camera: "Ci sono questioni da approfondire. E questo e' il ruolo del Parlamento''

La difesa di Napolitano: "Assurdo pretendere che intervenga durante i lavori parlamentari"

Processo breve, Fini prevede cambiamenti

"La Camera lo modificherà ancora"

Pd: "Parleremo con i parlamentari della maggioranza che mal sopportano i diktat di Berlusconi'

Udc: "L'unica soluzione è il legittimo impedimento. E sulle Regionali non ci faremo intimidire"

Processo breve, Fini prevede cambiamenti "La Camera lo modificherà ancora"

Fini e Berlusconi

ROMA - Processo breve? "C'è tempo per fare alcune modifiche". Napolitano? "Assurdo tirarlo in ballo quando le Camere lavorano". Ci sono ancora i temi della giustizia nelle parole di Gianfranco Fini. Il presidente della Camera, che ieri ha incontrato Silvio Berlusconi, ribadisce quello che era trapelato nel faccia a faccia. E cioè che il testo del ddl non è "blindato". E che c'è spazio per alcune modifiche. "Ora c'è il secondo round al Parlamento, ci sarà una discussione e il giudizio va dato solo alla fine dell'iter" dice Fini interpellato da uno studente durante una lectio magistralis a Tor Vergata a Roma. Sottolineando sia le modifiche apportate al Senato, sia lo stanziamento di fondi alla Giustizia previsto in Finanziaria ("anche se non sono sufficienti al 100 per cento, le risorse ci sono").

Per questo, chiarisce Fini, ''ci sono alcune questioni che meritano di essere approfondite. E questo e' il ruolo del Parlamento''. Certo, continua il presidente della Camera, il testo iniziale della legge al Senato ha subito ''notevoli modifiche'' ma 'il giudizio complessivo sul provvedimento potra' esser dato alla fine. Comunque, nota positivamente Fini, alcune norme ''incostituzionali'' come per esempio l'applicazione del processo breve solo a cittadini incensurati e non a tutti i cittadini italiani sono state cancellate in Senato. la risposta dell'opposizione non tarda ad arrivare. "Siamo determinati a condurre la nostra battaglia alla Camera con i nostri emendamenti, con le eccezioni di costituzionalita', con l'opera di convincimento verso parlamentari della maggioranza che mal sopportano i diktat di Berlusconi'' dice Michele Ventura, vicepresidente vicario dei deputati democratici. Mentre il leader dell'Udc, Pierferdinando Casini taglia corto: "Il legittimo impedimento è l'unica soluzione per i problemi di Berlusconi".

 

Napolitano. Poi, l'ex leader di An, si spende a tutela del capo dello Stato. Non piacciono, al presidente della Camera, i tentativi di tirare per la giacca Giorgio Napolitano sui temi della giustizia: "Non si può ipotizzare che mentre il Parlamento lavora il presidente parli: pensare ad una cosa del genere significa non conoscere il nostro ordinamento perché quando il Parlamento lavora il capo dello Stato deve tacere. Non si può chiedergli di diventare un attore politico". Replica Antonio Di Pietro che più di una volta ha sollecitato l'intervento di Napolitano: : "Il nostro auspicio è stato ed è che, una volta approvato, il presidente Napolitano non firmi. Questo crediamo appartenga alla sfera del diritto di parola e, soprattutto, del diritto di sperare e ci auguriamo che non ci siano tolti".

Democrazia. "Un governo che si basa legittimamente sul potere costituito e sui voti è un governo autenticamente democratico che sa anche riconoscere le ragioni e le argomentazioni degli altri". mentre pronuncia queste parole Fini, dice di non fare riferimento alla situazione politica odierna. Certo, però, difficile non pensare ad un riferimento, seppur indiretto, all'oggi. Non fosse altro perché già altre volte il presidente della Camera aveva marcato la differenza con Berlusconi sul modo di intendere democrazia e governabilità. Per Fini "l'ideale della democrazia può essere interpretato in modi assai diversi: alcuni pensano che la democrazia richieda soltanto la regola della maggioranza; altri, invece, pensano che un sistema democratico si possa definire tale solo se è sensibile alla volontà popolare". Il presidente della Camera si dice convinto "che compito della politica sia quello di promuovere la democrazia partecipativa: un idea che intende unire la responsabilità politica con un alto grado di riflessione ed un impegno generale allo scambio di ragioni".

Lobbies e Parlamento. 'Nei sistemi in cui il Parlamento e' forte, nel senso che gioca un ruolo chiave nei processi politici, esiste una regolamentazione della rappresentanza parlamentare delle lobbies. All'opposto, al Parlamento debole corrispondono interessi oscuri" dice Fini. Che cita Usa Barak Obama sottolineando l'incertezza del presidente Usa di poter approvare in Parlamento la riforma sanitaria.

(22 gennaio 2010) Tutti gli articoli di Politica

 

 

 

 

 

 

 

Potere e diritto

di EZIO MAURO

DUNQUE il Padre Costituente era un Padre Deformante. La norma del cosiddetto processo breve scardina il diritto dei cittadini ad avere giustizia, il dovere dello Stato di amministrarla, l'interesse del Paese ad una regola di base della convivenza civile come l'uguaglianza di tutti di fronte alla legge. Soprattutto, con l'esecutivo che usa come un'arma personale il legislativo per bloccare il giudiziario, quella norma vanifica il principio della separazione dei poteri, senza il quale, come diceva la Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1789, una società "non ha una costituzione".

Questo è il vero punto su cui istituzioni, partiti e cittadini devono riflettere. È ben chiaro che le regole del gioco di un sistema si cambiano tutti insieme. Ma a patto che nessuno, intanto, manometta per sua personale urgenza alcune regole fondamentali, prima ancora che il confronto abbia inizio. Chi lo fa, è inaffidabile per due ragioni: perché nessuna riforma condivisa inizia con un colpo di mano, e soprattutto perché nessuna stagione costituente può fondarsi su un salvacondotto.

Con questa legge di privilegio, Berlusconi ha in realtà già riformato da solo il sistema, a forza, sovraordinando il suo potere al diritto, mentre il concetto politico-giuridico di Stato punta ad una sintesi tra potere e diritto, eliminando la forza dall'ambito delle istituzioni. Siamo davvero di fronte ad un "brusco spostamento tra politica e giustizia". La prima regola democratica è prenderne atto, ed essere conseguenti.

© Riproduzione riservata (22 gennaio 2010)

 

 

 

 

 

 

Il Guardasigilli in Parlamento: la magistratura è autonoma, ma le leggi

le fa il Parlamento. E annuncia piano straordinario per la giustizia civile

Alfano ai magistrati: "Non faremo leggi punitive"

Anm: "Processo breve resa alla criminalità"

La replica del ministro: "Mi cadono le braccia. Sono plateali mistificazioni"

Nell'incontro Fini-Berlusconi il premier disponibile a qualche modifica e a non premere sui tempi

ROMA - "Non abbiamo intenzione di fare regolamenti punitivi o che rendano negletta la giustizia. Crediamo nell'autonomia e l'indipendenza dei magistrati, che sono soggetti solo alla legge, ma alla legge sì, e la legge la fa il Parlamento". Lo ha detto il ministro della Giustizia Angelino Alfano, replicando nell'aula di Montecitorio nel corso del dibattito sulla sua relazione sullo stato della giustizia in Italia. E in un momento in cui la polemica resta altissima, dopo l'approvazione, ieri in Senato, delle norme sul processo breve. Una decisione commentata oggi, con durezza, da Giuseppe Cascini, segretario dell'Anm: "Questa è la resa dello Stato di fronte alla criminalità. Noi abbiamo il dovere di denunciare la gravità delle conseguenze di questa legge. Si stanno mettendo in discussione le fondamenta dello Stato democratico".

La replica. "Mi cadono le braccia", ha replicato il Guardasigilli. Quelle dell'Anm - ha detto Alfano - sono "plateali mistificazioni" compiute da "chi non può non sapere che il processo a data certa (così definisce il ministro il ddl sul 'processo breve', ndr) per la criminalità organizzata dura dieci anni, a cui si aggiungono quelli delle indagini che a loro volta hanno tempi più lunghi rispetto ai reati minori. Stiamo dunque parlando di 13-15 anni".

L'intervento alla Camera. In precedenza, nel suo discorso a Montecitorio, il Guardasigilli ha spiegato che "i magistrati devono applicare la legge perché soggetti non al governo né al ministro, ma alle leggi del Parlamento, che esprime la sovranità popolare, la stessa in nome della quale i giudici emettono le sentenze. Non ci sono sovranità maggiori o minori". Poi, rispondendo a una domanda, ha detto di aver da poco bandito un concorso per 300 posti in magistratura: "Avevo già bandito un concorso per 500 posti in magistratura ma i candidati idonei sono stati meno della metà. E' colpa del governo o del ministro?".

 

Alfano ha anche annunciato un piano straordinario per la giustizia civile, in cui si registrano le lentezze più incredibili: "Vogliamo abbattere in mille giorni, ossia in 3 anni, gli oltre 5 milioni di processi civili pendenti". Il piano dovrebbe essere presentato in "tempi brevi" al Consiglio dei ministri. Conclusione: a suo giudizio, la sfida sulla riforma della giustizia è quella "tra chi vuole cambiare la giustizia e l'Italia in direzione migliorativa e chi, invece, vuole lasciare le cose così come sono".

Reazioni. "La relazione di Alfano è la dimostrazione dell'incapacità e del fallimento della sua azione di governo", ha replicato la capogruppo del Pd nella II commissione di Montecitorio, Donatella Ferranti questa mattina in aula alla Camera riferendosi all'intervento del ministro della Giustizia, Angelino Alfano. "Dopo le 'leggi ad personam' - ha detto la parlamentare - siamo arrivati al 'ministro ad personam'".

E sempre oggi, il Consiglio superiore della magistratura ha annunciato che la Prima commissione valuterà se inserire anche le critiche fatte ieri dal premier alle toghe - che ha parlato dei pm di Milano come un "plotone di esecuzione" - nella pratica già aperta sui suoi attacchi alla categoria.

L'incontro Berlusconi-Fini. Secondo il ministro Bondi è stato il "miglior incontro di sempre tra il premier e il presidente della Camera". Fini e Berlusconi si sono visti a pranzo all'hotel De Russie presenti i capigruppo e i vertici del Pdl: hanno parlato di elezioni regionali e accordi possibili con l'Udc, ma anche e soprattutto di giustizia. Ne sarebbe uscita una soluzione più "soft" di quanto finora si sapeva: certamente il premier non ha abbandonato l'idea di portare in porto il processo breve, ma non ha 'pressato' Gianfranco Fini sulla tempistica del provvedimento alla Camera ed ha mostrato disponibilità ad eventuali modifiche, prendendo di fatto tempo. Il legittimo impedimento, opportunamente riveduto e corretto, potrebbe bastare e consentire al premier di affrontare la campagna elettorale per le regionali senza l'assillo dei processi che incombono.

(21 gennaio 2010) Tutti gli articoli di Politica

 

 

 

 

 

2010-01-21

Il Guardasigilli in Parlamento: la magistratura è autonoma, ma le leggi

le fa il Parlamento. E annuncia piano straordinario per la giustizia civile

Alfano ai magistrati: "Non faremo leggi punitive"

Anm: "Processo breve resa alla criminalità"

Cascini: abbiamo il dovere di denunciare la gravità delle conseguenza

Alfano ai magistrati: "Non faremo leggi punitive" Anm: "Processo breve resa alla criminalità"

Angelino Alfano

ROMA - "Non abbiamo intenzione di fare regolamenti punitivi o che rendano negletta la giustizia. Crediamo nell'autonomia e l'indipendenza dei magistrati, che sono soggetti solo alla legge, ma alla legge sì, e la legge la fa il Parlamento". Lo ha detto il ministro della Giustizia Angelino Alfano, replicando nell'aula di Montecitorio nel corso del dibattito sulla sua relazione sullo stato della giustizia in Italia. E in un momento in cui la polemica resta altissima, dopo l'approvazione, ieri in Senato, delle norme sul processo breve.

Un ok commentato oggi, con durezza, da Giuseppe Cascini, segretario dell'Anm: "Questa è la resa dello Stato di fronte alla criminalità. Noi abbiamo il dovere di denunciare la gravità delle conseguenze di questa legge. Si stanno mettendo in discussione le fondamenta dello Stato democratico".

Nel suo intervento alla Camera, invece, il Guardasigilli ha spiegato che "i magistrati devono applicare la legge - ha spiegato il Guardasigilli - perché soggetti non al governo né al ministro, ma alle leggi del Parlamento, che esprime la sovranità popolare, la stessa in nome della quale i giudici emettono le sentenze. Non ci sono sovranità maggiori o minori". Poi, rispondendo a una domanda, ha detto di aver da poco bandito un concorso per 300 posti in magistratura: "Avevo già bandito un concorso per 500 posti in magistratura ma i candidati idonei sono stati meno della metà. E' colpa del governo o del ministro?".

Alfano ha anche annunciato un piano straordinario per la giustizia civile, in cui si registrano le lentezze più incredibili: "Vogliamo abbattere in mille giorni, ossia in 3 anni, gli oltre 5 milioni di processi civili pendenti". Il piano dovrebbe essere presentato in "tempi brevi" al Consiglio dei ministri. Conclusione: a suo giudizio, la sfida sulla riforma della giustizia è quella "tra chi vuole cambiare la giustizia e l'Italia in direzione migliorativa e chi, invece, vuole lasciare le cose così come sono".

E sempre oggi, il Consiglio superiore della magistratura ha annunciato che la Prima commissione valuterà se inserire anche le critiche fatte ieri dal premier alle toghe - che ha parlato dei pm di Milano come un "plotone di esecuzione" - nella pratica già aperta sui suoi attacchi alla categoria.

(21 gennaio 2010) Tutti gli articoli di Politica

 

 

 

 

La pretesa immunitaria

di GIUSEPPE D'AVANZO

IL "processo breve" è la ventesima legge approvata nell'interesse di Silvio Berlusconi dai commessi nominati in Parlamento dalla Lega e dal Partito della libertà. È una legge che salva l'Egoarca (morirà il rognosissimo processo Mills, dove è accusato di corruzione). Qualche effetto immediato. La legge sfascia la già malmessa macchina giudiziaria. Non c'è, infatti, nessun contemporaneo provvedimento che asciughi le procedure, depenalizzi i reati, renda più efficiente l'organizzazione giudiziaria, qualifichi le risorse umane e incrementi gli strumenti materiali.

Il "processo breve" impoverisce le casse dello Stato perché si creano condizioni favorevoli alla "casta" (ministri, sindaci, amministratori pubblici) per non risarcire il danno di sperperi e distrazioni. Allontana dalla condanna le società che hanno la responsabilità amministrativa dei reati commessi dal management nell'interesse dell'azienda. Prepara soprattutto un processo ingiusto e diseguale. Lasciate immutati, oltre ogni ragionevolezza, i reati, le procedure e le garanzie processuali, il processo non potrà che avere tempi lunghi. Effetti a lungo termine. Un processo - da un lato, nato per essere dilatato nei tempi e, dall'altro, strozzato nella durata - è uno strumento destinato a diventare superfluo, inutilizzabile, inutile. Soprattutto è un arnese che non potrà essere mai "giusto", nonostante le filastrocche a uso televisivo delle ugole obbedienti. Perché danna i poveri cristi senza risorse e premia chi ha il denaro per pagarsi legulei competenti nell'esplorare i labirinti della procedura. In conclusione, il paese sarà più fragile, insicuro e criminofilo con giubilo dei delinquenti con e senza colletto bianco: c'è finalmente il modo legale per arraffare, arricchirsi, farsi prepotente senza danno, malvivere senza pagare dazio né allo Stato né agli innocenti diventate vittime.

Il "processo breve", frutto avvelenato di un'arrogante pretesa immunitaria, è soltanto l'intimidatoria ipoteca che, per ora, Berlusconi lascia sul tavolo. È già accaduto appena ieri, nel 2008. Con un emendamento al decreto sicurezza, il capo del governo si fa approvare la sospensione di un anno dei processi per fatti commessi prima del 1 luglio 2002, la cui pena non ecceda i dieci anni (è il suo caso). La norma manda all'aria centomila processi. Berlusconi l'agita per rendere accettabile come "danno minore" un provvedimento che lo rende immune fino a fine mandato (il "lodo Alfano" sarà approvato l'11 luglio 2008 e bocciato dalla Consulta, perché incostituzionale, il 7 ottobre 2009).

Il quadro tattico, in apparenza, non pare diverso in quest'anno di grazia 2010. Distruttivo dell'intero sistema giudiziario, il "processo breve" è il mostruoso sgorbio che dovrebbe convincerci ad accogliere, come riduttivo di un rovinoso danno, un altro provvedimento che, senza umiliare l'interesse collettivo, può ottenere lo stesso risultato: il congelamento dei processi del Cavaliere. E soltanto apparenza. In realtà, in quest'occasione la strategia che si intravede dietro mosse rituali guarda più lontano, è più pericolosa perché vuole essere definitiva.

Il "male minore" (per i cittadini, per lo Stato), che dovrebbe salvare l'Egoarca dalle sue rogne giudiziarie, è il disegno di legge sul "legittimo impedimento" (da lunedì alla Camera). È la riformulazione, ancora per via ordinaria e quindi incostituzionale, del "lodo Alfano". La definiscono "disposizione temporanea in materia di legittimo impedimento del presidente del consiglio a comparire nelle udienze penali". Prevede che "costituiscano motivo di rinvio delle udienze gli impegni istituzionali del capo del governo". La norma sarà valida, per "tutti i processi in corso in ogni fase, stato o grado", solo per 12 mesi in attesa di una riforma costituzionale che reintroduca l'immunità parlamentare (già pronta la proposta bi-partisan Chiaromonte-Compagna). Naturale che Berlusconi non si fidi dell'escamotage o della solidità di quel "ponte". Perché dovrebbe vedere garantita la sua salvezza in una legge (il "legittimo impedimento") che oltraggia la Costituzione in attesa che la Costituzione venga poi riscritta per cicatrizzare la ferita? Un pasticcio, come nemmeno un Ghedini potrebbe organizzare. È ovvio che il capo del governo vorrà raddoppiare la sua pressione sull'opposizione, sul capo dello Stato, sulla magistratura, sull'opinione pubblica con l'uno e l'altro dei provvedimenti ("processo breve" e "legittimo impedimento") per ottenere il consenso ad aprire subito (e al diavolo il governo e le difficoltà del Paese) una "stagione costituente" che assegni alle Camere il potere di "disporre, a garanzia della funzione parlamentare, la sospensione del procedimento per la durata del mandato" (così si legge nel disegno di legge Chiaromonte-Compagna).

Ora si ascoltano molti pareri favorevoli al ritorno irrobustito dell'immunità parlamentare. Poco male. Allarma che l'opposizione - e anche segmenti di una magistratura stressata e "stanca di guerra" - non si accorgano che la revisione dell'immunità (il Cavaliere deve farsela approvare anche dall'opposizione perché, impopolarissima, non supererebbe il referendum) è nelle manifeste intenzioni di Berlusconi la cruna attraverso cui infilare il cammello della "costituzionalizzazione" di se stesso, dell'anomalia dei suoi interessi confusi e sovrapposti, il congegno per potenziare un potere che immagina limitato da troppi contrappesi (parlamento, ordine giudiziario, capo dello Stato, Corte costituzionale). A Bonn è stato fin troppo chiaro, a questo proposito. È dunque la riforma della Costituzione l'ancoraggio finale di una strategia cominciata oggi con l'approvazione al Senato del "processo breve". L'agenda politica può essere favorevole per il progetto. Dopo le elezioni regionali (marzo), non si voterà per tre anni. Lontano dagli elettori, il sistema politico potrà ritornare sordo e autoreferenziale. Le carte sono già in tavola, se le si vuole vedere. L'Egoarca chiede che la Costituzione diventi strumento di chi governa, Instrument of Government, dispositivo per esercitare il potere. Ci si sarebbe aspettato che, nella sinistra nouveau style, qualche autorevole oracolo ricordasse che la Carta fondamentale della Repubblica è figlia di un costituzionalismo che non l'ha immaginata strumento di governo ma di garanzia contro gli abusi del potere. Al contrario, evocando la "bozza Violante" (fine del bicameralismo perfetto, riduzione del numero dei deputati, Senato federale), le menti soi-disant "realiste" dell'opposizione sembrano convolare verso la linea tracciata dall'Egoarca. Enfatizzano la modernità della "bozza", ne occultano in pubblico il più autentico obiettivo: il rafforzamento dei poteri del premier. Che, una volta immunizzato per sempre, è appunto l'obiettivo dell'Egoarca.

Bisogna prendere atto oggi che non si odono voci responsabili che denuncino quanto possa essere pericoloso imboccare questa strada. "Chi ci salverà da Berlusconi, "padre costituente"?", si chiedeva nel 2004 lo storico Sergio Luzzatto. La risposta provvisoria è oggi questa: a livello politico, nessuno sembra aver voglia di salvarci. Chi potrebbe farlo o tace o dissimula le sue intenzioni. Soffiano arie bicamerali e, dopo il voto regionale, infurieranno impetuose, aggressive e libere.

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Saviano: "I criminali se la caveranno

a pagare è chi aspetta giustizia"

di CARMELO LOPAPA

Saviano: "I criminali se la caveranno a pagare è chi aspetta giustizia"

ROMA - "Non si possono velocizzare i processi a discapito di chi sta attendendo giustizia. Adesso il messaggio è chiaro. Se in Italia qualcuno pensa di avere risposta dallo Stato, sa che spesso potrà non averla. E chi al contrario percorre strade trasversali alla legalità, quelle della criminalità organizzata e non solo, avrà la consapevolezza di potersela cavare. Che esistono le regole, ma che possono essere corrette".

Roberto Saviano, che accadrà quando il processo breve diventerà legge col voto della Camera?

"Per capirlo bisogna ricorrere ad alcune immagini. Processo Spartacus, quello che nei giorni scorsi ha portato alla condanna all'ergastolo in Cassazione per 16 boss della vecchia guardia casalese: con questa legge il primo grado non sarebbe rientrato nei tempi. Sarebbe stato impossibile dimostrare che lo Stato persegue i reati, che è in grado, magari con lentezza, di condannare i colpevoli. Ancora, col processo breve giungeranno a prescrizione i maggiori processi in corso per incidenti sul lavoro. Processi che purtroppo necessitano di tempi lunghi per via delle perizie tecniche e a causa della lentezza della macchina giudiziaria. Per non parlare in ultimo della colpa medica. Tutte le persone che hanno subito interventi medici segnati da errori o terapie sbagliate vedranno cancellato il loro processo".

I cittadini hanno diritto a tempi rapidi, è la tesi del governo.

"Ma perché i cittadini devono pagare due volte? Prima, attendendo tempi lunghissimi per il giudizio. Poi, durante il processo, vedendo cancellata la speranza di avere giustizia? Vero, bisogna velocizzare i processi. La lentezza della macchina giudiziaria italiana è scandalosa, ancor più per un paese che si definisce democratico. Prioritario e giusto velocizzarla. Ma rendendola più efficiente, mettendola in grado di funzionare. Non si può pensare di velocizzare a discapito di chi cerca giustizia".

 

Obiezioni valide, se non si trattasse di una legge ad personam.

"Basterebbe poco per dimostrare che non si tratti di una norma che fa gli interessi di qualcuno. Dire: ecco, questa legge entrerà in vigore da domani, a partire dai nuovi processi, non ha valore retroattivo. Ma purtroppo così non è".

Ritiene che tra i rischi vi sia quello della diffusione di un senso di impunità, una sorta di incentivo involontario alla criminalità organizzata?

"Il rischio c'è. La criminalità organizzata, e non solo, potrà pensare di cavarsela sempre. Che le regole ci sono ma modificabili".

Il suo appello contro il processo breve, attraverso il nostro giornale e il sito, ha raccolto 500 mila firme. È stato tutto vano?

"Non è stato vano. Quelle centinaia di migliaia di persone sono lì a ricordare che quella non è una legge condivisa, che non va nella direzione della democrazia. Su questo, concordano molti elettori del centrodestra. Mi chiedo con che faccia, da domani, i rappresentanti del governo potranno guardare negli occhi chi chiede giustizia e non potrà più averne".

Ormai la legge è in dirittura d'arrivo. In cosa spera?

"Spero ci sia ancora un margine perché rinsavisca chi crede ancora nello Stato. Se poi la legge sul processo breve verrà approvata anche dalla Camera, allora spero che venga rimandata in Parlamento".

Da domani, lei inizierà un seminario alla Normale di Pisa. Sarà uno dei più giovani docenti.

"Il direttore della Normale, Salvatore Settis, mi ha offerto la possibilità di tenere un seminario e la cosa mi gratifica e mi entusiasma. Terrò un seminario su "metodo e analisi criminale", applicata sia al genere letterario che ai metodi investigativi".

Saviano in cattedra, per dire cosa?

"Nella prima lezione, cercherò di dimostrare come l'immigrazione nel Sud Italia stia diventando uno strumento di lotta alla mafia. Come, a partire dagli anni '70, le grandi città meridionali si siano svuotate a causa dell'emigrazione e africani e immigrati abbiano coperto quei vuoti. Ma non riproducendo più il sistema criminale preesistente, anzi cercando di scardinarlo. Il caso Rosarno lo dimostra".

E il suo obiettivo, al di là del messaggio?

"Fornire informazioni alle nuove generazioni. Sarà come servire ai ragazzi dei picconi, delle torce sui caschi. Spero così di costruire un metodo attraverso il quale aiutare a guardare con occhi diversi la realtà".

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Ecco le nuove norme

sul processo-breve

ROMA - L'ultima versione del ddl approvato dal Senato e che ora passerà all'esame di Montecitorio prevede che la nuova norma sul processo breve si applichi a tutti i reati ma con diverse scansioni temporali, fino a un massimo di 6,5 anni per il primo grado per processi di mafia e terrorismo particolarmente complessi e con un elevato numero di imputati. Eliminate le esclusioni oggettive e soggettive dalla norma, e tutti i processi per reati commessi prima del 2 maggio 2006 e puniti con pena pecuniaria o fino ai 10 anni di reclusione che non siano arrivati a conclusione del primo grado verranno di fatto chiusi senza sentenza.

Durata dei processi. La nuova legge, che si applica a tutte le tipologie di imputato, stabilisce che, per "violazione della durata ragionevole del processo", il procedimento per i reati sotto i 10 anni, dal momento in cui il pm "esercita l'azione penale", si estingue dopo 3 anni per il primo grado, 2 anni per il secondo e un anno e 6 mesi per la cassazione (non più, dunque, 2+2+2 ma 3+2+1). In caso di annullamento della cassazione con rinvio al tribunale o in appello si prevede un anno per ogni grado di giudizio.

Tempi più lunghi per processi complessi. Per i processi per reati con pena pari o superiore ai 10 anni, la norma prevede un tempo di 4 anni per il primo grado, 2 per l'appello e 1 per la cassazione. Per quanto riguarda i processi per reati di terrorismo e mafia, infine, i termini di durata salgono a 5 anni per il primo grado, 3 per il secondo e 2 anni per la Cassazione, con facoltà del giudice di prorogare questi termini fino a un terzo in più nel caso si tratti di procedimenti molto complessi e con elevato numero di imputati.

 

Processi estinti. La norma transitoria di applicazione del ddl stabilisce che il limite temporale di durata interviene per tutti quei processi in corso alla data di entrata in vigore della legge relativa ai reati coperti dall'indulto puniti con pena pecuniara o detentiva inferiore ai 10 anni. In questo caso, il giudice applica la norma e pronuncia il non doversi procedere per estinzione del processo se sono decorsi 2 anni da quando il pm ha avviato l'azione penale e se non è stato definito ancora il primo grado di giudizio. Con questa norma, quindi, lo stralcio del processo Mills che vede imputato Berlusconi verrebbe immediatamente chiuso.

Reati contabili. Nei giudizi davanti alla corte dei conti il processo si estingue se, dall'atto di citazione, sono trascorsi più di 3 anni senza che sia stato emesso il provvedimento che definisce il giudizio di primo grado. Un termine che scende a 2 anni in caso di appello.

(20 gennaio 2010)

 

 

 

 

 

 

 

 

2010-01-20

Palazzo Madama approva il ddl ((163 sì, 130 no, 2 astenuti). Ora tocca alla Camera

Bagarre in Aula. Bersani: "E' la cosa peggiore che il governo poteva fare". No dell'Ugl

Senato, via libera al processo-breve

Berlusconi: "Ma è sempre troppo lungo"

Il presidente del Consiglio: "Non vado ai miei processi, troverei un plotone d'esecuzione"

Il comitato intermagistrature: "Conseguenze devastanti per l'intero sistema italiano"

Senato, via libera al processo-breve Berlusconi: "Ma è sempre troppo lungo"

Anna Finocchiaro

ROMA - Nessuna sorpresa a palazzo Madama. Finisce con il Senato che approva il ddl sul processo breve. Tra le proteste delle opposizioni e l'esultanza della maggioranza. Il ddl, fortemente voluto dal premier, passa (163 sì, 130 no, 2 astenuti) e va alla Camera. I cinque articoli sono stati modificati con il maxiemendamento del relatore Giuseppe Valentino del Pdl che ha allungato la durata massima di alcuni gradi di giudizio, superati i quali scatta l'estinzione. E alle proteste dell'opposizione replica Silvio Berlusconi: "Siete intellettualmente disonesti, non c'è nulla di incostituzionale". E aggiunge: "I miei processi? I legali mi sconsigliano di presentarmi, troverei un plotone d'esecuzione". Nonostante il via libera il Cavaliere non è contento: "'Il mio parere è negativo perchè i tempi, quelli introdotti con questa nuova legge, non sono ragionevoli. Dieci o più anni... vorrei fossero più brevi". E a poche ore dalle celebrazioni dedicate a Bettino Craxi nel decennale della sua scomparsa, dice: "Era un mio amico. Tutti hanno detto quello che lui ha portato nella politica italiana e credo che sia da annoverare tra i protagonisti della nostra storia repubblicana".

 

Di tutt'altro tenore l'affondo del Comitato Intermagistrature (che riunisce la magistratura ordinaria, amministrativa e contabile e l'Avvocatura dello Stato) che dice no "a riforme che distruggono la giustizia" e ribadisce le "fortissime preoccupazioni già espresse nelle più varie sedi istituzionali per il ddl sul processo breve che rischia di produrre conseguenze devastanti sull'intero sistema della giustizia italiana". E anche il segretario del Pd, Pierluigi Bersani definisce la scelta della maggioranza "la cosa peggiore che si potesse fare, distruggere migliaia di processi, lasciare senza giustizia migliaia di vittime per salvare uno solo". In dissenso anche l'Ugl (il sindacato di Renato Polverini che il Pdl candida nel Lazio): "I problemi della giustizia non si risolvono così" dice il segretario nazionale Ugl ministeri Paola Saraceni.

 

Polemiche in Aula. Seduta movimentata quella mattutina.Come quella di ieri pomeriggio. Con i senatori dell'IdV che alzano cartelli nei quali si invita Berlusconi a farsi processare, certificando 'la morte della giustizia'. E proprio verso di loro il senatore del Pdl Domenico Gramazio lancia un fascicolo che prende in pieno il senatore Elio Lannutti. Per Schifani è troppo: "Adesso basta - urla il presidente del Senato - ritirate quei cartelli". Poco prima era stata la democratica Anna Finocchiaro a tuonare contro la maggioranza: "Con il processo breve decretate la fine di migliaia di processi penali e quindi ci sarà una denegata giustizia per migliaia di cittadini. Si vuole salvare Berlusconi dai suoi processi. Approvate così una norma che non esiste in nessuna parte del mondo". Per salvare Berlusconi "si da' il colpo di grazia alla giustizia italiana" attacca il senatore del Pd Giuseppe Lumia.

Gongola, invece, la maggioranza. Per il capogruppo del PdL Maurizio Gasparri: "La legge non cancellerà i processi. Riguarderà solo l'1% dei processi. Per i reati di mafia e terrorismo arriviamo ad oltre 15 anni di durata. E' questo un processo breve?". Poi tocca alla Lega: "Fino a pochi mesi fa eravate d'accordo con questa riforma. Quando vi siete accorti che questa riforma avrebbe riguardato anche il Presidente Berlusconi, avete cambiato idea e vi siete contraddetti. Siete voi che vi dovreste vergognare" dice il capogruppo Federico Bricolo.

Nel gruppo del Pdl, però, è da registrare un dissenso. E' quello di Enrico Musso, docente universitario di economia applicata, che prende la parola per dichiarare il dissenso dal suo gruppo. "Stiamo commenntendo un errore grave, quello di non ammettere pubblicamente che c'erano due obiettivi, quello della ragionevole durata dei processi e quello che è diventato una sorta di agenda nascosta, la tutela del presidente del Consiglio".

 

(20 gennaio 2010) Tutti gli articoli di Politica

 

 

 

La scheda

Ecco le nuove norme

sul processo-breve

ROMA - L'ultima versione del ddl approvato dal Senato e che ora passerà all'esame di Montecitorio prevede che la nuova norma sul processo breve si applichi a tutti i reati ma con diverse scansioni temporali, fino a un massimo di 6,5 anni per il primo grado per processi di mafia e terrorismo particolarmente complessi e con un elevato numero di imputati. Eliminate le esclusioni oggettive e soggettive dalla norma, e tutti i processi per reati commessi prima del 2 maggio 2006 e puniti con pena pecuniaria o fino ai 10 anni di reclusione che non siano arrivati a conclusione del primo grado verranno di fatto chiusi senza sentenza.

Durata dei processi. La nuova legge, che si applica a tutte le tipologie di imputato, stabilisce che, per "violazione della durata ragionevole del processo", il procedimento per i reati sotto i 10 anni, dal momento in cui il pm "esercita l'azione penale", si estingue dopo 3 anni per il primo grado, 2 anni per il secondo e un anno e 6 mesi per la cassazione (non più, dunque, 2+2+2 ma 3+2+1). In caso di annullamento della cassazione con rinvio al tribunale o in appello si prevede un anno per ogni grado di giudizio.

Tempi più lunghi per processi complessi. Per i processi per reati con pena pari o superiore ai 10 anni, la norma prevede un tempo di 4 anni per il primo grado, 2 per l'appello e 1 per la cassazione. Per quanto riguarda i processi per reati di terrorismo e mafia, infine, i termini di durata salgono a 5 anni per il primo grado, 3 per il secondo e 2 anni per la Cassazione, con facoltà del giudice di prorogare questi termini fino a un terzo in più nel caso si tratti di procedimenti molto complessi e con elevato numero di imputati.

 

Processi estinti. La norma transitoria di applicazione del ddl stabilisce che il limite temporale di durata interviene per tutti quei processi in corso alla data di entrata in vigore della legge relativa ai reati coperti dall'indulto puniti con pena pecuniara o detentiva inferiore ai 10 anni. In questo caso, il giudice applica la norma e pronuncia il non doversi procedere per estinzione del processo se sono decorsi 2 anni da quando il pm ha avviato l'azione penale e se non è stato definito ancora il primo grado di giudizio. Con questa norma, quindi, lo stralcio del processo Mills che vede imputato Berlusconi verrebbe immediatamente chiuso.

Reati contabili. Nei giudizi davanti alla corte dei conti il processo si estingue se, dall'atto di citazione, sono trascorsi più di 3 anni senza che sia stato emesso il provvedimento che definisce il giudizio di primo grado. Un termine che scende a 2 anni in caso di appello.

(20 gennaio 2010) Tutti gli articoli di Politica

 

 

 

Il sospetto

di GUSTAVO ZAGREBELSKY

C'è una gran voglia di voltare pagina e guardare avanti. Quello che è stato un Paese riconosciuto e rispettato per la sua politica, la sua cultura, la civiltà dei rapporti sociali, è ormai identificato con l'impasse in cui è caduto a causa di un conflitto di principio al quale, finora, non si è trovata soluzione. Sono quasi vent'anni che il nodo si stringe, dalla fine della cosiddetta prima repubblica a questa situazione, che rischia d'essere la fine della seconda. La terza che si preannuncia ha tratti tutt'altro che rassicuranti.

Siamo probabilmente al punto di una sorta di redde rationem, il cui momento culminante si avvicina. Sarà subito dopo le prossime elezioni regionali. A meno che si trovi una soluzione condivisa, che si addivenga cioè a un compromesso. È possibile? E quale ne sarebbe il prezzo? Se consideriamo i termini del conflitto - la politica contro la legalità; un uomo politico legittimato dal voto contro i giudici legittimati dal diritto - l'impresa è ardua, quasi come la quadratura del cerchio. Per progressivi cedimenti che ora hanno fatto massa anche nell'opinione pubblica, dividendo gli elettori in opposti schieramenti, i due fattori su cui si basa lo stato di diritto democratico, il voto e la legge, sono venuti a collisione.

Questa è la rappresentazione oggettiva della situazione, che deliberatamente trascura le ragioni e i torti. Trascura cioè le reciproche e opposte accuse, che ciascuna parte ritiene fondate: che la magistratura sia mossa da accanimento preconcetto, da un lato; che l'uomo politico si sia fatto strada con mezzi d'ogni genere, inclusi quelli illeciti, dall'altro. Se si guarda la situazione con distacco, questo è ciò che appare come dato di fatto e le discussioni sui torti e le ragioni, come ormai l'esperienza dovrebbe avere insegnato, sono senza costrutto.

 

I negoziatori che sono all'opera si riconosceranno, forse, nelle indicazioni che precedono. Ma, probabilmente, non altrettanto nelle controindicazioni che seguono.

Per raggiungere un accordo, si è disposti a "diluire" il problema pressante in una riforma ad ampio raggio della Costituzione. Per ora, la disponibilità dell'opposizione al dialogo o, come si dice ora, al confronto, è tenuta nel vago (no a norme ad personam, ma sì a interventi "di sistema" per "riequilibrare" i rapporti tra politica e giustizia), è coperta dalla reticenza (partire da dove s'era arrivati nella passata legislatura, ma per arrivare dove?) o è nascosta col silenzio (la separazione tra potere politico, economico e mediatico, cioè il conflitto d'interessi, è o non è questione ancora da porsi?).

Vaghezza, reticenza e silenzio sono il peggior avvio d'un negoziato costituzionale onesto. La materia costituzionale ha questa proprietà: quando la si lascia tranquilla, alimenta fiducia; quando la si scuote, alimenta sospetti. Per questo, può diventare pericolosa se non la si maneggia con precauzione. Tocca convinzioni etiche e interessi materiali profondi. Non c'è bisogno di evocare gli antichi, che conoscevano il rischio di disfacimento, di discordia, di "stasi", insito già nella proposta di mutamento costituzionale. Per questo lo circondavano d'ogni precauzione. Chi si esponeva avventatamente correva il rischio della pena capitale. Per quale motivo? Prevenire il sospetto di secondi fini, di tradimento delle promesse, di combutta con l'avversario. Quando si tratta di "regole del gioco", tutti i giocatori hanno motivo di diffidare degli altri. La riforma è come un momento di sospensione e d'incertezza tra il vecchio, destinato a non valere più, e il nuovo che ancora non c'è e non si sa come sarà. In questo momento, speranze e timori si mescolano in modo tale che le speranze degli uni sono i timori degli altri. È perciò che non si gioca a carte scoperte. Ma sul sospetto, sentimento tra tutti il più corrosivo, non si costruisce nulla, anzi tutto si distrugge.

Il veleno del sospetto non circola solo tra le forze politiche, ma anche tra i cittadini e i partiti che li rappresentano. Nell'opposizione, che subisce l'iniziativa della maggioranza, si fronteggiano, per ora sordamente, due atteggiamenti dalle radici profonde. L'uno è considerato troppo "politico", cioè troppo incline all'accordo, purchessia; l'altro, troppo poco, cioè pregiudizialmente contrario. Sullo sfondo c'è l'idea, per gli uni, che in materia costituzionale l'imperativo è di evitare l'isolamento, compromettendosi anche, quando è necessario; per gli altri, l'imperativo è, al contrario, difendere principi irrinunciabili senza compromessi, disposti anche a stare per conto proprio. La divisione, a dimostrazione della sua profondità, è stata spiegata ricorrendo alla storia della sinistra: da un lato la duttilità togliattiana (che permise il compromesso tra Partito Comunista e Democrazia Cristiana sui Patti Lateranensi), dall'altro l'intransigenza azionista (che condusse il Partito d'azione all'isolamento).

Tali paragoni, indipendentemente dalla temerarietà, sono significativi. Corrispondono a due paradigmi politici, rispettivamente, la convenienza e la coerenza: una riedizione del perenne contrasto tra l'etica delle conseguenze e l'etica delle convinzioni. L'uomo politico degno della sua professione - colui che rifugge tanto dall'opportunismo quanto dal fanatismo e cerca di conciliare responsabilmente realtà e idealità - conosce questo conflitto e sa che esistono i momenti delle decisioni difficili. Sono i momenti della grande politica.

Ma da noi ora non è così. Ciò che è nobile nei concetti, è spregevole nella realtà. La buona convenienza appare cattiva connivenza. Il sospetto è che, dietro un gioco delle parti, sia in atto la coscientemente perseguita assimilazione in un "giro" di potere unico e autoreferenziale, una sorta di nuovo blocco o "arco costituzionale", desiderando appartenere al quale si guarda ai propri elettori, che non ci stanno, come pericolo da neutralizzare e non come risorsa da mobilitare. Vaghezza, silenzi, e reticenze sono gl'ingredienti di questo rapporto sbagliato, basato sulla sfiducia reciproca. È banale dirlo, ma spesso le cose ovvie sono quelle che sfuggono agli strateghi delle battaglie perdute: in democrazia, occorrono i voti e la fiducia li fa crescere; la sfiducia, svanire.

Il sospetto si dissipa in un solo modo: con la chiarezza delle posizioni e la risolutezza nel difenderle. La chiarezza si fa distinguendo, secondo un ordine logico e pratico, le cose su cui l'accordo c'è, quelle su cui potrebbe esserci a determinate condizioni e quelle su cui non c'è e non ci potrà essere. La risolutezza si dimostra nella convinzione con cui si difendono le proprie ragioni. Manca l'una e l'altra. Manca soprattutto l'idea generale che darebbe un senso al confronto costituzionale che si preannuncia. Così si procede nell'ordine sparso delle idee, preludio di sfaldamento e sconfitta. Per esempio, sulla difesa del sistema parlamentare contro i propositi presidenzialisti, la posizione è ferma? Sulle istituzioni di garanzia, magistratura e Corte costituzionale, fino a dove ci si vuol spingere? Sul ripristino dell'immunità parlamentare c'è una posizione, o ci sono ammiccamenti?

Quest'ultimo è il caso che si può assumere come esemplare della confusione. Nella strategia della maggioranza, è il tassello di un disegno che richiede stabilità della coalizione e immunità di chi la tiene insieme, per procedere alla riscrittura della Costituzione su punti essenziali: l'elezione diretta del capo del governo, la riduzione del presidente della Repubblica a un ruolo di rappresentanza, la soggezione della giustizia alla politica, eccetera, eccetera. L'opposizione? Incertezze e contraddizioni che non possono che significare implicite aperture, come quando si dice che "il problema c'è", anche se non si dice come lo si risolve. Ci si accorge ora di quello che allora, nel 1993, fu un errore: invece del buon uso dell'immunità parlamentare, si preferì abolirla del tutto. Fu il cedimento d'una classe politica che non credeva più in se stessa. Ma il ripristino oggi suonerebbe non come la correzione dell'errore, ma come la presunzione d'una classe politica che non ama la legalità. Occorrerebbe spiegare le ragioni del rischio che si corre, nell'appoggiare questo ritorno; rischio doppio, perché una volta reintrodotta l'immunità con norma generale, la si dovrà poi concedere all'interessato, con provvedimento ad personam. Due forche caudine per l'opposizione. Ma allora, perché?

Perché, si dice, se non ci sono aperture, il confronto non inizia nemmeno e la maggioranza andrà avanti per conto proprio. Appunto: dove non c'è il consenso, avendo i voti, vada avanti e poi, senza l'apporto dell'opposizione, ci potrà essere il referendum, dove ognuno apertamente giocherà le sue carte. Ne riparleremo.

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Sul ddl Chiaromonte-Compagna un'assemblea dei senatori. Finocchiaro: senza riforme vere il nostro no è irremovibile

Anche l'ex capo di Mani pulite D'Ambrosio ha proposto uno "scudo" a tempo

Pd diviso sul ritorno all'immunità

Franceschini: aperture mai concordate

di GOFFREDO DE MARCHIS

Pd diviso sul ritorno all'immunità Franceschini: aperture mai concordate

ROMA - Confrontarsi, riunirsi, decidere una strada chiara, evitare la Babele di voci. Altrimenti il Pd scivolerà in un nuovo scontro, nell'incomprensione e nei bracci di ferro. I nodi rischiano di venire al pettine molto presto. La senatrice democratica Franca Chiaromonte ha presentato da tempo un disegno di legge per il ripristino dell'immunità parlamentare. Provvedimento bipartisan, firmato con il senatore pdl Compagna. Può essere messo in discussione anche a breve, se la maggioranza volesse scoprire le contraddizioni del Pd.

Lo "scudo" fu spazzato via da Tangentopoli, richiedeva l'autorizzazione a procedere anche solo per aprire un'inchiesta su un parlamentare. Ma nel traffico delle leggi ad personam ora torna a farsi sentire il richiamo di una tutela per deputati e senatori. E il Pd non chiude la porta. Con il primo risultato di una spaccatura annunciata. Dice Dario Franceschini ai suoi collaboratori, leggendo le dichiarazioni degli esponenti della maggioranza: "Non si fa così. Mi irrita molto un'apertura non concordata ad alcun livello, mai discussa negli organismi del partito. Tanto più su una materia così delicata". È un campanello d'allarme. Anna Finocchiaro si prepara a convocare una riunione dei senatori democratici. Per richiamare tutti alla linea del partito: "Parlare di immunità prima e fuori di una riforma complessiva sugli assetti e il riequilibrio dei poteri è assolutamente improprio". Significa che il Pd voterà no a qualsiasi provvedimento singolo sull'immunità, compreso quello della sua dirigente Chiaromonte, se dovesse arrivare in aula.

Le parole di Finocchiaro però non fermano un treno già in corsa. Per questo la capogruppo convocherà presto un vertice dei senatori, questa settimana o forse la prossima. Anche prima delle Regionali, rischiando l'impopolarità di un nuovo dibattito sulle riforme condivise con Berlusconi. Il Pdl cerca di accelerare. Lo fa Gaetano Quagliariello, con toni da colomba. Spiegando che il tema esiste, che è quello sostanzialmente del riequilibrio dei poteri. L'immunità parlamentare non può entrare nella categoria leggi ad personam, tanto più che sarebbe una riforma costituzionale, con i tempi lunghissimi delle revisioni alla Carta. Perché allora parlarne proprio ora, mentre il Cavaliere galoppa sul processo breve e il legittimo impedimento nella corsa contro i tempi del processo Mills? "Perché noi inseriamo la materia nella riforma complessiva di un riequilibrio tra giustizia e politica che è meglio dell'attuale caos - risponde Luciano Violante - . Se Scalfaro, Borraccetti, D'Ambrosio, persone molto serie, affrontano il problema vuol dire che il problema c'è. Noi abbiamo i nostri paletti: l'immunità dura una sola legislatura, il no all'autorizzazione a procedere dev'essere votato da una maggioranza qualificata e riguardare solo reati commessi durante l'investitura parlamentare". Ma nel Pd le voci sono molte. L'ex capo del pool Mani pulite Gerardo D'Ambrosio, oggi senatore democratico, propone uno scudo, un "cuscinetto" lo chiama, che duri solo per un mandato e "l'indagato non si può ricandidare se prima non risolve le sue grane giudiziarie", spiega al Giornale. Franco Marini invece sposa il disegno di legge Chiaromonte-Compagna, anche non accompagnato da una riforma complessiva: "Lo condivido", dice. È un coro troppo polifonico, che va fermato.

 

L'irritazione di Franceschini sottintende che la minoranza che fa capo a lui e a Walter Veltroni può scendere sul piede di guerra con la maggioranza in qualsiasi momento. E non è un bel momento questo, con le fibrillazioni sui candidati delle regionali. "Ma la nostra non è un'apertura, è la ricerca di un nuovo equilibrio", dice il responsabile Giustizia Andrea Orlando. "La maggioranza finora ha fatto un casino del diavolo sui suoi provvedimenti senza combinare nulla - insiste Violante - . Vediamo come finisce il progetto Vietti sul legittimo impedimento che è la misura meno dannosa. Potrebbe essere un ponte per la riforma generale del sistema".

© Riproduzione riservata (19 gennaio 2010)

 

 

 

 

2010-01-17

In due anni le scoperture degli uffici si sono quadruplicate passando da 68 a 249

Anm: "La desertificazione rende impossibile esercitare adeguatamente l'azione penale"

Giustizia, vuoti di organico in procura

magistrati pronti allo sciopero

Dura replica del Guardasigilli: "Arroccamento incomprensibile e miope. I giudici rispettino la legge"

ROMA - L'Associazione nazionale magistrati è pronta anche a proclamare uno sciopero per dare un forte segnale di allarme sulla grave situazione di scoperture di organico nelle procure. La "desertificazione" delle procure è "drammatica". In due soli anni le scoperture di organico si sono quadruplicate passando da 68 a 249. Per questo i magistrati chiedono che il governo faccia cadere, almeno temporaneamente, il divieto di destinare i magistrati di prima nomina nelle procure. E il ministro della Giustizia, Angelino Alfano parla di "incomprensibile e miope arroccamento" da parte dell'Anm, perché la norma "offre al paese una ragionevole e definitiva soluzione". Per questo sarebbe "gravissimo anche solo ipotizzare uno sciopero".

L'Anm. Aprendo i lavori dell'assemblea di oggi in Cassazione, davanti a procuratori provenienti da tutta Italia, il presidente del sindacato delle toghe, Luca Palamara ha attaccato il decreto legge con il quale il governo è intervenuto sul problema delle procure: "Si tratta di un intervento incoerente, inefficace e fortemente penalizzante per i magistrati più giovani", ha detto il leader del sindacato delle toghe, sottolineando come così non si risolverà il problema perché si darà luogo a un "perverso giro di valzer" tra magistrati che provengono da sedi giudiziarie disagiate.

Palamara non ha parlato esplicitamente di sciopero ma ha spiegato che "L'Anm non potrà assistere inerme allo svuotamento degli uffici di procura ma vuole una riforma della giustizia che assicuri un processo giusto in tempi ragionevoli e vuole uffici organizzati e funzionanti. Ecco perché - ha continuato Palamara - l'Anm è fermamente intenzionata ad adottare ogni efficace e anche estrema iniziativa di mobilitazione della magistratura associata e di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulla gravità della situazione attuale".

 

Secondo i calcoli del Csm, che lunedì scorso ha approvato un parere fortemente critico sul dl, "in cinque anni - ha ricordato Palamara - potranno essere mobilitati ben 750 magistrati per coprire fino a 400 posti di sedi disagiate". La 'desertificazione' degli uffici requirenti, secondo il sindacato delle toghe, "ha una conseguenza aberrante: la concreta e sostanziale impossibilità di esercitare adeguatamente l'azione penale".

La replica del ministro. "Dispiace che l'Anm ironizzi e affigga vignette su un provvedimento del governo, invece di contribuire a risolvere il problema e cioè coprire immediatamente le sedi disagiate che, in realtà, disagiate non sono, ma solo sgradite ai magistrati", dichiara il Guardasigilli in una nota.

"Il ministro Angelino Alfano - continua la nota - si dichiara fortemente preoccupato per l'incomprensibile e miope arroccamento dell'Anm contro un decreto legge che offre al Paese una ragionevole e definitiva soluzione. In particolare, il governo Berlusconi - che ha ereditato dal governo di sinistra il decreto legislativo che impedisce agli uditori giudiziari di svolgere funzioni requirenti e monocratiche - è intervenuto in materia con due importanti provvedimenti: il decreto legge del dicembre 2008 che introduce incentivi economici e di carriera per coloro i quali intendono trasferirsi volontariamente nelle cosiddette sedi disagiate, e il recente decreto legge del dicembre 2009 che istituisce il meccanismo del trasferimento d'ufficio, in via transitoria, fino al 2014".

"Considero inaccettabile - afferma ancora il ministro - questa chiusura corporativa e di retroguardia assunta dal sindacato delle toghe, finalizzata esclusivamente a difendere privilegi di casta. Il messaggio - prosegue Alfano - è chiaro: si esige, si pretende, minacciando anche estreme misure di mobilitazione, che si sospendano ben tre leggi dello Stato già in vigore".

"Occorre, quindi, che i cittadini sappiano che tutto ciò accade solamente per impedire che qualche decina di magistrati possa essere scomodata, per un periodo limitato di tempo, per prestare la propria opera lì dove vi è maggiore bisogno di capacità e di esperienza. L'assemblea dell'Anm dimentica, infatti - aggiunge Alfano - che i magistrati, per dettato costituzionale, sono soggetti alla legge e che, oggi, è legge anche la disciplina sul trasferimento d'ufficio. Sarebbe gravissimo solo ipotizzare uno sciopero che, in quest'ottica, rappresenterebbe un'inammissibile protesta contro tre leggi dello Stato; protesta, tra l'altro, promossa e indetta proprio da coloro che, in qualità del loro ruolo, dovrebbero ergersi a custodi delle stesse. Agendo in questo modo, appare, invece, che l'unica strada concepita - conclude il Guardasigilli - sia quella di una gravissima forma di nonnismo giudiziario e poco importa se a decidere sulla libertà dei cittadini saranno i vincitori di concorso di prima nomina, sui quali il Csm non ha espresso neanche la prima valutazione di professionalità".

(16 gennaio 2010) Tutti gli articoli di Cronaca

 

 

 

 

Di Matteo: restituiamo le toghe. Woodcock: decreto incostituzionale

Messineo: perché vogliono ostacolare un ufficio che funziona?

E i pm antimafia guidano la rivolta

"Vogliono solo bloccare le inchieste"

di LIANA MILELLA

Un momento dell'assemblea dell'Anm: alla parete una vignetta sui "pm Avatar", ironico riferimento ai vuoti di organico

ROMA - Dalla procura di Palermo arrivano in forze e ai massimi livelli. Ben prima che l'assemblea incominci. Pigliano posto in quarta fila. Il procuratore Francesco Messineo. Gli aggiunti Antonio Ingroia e Ignazio De Francisci. I pm Nino Di Matteo e Lia Sava. Li lega la forza di due numeri. Nell'ufficio principe nella lotta alla mafia, su 62 pubblici accusatori previsti, ne mancano ben 17. "Il disastro sarà imminente" taglia corto la Sava e il decreto di Alfano scatena solo "una guerra tra poveri". Bisogna aspettare le 15, dalle 11 che si comincia, per sentire i fuochi d'artificio di Di Matteo e Messineo.

È fresco di nomina a presidente dell'Anm in Sicilia il pm anti-cosche. E se Palamara è ricorso a un giro di parole per annunciare lo sciopero ("Adotteremo ogni efficace e anche estrema iniziativa di mobilitazione") lui non ci gira intorno: "Dobbiamo disertare le cerimonie dell'anno giudiziario e fare sciopero consegnando le nostre toghe per testimoniare che non siamo più nelle condizioni di poter lavorare". Per chi non avesse capito ribadisce: "Serve la risposta più dura".

Ma è la sua analisi dei rapporti tra politica e giustizia che azzittisce la sala: "Ci stiamo avviando alla paralisi della giurisdizione. Tra un po' chi andrà in procura a fare una denuncia non troverà nessuno. La politica si arroga meriti che non ha quando ci sono gli arresti dei latitanti...". L'applauso intorno a lui è forte e deciso. Prosegue. "A Enna abbiamo fatto un'assemblea con un centinaio di colleghi. Il nostro era un grido di dolore. Ma la classe politica risponde con un decreto incostituzionale, irragionevole, impraticabile". Ancora applausi. Si chiede Di Matteo: "Cosa c'è dietro?" E risponde: "L'obiettivo è quello di burocratizzare il lavoro dei pm, di spostare l'asse delle indagini sulla polizia giudiziaria, di trasformare il pubblico ministero solo in un notaio e in un mero controllore".

 

Parla da neo sindacalista Di Matteo? Un intervento dopo si scopre che il suo capo Messineo è perfino più duro. "Perché vogliono indebolire le procure? Qual è la logica rispetto alle dichiarazioni di grande impegno nella lotta alla mafia? Perché vogliono bloccare un ufficio che funziona?". Il procuratore vede nel decreto sinistri segnali futuri. Che elenca: "Si annuncia il principio di mobilità dei magistrati. Si va probabilmente verso un reclutamento straordinario. Ci troveremo in una situazione in cui saremo noi a chiedere la separazione delle carriere. Per questo servono prese di posizione forti e idonee. Il tempo della ponderazione è finito".

Questa è la fotografia del profondo stato di allarme delle toghe. Quello che spinge un pm nemico delle dichiarazioni come Henry John Woodcock a parlare a margine: "Il trasferimento d'ufficio è incostituzionale. Temo si vada a un reclutamento straordinario nello stile di quello di Togliatti del '46. Invece basterebbe far tornare nelle procure i giovani magistrati che, proprio per la loro estraneità al territorio, rappresentano un valore aggiunto".

Ne sono tutti convinti. Alfano avrebbe potuto fare marcia indietro sui giovani uditori, aveva in mano pure l'arma di azzerare una proposta della sinistra, se non lo ha fatto, lui siciliano che tiene al consenso sulla lotta alla mafia, è per una scelta politica. "Si sono volute mantenere apposta le condizioni per desertificare le procure" chiosa Giuseppe Creazzo, procuratore di Palmi alle prese con la grana di Rosarno. È una sorta di segnale voluto contro i magistrati. "Noi siamo oggettivamente un problema per la politica" dice Giuseppe Maria Berruti, togato di Unicost al Csm. Che mette in guardia da un pericolo e alla politica lancia un segnale: "Con le procure vuote una massa di reati non viene perseguita e così si sperimenta la discrezionalità dell'azione penale. C'è una desuetudine dalla Costituzione". Poi l'indicazione: "Abbandonare l'articolo 68 sull'immunità fu una scelta che giudico sciagurata". Fuori dall'aula il procuratore di Venezia Vittorio Borraccetti, storica toga di Md, fa cadere lo stesso tabu: "Sarebbe preferibile reintrodurre l'autorizzazione a procedere, sia pure con una disciplina più rigorosa rispetto al passato, così il Parlamento si assumerebbe le proprie responsabilità sulle indagini".

© Riproduzione riservata (17 gennaio 2010) Tutti gli articoli di Politica

 

 

 

 

 

 

2010-01-15

Il Capo dello Stato a Bari in occasione dell'apertura dell'anno accademico

e all'intitolazione dell'ateneo della città alla figura di Aldo Moro

Napolitano, "No riforme

a colpi di maggioranza"

BARI - Il capo dello Stato, Giorgio Napolitano - a Bari per l'inaugurazione dell'anno accademico e in occasione dell'intitolazione dell'ateneo della città ad Aldo Moro - parlando di riforme ha detto che queste "non debbono essere realizzare a colpi di maggioranza". Ed ha aggiunto: "Faccio appello alla consapevolezza, che non dovrebbe mai mancare tra le forze politiche e sociali, dell'assoluta necessità di lavorare e di riformare, in un'ottica di lungo periodo e non sulla base di impostazioni contingenti, asettiche, di corto respiro cui corrispondano conflittualità deleterie". Il riferimento diretto è alla richiesta appena avanzata dal rettore dell'università di Bari, Petrocelli di una riforma universitaria che sappia bloccare la fuga dei cervelli. Ma in questa risposta Napolitano inserisce un "anche" che dà il senso politico dell'intervento. Infatti spiega che la necessità di riforme di lungo periodo e condivise vale "anche per l'università", e così facendo allarga il discorso a temi di portata ancora più ampia.

La cerimonia che ha dedicato allo statista ucciso dalle brigate rosse nel 1978, s'è svolta al Teatro Petruzzelli. Giorgio Napolitano ha esaltato la scelta di dedicare a Moro l'università barese, dedicando un pensiero al "quartetto dei professorini democristiani, di forte impronta cattolica e di moderna cultura giuridica", che 50 e più anni fa scrivevano una pagina nella storia nazionale. Erano anni in cui Moro, assieme a Fanfani, La Pira e Dossetti pensavano le regole che sarebbero valse per molto tempo. Tra loro Moro scriveva e sanciva una "idea di fondo". Questa: "i principi dominanti della nostra civiltà e gli indirizzi supremi della nostra futura legislazione vanno sanciti in norme costituzionali per sottrarle all'effimero gioco di semplici maggioranze parlamentari"

(15 gennaio 2010)

 

 

 

 

INCONTRO "chiarificatore"tra i due: "danni anche dal fuoco amico"

Pdl, "tregua armata" Berlusconi-Fini

"Inaccettabile la linea dell'Udc"

La Russa: "Il premier e il presidente della Camera

si sono impegnati a una maggiore concertazione"

Berlusconi e Fini (foto d'archivio Afp)

Berlusconi e Fini (foto d'archivio Afp)

ROMA - Due ore di incontro a Montecitorio per superare "le incomprensioni". E preparare la linea politica in vista delle Regionali. Risultato: Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini siglano un "impegno a una maggiore concertazione". A spiegarlo ai giornalisti è il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, che era presente al pranzo tra i due leader. L'impegno siglato dal premier (per lui un menù speciale, a causa dei postumi dell'aggressione in Piazza Duomo) e dal presidente della Camera vale "non solo sugli aspetti del partito, su cui la concertazione c'è sempre stata, ma anche sulle iniziative di governo e per quello che riguarda l'attività parlamentare". Un faccia a faccia "non di maniera", dice La Russa. "Sia Fini che Berlusconi non hanno nascosto l'esistenza di problemi - aggiunge il ministro - sviluppando un ragionamento su un piano di cordialità, ma senza nascondersi. Credo si sia trovato il modo per ovviare ai problemi, alle questioni o, come preferisco chiamarli io e non loro, le incomprensioni".

DOPPIO FORNO - Tra i temi dell'incontro, anche la linea delle "alleanze variabili" seguita dall'Udc alle regionali. Linea che entrambi condannano. "Fini e Berlusconi - spiega sempre il coordinatore nazionale del Pdl - sono concordi nel contestare la linea dell'Udc, la politica del doppio forno per noi è inaccettabile". E dunque? I pareri sono diversi "sulle conseguenze" che Fini e Berlusconi fanno discendere da questa considerazione. "La questione è rimasta aperta", dice La Russa. Berlusconi è stato netto, "mentre Fini è stato meno drastico". Capitolo giustizia: "Il presidente della Camera condivide la linea del governo e prima del Consiglio dei ministri di ieri (mercoledì, ndr) c'è stata una telefonata in cui si è convenuto di rinunciare al decreto blocca processi". Durante il vertice, inoltre, "si è parlato anche del fuoco amico e del danno che provoca". Sull'opportunità di stabilire frequenti faccia a faccia sui temi politici, Berlusconi ha invece risposto a Fini con una battuta: "Io a pranzo da te verrei tutte le settimane, ma mi sembra più corretto venire quando mi inviti..."

Redazione online

14 gennaio 2010(ultima modifica: 15 gennaio 2010)

 

 

 

 

Una colazione tesa che però segna il tramonto della "guerra civile" nel Pdl

Definire positivo l’incontro di ieri perché Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini hanno stipulato una sorta di patto di consultazione sa di paradosso. Rischia di fotografare più le distanze che la ripresa della collaborazione, per quanto guardinga e da consolidare, tra fondatore e cofondatore del Pdl. L’idea che esponenti di vertice di una stessa coalizione debbano promettere di vedersi più spesso dice quanto i percorsi del presidente del Consiglio e della Camera si fossero allontanati; e quanto in parte lo siano ancora. L’accenno ai "danni del fuoco amico", fatto dagli esponenti del centrodestra presenti alle due ore di colloquio, confermano le ferite provocate dalla guerra civile di carta alimentata dai giornali vicini al Pdl.

Ma la sensazione è che nonostante le tossine accumulate in questi mesi, e riemerse nel pranzo aMontecitorio, Berlusconi e Fini sappiano di dover tentare una tregua; e non soltanto perché c’è la campagna elettorale per le regionali. Anche l’allusione al "fuoco amico" è un modo indiretto per concordare l’archiviazione dello scontro fra palazzo Chigi e terza carica dello Stato. Con uno snodo delicato e fondamentale, nella strategia berlusconiana: l’esito parlamentare della legge sul "processo breve". Per il capo del governo, la disponibilità di Fini a non intralciarla, seppure fra qualche dubbio residuo, sarebbe la prova che i distinguo e le critiche seminati da mesi nei confronti del governo non erano atti di sabotaggio.

Su questo punto, sembra che alla fine le preoccupazioni dei due interlocutori, scortati dal sottosegretario Gianni Letta e da Ignazio La Russa e Italo Bocchino, si siano avvicinate più del previsto. La tesi secondo la quale Fini ha sempre e solo voluto rivendicare l’autonomia della Camera davanti al governo, è stata accettata dal premier anche perché preluderebbe ad un compromesso sul "processo breve". In realtà, commenti sull’esito del colloquio variano leggermente fra gli ex di An ed i berlusconiani. I primi appaiono cauti, non vogliono dare l’impressione che dopo settimane di scontri sia esplosa una pace sospetta: quella che fa parlare di "inciucio" ad Antonio Di Pietro.

Gli altri, invece, concordano sulla versione di una colazione interlocutoria ma non esitano a definirla positiva. "Si è ripresa una strada comune", sostiene il ministro Sandro Bondi, "anche se è giusto non dare tutto per risolto". È una prudenza obbligata, viste le polemiche che accompagnano il percorso parlamentare della riforma della giustizia; le tensioni con la magistratura, che col Consiglio superiore ha aperto un fascicolo dopo le accuse di Berlusconi ai pubblici ministeri che lo processano; e qualche differenza di vedute sull’alleanza con l’Udc. Il premier è irritato dalla "strategia dei due forni" dei centristi. "Quelli mi hanno stufato", avrebbe detto al presidente della Camera. "Pensano di allearsi con noi solo dove si vince? Allora basta intese con loro". Fini, invece, appare più attento a non rompere con il partito di Pier Ferdinando Casini in vista delle regionali. Nel Lazio, ritiene che la candidata del Pdl, la sindacalista Renata Polverini, possa vincere se rimane alleata dell’Udc.

Nelle file berlusconiane, tuttavia, c’è qualche malumore non solo su Casini, ma sulla scelta della stessa Polverini, sebbene Fini condivida le perplessità del premier sulla politica dei "due forni". Non è chiaro se la tregua dei vertici del Pdl reggerà. Ma l’incontro potrebbe implicare qualcosa di più di una riconciliazione forzata fra Berlusconi e Fini: magari il tramonto di una lunga offensiva partita dall’interno della maggioranza oltre che dal centrosinistra, che a tratti ha mostrato il governo in bilico. Il pranzo con Fini, percepito dall’opposizione come sponda contro Berlusconi, simboleggia la crisi di questa strategia. In realtà, la manovra si era bloccata già il 13 dicembre a Milano, appena la statuetta del Duomo lanciata da uno squilibrato ha colpito in faccia il premier. Non significa che nel Pdl le polemiche scompariranno. Ma cambia lo sfondo nel quale si inseriscono.

Massimo Franco

15 gennaio 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il retroscena. Processo breve, i dubbi di Gianfranco Fini

nell'incontro di due ore. Il premier: se cado io cadi tu

"Silvio io lavoro con te, non per te"

tregua armata tra i due leader del Pdl

di FRANCESCO BEI

Gianfranco Fini

ROMA - "Non lo so neanch'io com'è andata". Scuro in volto, dopo due ore passate a tavola con Gianfranco Fini, Silvio Berlusconi lascia Montecitorio con il morale sotto i tacchi. Sperava forse in un ammorbidimento del suo rivale interno, l'avevano convinto che aver accettato di incontrare il presidente della Camera avrebbe portato buoni frutti. Invece i problemi restano tutti sul tavolo, tanto che persino i più ottimisti nel Pdl non si spingono oltre la definizione di "tregua armata" per descrivere il risultato del vertice.

Persino nelle battute filtrava la tensione dell'incontro. Come quando Berlusconi ha fatto notare che, dopo l'aggressione subita a Milano, "abbiamo guadagnato due punti". "E allora di Tartaglia te ne manderemo altri!", hanno scherzato Fini, La Russa e Bocchino. Poi la discussione si è fatta seria. Il menù prevedeva un antipasto di Udc: "È intollerabile che vadano dove gli fa comodo, che si alleino con noi solo dove si vince", si è sfogato Berlusconi, che avrebbe tanta voglia di rovesciare il tavolo e rompere con Casini.

Ma Fini ha tirato il freno: "D'accordo Silvio, Casini si serve di noi. Però sarebbe da matti mandare tutto all'aria a poche settimane dal voto, ormai non si torna indietro". Fini è ovviamente preoccupato per i suoi candidati. Non tanto per la Polverini, che nel Lazio ha già stretto l'accordo con l'Udc. Quanto per Giuseppe Scopelliti, visto che in Calabria non è esclusa un'alleanza a sorpresa tra il Pd e l'Udc, con il centrista Roberto Occhiuto come candidato. "Con Casini ci parlo io" ha assicurato Fini. E la discussione è virata sul partito e la conduzione del governo: "Silvio, non puoi andare avanti così, il partito lo convochi a cose fatte, al governo decidi da solo o insieme alla Lega. È così su tutto".

 

Fini ha citato come esempio la politica economica: "Hai fatto un'intervista a Repubblica sulla riforma fiscale. Benissimo, ma quelle cose non si annunciano senza consultare i tuoi alleati". Anche sulla giustizia e sul processo breve il presidente della Camera ha sollevato i suoi dubbi, sia sul metodo - "basta con questa grandinata di provvedimenti di Ghedini, tutto deve essere concordato insieme" - sia sul merito. Fini ha buttato lì una frase sibillina: "Ma sei proprio sicuro che quel maxiemendamento presentato da Valentino al Senato sia costituzionale?".

Il Cavaliere, accompagnato da Gianni letta, ha ascoltato in silenzio il lungo cahier de doleances del "co-fondatore" del Pdl. A volte, non si sa se per l'irritazione o per la stanchezza, Berlusconi chiudeva anche gli occhi. Ma ha avuto un soprassalto quando Fini ha toccato il capitolo giustizia: "Sul processo breve, così com'è, dobbiamo andare avanti: non ci sono alternative, né per me ma nemmeno per te. Perché è chiaro che, se ci vado di mezzo io, dietro a me cadi anche tu".

Fini ha condiviso l'idea che Berlusconi sia in qualche modo "perseguitato" dalla magistratura, ma si è sottratto alla richiesta di obbedienza cieca. "Io lavoro con te - ha scandito il presidente della Camera - ma non lavoro per te. Sento il dovere della lealtà ma non quello di riconoscenza come altri hanno nei tuoi confronti". Quindi lo scatto d'orgoglio di un leader che sente di essersi conquistato il diritto di non essere marginalizzato nel partito che ha contribuito a creare: "Noi siamo il terminale di una storia che dura da 40 anni. Io stavo qui dentro dieci anni prima che ci arrivassi tu e ci sarò anche dieci anni dopo che te ne sarai andato".

Ecco, se il clima era questo si capisce il motivo per cui Berlusconi, uscendo dall'ascensore di Montecitorio, fosse così nero. "Ma ti pare - si è sfogato con un amico una volta tornato a palazzo Grazioli - che ogni settimana io mi debba sorbire due ore di questa roba? Ci vuole la pazienza di Giobbe e io ne ho tanta, ma sono stufo di queste litanie. C'è un Paese pieno di problemi da governare e invece... meglio lasciar perdere".

L'unica cosa su cui il premier ha incassato un via libera è stato sulla nomina a sottosegretario di Daniela Santanché. "Se hai un debito di riconoscenza con lei fallo pure - gli ha detto Fini - è una tua responsabilità. È evidente però che, se la porti al governo, anche quello che dice lei è sotto la tua responsabilità".

© Riproduzione riservata (15 gennaio 2010)

 

 

 

 

 

2010-01-14

IL RETROSCENA. Preparato da Alfano per risolvere

una disputa interpretativa da cui dipende il caso Mills

Emendamento sul reato di corruzione

Ecco l'asso segreto per salvare Silvio

Il 25 febbraio la Cassazione deve confermare o no la condanna del teste pagato dal premier

Il denaro fu versato dopo la testimo-nianza: dettaglio da cui dipende la gravità del reato di GIUSEPPE D'AVANZO

PER comprendere le mosse di Berlusconi bisogna chiedersi qual è la via più diretta che può salvarlo subito dai processi in attesa che, dopo le elezioni, ritorni la quiete politica indispensabile per la riforma delle immunità parlamentari, il salvacondotto per il futuro. Berlusconi, si sa, "ha riflessi costanti, non tollera le vie mediate, sceglie d'istinto la più corta, come il caimano quando punta la preda".

La diagnosi di Franco Cordero torna utile per raccapezzarci in queste ore che vedono accumularsi e sovrapporsi iniziative legislative, disegni di legge, decreti con forza di legge, progetti di riforma costituzionale con "la sospensione per la durata del mandato del procedimento" per tutti i parlamentari. Il presidente del Consiglio ha in mano molte carte da giocare: il processo breve al Senato (cancella i suoi processi); il legittimo impedimento alla Camera (introduce una norma temporanea che consente il rinvio del processo del Cavaliere, in vista dell'approvazione della riforma costituzionale); tre decreti passepartout (milleproroghe, trasferimenti d'ufficio dei magistrati, piano carceri) che possono ospitare, last minute, l'asso (o gli assi) che nasconde nella manica. La strategia del Cavaliere è sempre camaleontica. Vive di nebbia, svolte, diversivi, doppie intenzioni, falsi bersagli. Era forse una mossa deviante il decreto legge che avrebbe bloccato i processi per novanta giorni. È certo una frottola che quel decreto fosse utile per affrontare in serenità la campagna elettorale delle Regionali (figurarsi, il Cavaliere dà il meglio di sé nel ruolo della vittima di complotti inesistenti). Bisogna dunque guardare altrove e porsi sempre la stessa domanda: qual è la trovata che "disarma il nemico" e chiude ora e in modo definitivo la partita più vicina, rognosa e segnata, cioè il processo Mills? (Il capo del governo è accusato di aver pagato il testimone David Mills, già condannato in primo e secondo grado; è un processo segnato perché, come dice l'avvocato inglese, è "assurdo e illogico che uno sia condannato e l'altro assolto". È vero, perché la corruzione si consuma in due: se c'è un corrotto, Mills, ci deve essere anche un corruttore, Berlusconi).

Il "riflesso costante" di Berlusconi è di muoversi con modi spicci modificando le regole del gioco a partita in corso, andando al sodo senza tante storie. In difficoltà, nel passato, ha abolito reati (falso il bilancio), cancellato prove (rogatorie), sostituito giudici (legittimo sospetto). C'è chi consiglia di verificare se sia in cottura oggi la stessa minestra, con uno degli stessi ingredienti. C'è chi suggerisce (anche nella maggioranza) di non guardare alle aule del parlamento, ma alle aule di giustizia: "Quel che può accadere nelle aule di giustizia troverà una corrispondenza nelle decisioni delle Camere". Vale la pena di seguire il suggerimento e dunque di spostarsi da Palazzo Madama e Montecitorio al Palazzaccio della Cassazione. Qui, il 25 febbraio, le Sezioni Unite decideranno se confermare, cancellare o rinviare a nuovo giudizio la sentenza di condanna di David Mills (con effetti vincolanti per il destino di Berlusconi).

In Cassazione si respira una brutta aria. Equivoca, di imbarazzo, di sospetto. Un emendamento del governo in milleproroghe, sponsorizzato dal primo presidente della Cassazione Vincenzo Carbone e approvato dal ministro di Giustizia, promette di elevare a 76 anni (da 75) l'età pensionabile. "Con l'innalzamento dell'età pensionabile - ha già scritto il Sole 24 ore - Carbone resterà primo presidente fino all'estate 2011, il che gli consentirà, tra l'altro, di candidarsi alla Consulta quando, a ottobre 2010, scadrà il mandato di Francesco Amirante magistrato di Cassazione, attualmente presidente della Corte Costituzionale". Un ipotetico scambio di favori, un pasticcio che già si è avvistato in passato quando, nel 2002, alla vigilia della decisione della Cassazione sul "legittimo sospetto" sollevato sul capo dei giudici dei processi Sme e Imi-Sir, Berlusconi ha allungato di tre anni, correggendo la Finanziaria, la vita professionale delle toghe portandola da 72 a 75 anni. Quella volta gli andò male, ma ora il terreno - spiegano gli addetti - è più felice, il concime decisamente più fertile. Ecco perché.

La corte d'appello di Milano, che ha condannato Mills a 4 anni e sei mesi di carcere, ha stabilito che il prezzo della falsa testimonianza - salvifica per Berlusconi - fu pagata dal corruttore dopo e non prima della sua testimonianza. Si chiama "corruzione susseguente". Il quesito, che il 25 febbraio deve trovare la risposta delle Sezioni Unite, è se la "corruzione susseguente" può integrare il reato di "corruzione in atti giudiziari" o soltanto la "corruzione semplice". Il fatto è che la Corte di Cassazione ha una giurisprudenza controversa. Con la sentenza n. 1065, il 25 maggio 2009, ha stabilito che "il delitto di corruzione in atti giudiziari può essere realizzato anche nella forma della corruzione cosiddetta susseguente" confermando una decisione del 20 giugno 2007 (sentenza n. 1358), ma in contrasto con un'altra sentenza (n. 33435) del 4 maggio 2006. Qui si legge: "La corruzione in atti giudiziari si caratterizza per essere diretta a un risultato e non è compatibile con l'interesse già soddisfatto su cui è modulato lo schema della corruzione susseguente". La "corruzione susseguente", pagata dopo l'imbroglio, come è avvenuto per David Mills, è dunque "corruzione in atti giudiziari" o "corruzione semplice"? Se la Cassazione dovesse decidere che è "semplice", Berlusconi sarebbe fuori pericolo perché il reato sarebbe già prescritto. Se stabilisse che è "in atti giudiziari", il Cavaliere sarebbe fritto perché, accertato che Mills incassa il prezzo della sua falsa testimonianza nel febbraio del 2000, la prescrizione cade soltanto a metà del 2012. La materia è così dubbia e discutibile però che nessuno tra gli addetti azzarda una previsione a meno che "la volontà del legislatore" non faccia pendere la bilancia decisamente a favore della corruzione semplice e quindi per la prescrizione (salvo Mills, ma salvo definitivamente anche Berlusconi, per l'altro processo - la frode fiscale sui diritti Mediaset - si vedrà, c'è tempo).

È, a questo punto della ricognizione, che i suggeritori sapienti consigliano di verificare quali emendamenti sono stati messi a punto in autunno dal governo, o meglio dal ministro Angelino Alfano, proprio (pare) su suggerimento del primo presidente della Cassazione, Vincenzo Carbone. "Se ne è già parlato", dicono.

Se n'era parlato, ma se n'era perso il ricordo, tuttavia è vero: in novembre, Alfano ha preparato un emendamento al "processo breve" per "perfezionare" il reato di corruzione in atti giudiziari. La modifica dell'art. 319 ter (reato di corruzione in atti giudiziari) chiarisce in modo inequivocabile che "è da ritenersi non punibile la corruzione "susseguente"". Scrive il Tempo, il 24 novembre 2009: "Legge o emendamento al processo breve. Sarebbe questa, secondo quanto si è appreso in ambienti della maggioranza di governo, una delle ipotesi tecniche al vaglio del Pdl. In questo modo uscirebbero dai rispettivi processi il premier Silvio Berlusconi e l'avvocato inglese David Mills". Ecco dunque uno dei jolly nascosti nella manica del Cavaliere: la non punibilità della "corruzione susseguente" come corruzione in atti giudiziari. La mossa avrebbe una sua legittimazione nei contrasti della giurisprudenza, nella necessità di fare luce di un'ambiguità. Il "delitto perfetto" avrebbe l'indubbio vantaggio di obbligare i giudici delle Sezioni Unite a tenere conto della "volontà del legislatore" magari espressa soltanto al Senato in extremis, in coda all'approvazione del "processo breve". Anche se non sarebbe l'unica possibilità per i commessi obbedienti del Cavaliere. L'emendamento salvifico potrebbe essere inserito nei decreti milleproroghe o trasferimenti d'ufficio dei magistrati nelle sedi disagiate, che vanno approvati entro il 17 febbraio. E dunque otto giorni prima della decisione della Cassazione, 25 febbraio. "Come il caimano quando punta la preda".

© Riproduzione riservata (14 gennaio 2010)

 

 

 

 

 

 

Il Csm apre fascicolo su Berlusconi

Il premier aveva detto: "Pm peggio di Tartaglia"

ROMA - Le parole pronunciate ieri dal premier Silvio Berlusconi secondo il quale "l'aggressione di certi pubblici ministeri è peggio di quella di Tartaglia", saranno al vaglio della Prima Commissione del Csm, presso la quale è già stato aperto un fascicolo a tutela inerente dichiarazioni rilasciate nei mesi scorsi dallo stesso premier. La Commissione ha infatti deciso di acquisire agli atti la rassegna stampa sulle parole di Berlusconi, pronunciate ieri al termine del Consiglio dei ministri, e la inserirà nel fascicolo già aperto.

(14 gennaio 2010) Tutti gli articoli di Politica

 

 

 

 

 

 

 

 

Il premier: "Il debito pubblico comporterà una spesa di 8 miliardi di euro all'anno"

"In questa situazione è fuori discussione poter pensare di intervenire"

Tasse, scontro governo-opposizione

Berlusconi: "Non le riduco". Pd: "Irresponsabile"

Stop al quoziente familiare, mentre slitta la riforma del fisco. Tremonti frena sull'Irap

Epifani: "Basta far pagare lavoratori e pensionati". Di Pietro: "Cavaliere imbroglione"

ROMA - "L'attuale situazione di crisi non permette nessuna possibilità di riduzione delle imposte". Silvio Berlusconi, nel corso di una conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri, nega che nel futuro del governo ci sia un taglio delle tasse. Scatenando la reazione dell'opposizione che accusa il premier di non mantenere le promesse fatte e di governare in modo "irresponsabile".

"La situazione attuale del debito pubblico comporterà, solo di interessi, una spesa di 8 miliardi di euro all'anno. In questa situazione - sottolinea il premier - è fuori discussione poter pensare a un taglio delle imposte". D'altro canto, continua Berlusconi, "non abbiamo introdotto nessuna tassa nuova, non abbiamo messo le mani nelle tasche degli italiani, nemmeno nell'ultima Finanziaria". Tutto fermo quindi. Nonostante le Regionali alle porte. "Non iniziamo la campagna elettorale con programmi che prevedano tagli o riduzioni delle tasse" ribadisce Berlusconi.

Nel cassetto anche il quoziente familiare. Che il governo non pensa affatto di introdurre. Almeno per ora. "E' un impegno elettorale - spiega il Cavaliere - ma purtroppo oggi non c'è alcuna possibilità che si proceda in questa direzione a causa delle condizioni del bilancio dello stato".

Nulla di fatto anche per quanto riguarda la semplificazione del sistema tributario. Di cui il premier aveva parlato in un colloquio con Repubblica. "Sarà un lavoro lungo, duro. Spero che possa essere sufficiente un anno, ma è un lavoro davvero improbo" continua il premier. Che ha negato che durante il cdm siano state avanzare proposte di riduzione a due aliquote

o di abbassamento a otto imposte. Il problema, però, esiste. "Siamo di fronte a un caso - aggiunge il presidente del Consiglio - che ci impone una semplificazione. Anche i commercialisti si mettono le mani nei capelli quando devono interpretare queste norme". Sulla scia del premier si mette anche il ministro dell'Economia Giulio Tremonti: "Dobbiamo porci la sfida di un grande cambiamento del sistema fiscale: l'ideale sarebbe un sistema efficace e giusto, quello che c'è adesso non è tanto efficace e non è neanche tanto giusto". Ma, quando si parla dell'Irap, tassa spesso criticata dal premier, Tremonti frena: "'E' un'imposta che ha sostituito altri contributi. Non so se è stata una scelta intelligente ma adesso tornare indietro è difficile".

Immediata la reazione del Pd: "Quando si parla di interventi per le famiglie e il lavoro la crisi non c'è, quando si parla di ridurre le tasse la crisi c'è. Quando si tratta di far propaganda si fa la riforma fiscale, quando si tratta di passare all'atto pratico si fa la giravolta. redo che questo sia un modo irresponsabile di governare" attacca il segretario Pierluigi Bersani. Anche dall'Idv arriva la consueta bordata al premier: "Finalmente Berlusconi ha detto qualcosa di vero e che condividiamo. Ha infatti confessato di essere un imbroglione e di aver preso in giro gli italiani fino a ieri, dicendo loro che avrebbe provveduto a ridurre le tasse e ad introdurre il quoziente familiare. E invece oggi si e' rimangiato tutto" afferma in una nota Antonio Di Pietro. Ed anche dall Cgil arrivano reazioni negative. "Bisogna ridurre le tasse a partire da quest'anno, non è accettabile che un giorno si dica una cosa e un altro si dica il contrario, e soprattutto che i lavoratori e i pensionati paghino sempre più tasse" sottolinea il segretario generale Guglielmo Epifani. Fiducioso, invece, il leader leghista Umberto Bossi: "Adesso c'è la crisi, per qeust'anno non si può fare perchè il debito pubblico è cresciuto tanto, ma se Berlusconi dice che le tasse si taglieranno, si farà"

(13 gennaio 2010)

 

 

 

 

I dati di Bankitalia certificano una diminuzione del 3,4% nei primi undici mesi 2009

A novembre (per la prima volta da luglio) scende il debito pubblico

Fisco, entrate in calo nel 2009

Il ministero: "Colpa della crisi"

ROMA - Le entrate fiscale nei primi undici mesi del 2009 sono calate del 3,4% rispetto allo stesso periodo del 2008. Il dato emerge dal periodico supplemento della Banca d'Italia sulla finanza pubblica. Guardando ai valori assoluti, nella casse dell'Erario sono arrivati 330.315 milioni fra gennaio e novembre 2009, contro i 341.956 milioni dello stesso periodo del 2008 (-11.641 milioni). Nel solo mese di novembre le entrate sono salite a 30.758 milioni contro i 28.489 del mese precedente.

Bankitalia segnala anche il calo del debito delle amministrazioni pubbliche che si è attestato a novembre 2009 a quota 1.783,858 Miliardi, in calo rispetto al livello record di 1.801,685 miliardi di ottobre. A novembre 2008 il debito pubblico risultava pari a 1.686,742 Miliardi di euro. La tendenza al rialzo proseguiva immutata dallo scorso luglio. Sulla base dell'ultimo dato, su ogni singolo cittadino (circa 60,2 milioni di italiani, neonati inclusi) pesa un debito pro-capite di 29.632 euro.

Il dato di Bankitalia sulle entrate trova conferma in quelli contenuti nel bollettino mensile del ministero dell'Economia secondo i quali, anzi, il calo percentuale è stato persino superiore toccando il 3,9%. L'effetto del calo, secondo i tecnici del ministero, è "sostanzialmente imputabile all'andamento delle imposte dirette, IRES e IRE, ed è giustificato sia dalla rateizzazione delle imposte versate in autoliquidazione, sia dal deterioramento del ciclo economico e dalla conseguente riduzione della base imponibile e, quindi, del gettito. Ossia, dalla crisi.

L'andamento dell'IRES, secondo il ministero, è "attribuibile anche al meccanismo dei versamenti dei saldi e degli acconti, nonché al dispiegarsi degli effetti dell'entrata in vigore della riforma IRES e del regime fiscale dei contribuenti minimi". L'andamento dell'IRE invece rifletterebbe sia il calo dell'imposta autoliquidata, sia la variazione negativa delle ritenute da lavoro dipendente che evidenziano una buona tenuta anche in presenza di una contrazione del gettito ascrivibile agli effetti della crisi sul mercato del lavoro.

 

Migliore appare la situazione per le imposte indirette che presentano un leggero miglioramento rispetto al periodo gennaio-ottobre (-4,8%): la tenuta sarebbe determinata dal risultato positivo dell'IVA che, per il quinto mese consecutivo, registra un tasso di variazione cumulato in miglioramento rispetto al periodo precedente: -11.0% a luglio, -9,6% ad agosto, -9,3% a settembre, -8,7% a ottobre, e -8,4% a novembre. "Ciò sembra indicare - si legge nel bollettino ministeriale - che il picco della recessione economica è alle spalle e si avvertono segni della ripresa".

A crescere, afferma il bollettino, sono invece le entrate provenienti dalle iniziative di controllo e antievasione, il cui gettito è cresciuto del 20,0% rispetto allo stesso periodo (gennaio-novembre 2009) del 2008.

(13 gennaio 2010) Tutti gli articoli di Economia

 

 

 

 

 

Silvio Berlusconi: "Basta con le amnistie, costruiremo nuove carceri stanziando 500 milioni di euro". Le procedure di attuazione saranno segretabili. Le associazioni di volontari: "Quei soldi sarebbe meglio usarli per il recupero sociale"

Stato di emergenza per le carceri

Il governo approva il piano Alfano

 

ROMA - Il Consiglio dei ministri ha approvato il piano carceri, proposto dal guardasigilli, Angelino Alfano e la dichiarazione dello stato di emergenza per i penitenziari italiani. "La situazione nelle carceri è diventata intollerabile - ha detto Silvio Berlusconi durante il primo Consiglio dei ministri del 2010 - uno Stato civile non può togliere la dignità delle persone. In passato, il problema del sovraffollamento veniva risolto con amnistie e condoni, noi invece vogliamo dare una soluzione duratura nel tempo. Per la prima volta abbiamo deciso di dar vita ad un piano per affrontare questa emergenza nelle carceri italiane. Ieri notte - ha aggiunto - hanno dormito nelle nostri istituti di detenzione più di 60 mila persone: la situazione è più intollerabile".

Aumentano i poteri di Ionta. Con la proclamazione dello stato di emergenza nelle carceri italiane, il capo del DAP (Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria) sarà investito di maggiori poteri, ulteriori a quelli che gli erano stati conferiti lo scorso anno quando fu nominato commissario straordinario per l'edilizia carceraria. Franco Ionta diventa, in sostanza, commissario delegato, alla stregua della figura di Guido Bertolaso alla Protezione Civile quando si sono verificate una serie di emergenze territoriali, non ultima quella della gestione del dopo-terremoto in Abruzzo.

Cala il segreto sulle procedure. In altre parole - secondo quanto prevede la bozza di piano messo a punto dallo stesso Ionta lo scorso ottobre - il capo del Dap per risolvere l'emergenza può avvalersi, in deroga alle norme in vigore, anche di consulenti esterni e può decidere la segretazione delle procedure di affidamento dei contratti pubblici. Le procedure per la costruzione delle nuove carceri saranno in questo modo semplificate e, sotto la responsabilità del presidente del Consiglio, la documentazione relativa agli appalti può essere classificata come "riservatissima": tale livello infatti - si legge nella bozza di piano carceri - si presenta idoneo a selezionare gli operatori economici interessati agli appalti e a proteggere la documentazione relativa.

 

Il giudizio delle Associazioni . Combattere il sovraffollamento carcerario puntando a fare in modo che chi esce impari la lezione e non torni più dietro le sbarre. E' la proposta contenuta in un documento presentato oggi dall'Associazione Antigone, da Arci e dall'Associazione Volontari in Carcere (VIC) della Caritas di Roma, che chiede al governo di rinunciare a costruire nuovi penitenziari e di destinare i 500 milioni di euro previsti in finanziaria per l'edilizia carceraria alla realizzazione di 10mila progetti di recupero sociale.

Meglio costruire o educare? Il tasso di recidiva ordinario, spiega patrizio gonnella, presidente di Antigone, è del 68%, mentre è meno della metà, il 30%, per chi sconta la pena in regime prevalente di misura alternativa. Il documento delle Associazioni, presentato a Montecitorio, in concomitanza con il voto, spiega che "con 500 milioni di euro, seppure si riuscisse a costruire 25 mini-carceri, cosa mai accaduta nella storia repubblicana, avremmo 5mila nuovi posti letto, i quali sarebbero comunque assorbiti, visti i trend di crescita di 800 unità al mese, in un solo semestre". Con la stessa somma, invece, "si potrebbero finanziare 10mila progetti tutorati di recupero sociale per detenuti che potrebbero svolgere ben più proficui lavori socialmente utili".

Un rotolo di carta igienica ogni 10 giorni. Nel carcere di rebibbia un rotolo di carta igienica deve bastare al detenuto per 10 settimane, se non ha i soldi per comprarne uno per conto proprio al supermercato interno. E' quanto ha denunciato il cappellano del carcere, don Sandro Spriano, presidente del VIC (l'associazione dei volontari) della Caritas di Roma, presentando il documento sul sovraffollamento carcerario firmato dalla sua associazione insieme ad Antigone e Arci. "Persino a rebibbia, che è un carcere modello - ha spiegato - mancano i soldi per tutto. Non ci sono fondi per la manutenzione, per comprare una lampadina, piove dappertutto. I direttori fanno i salti mortali per riuscire a tenere in piedi il carcere, ma fanno quello possono. Un detenuto riceve un rotolo di carta igienica per due mesi e mezzo, ditemi se questa è dignità. Per i detenuti più poveri questo è un dramma".

Intanto ci sono 40 carceri vuote. Per fare fronte al sovraffollamento Carcerario ci sarebbero già 40 penitenziari già pronti, che però non sono utilizzati. E' la denuncia del Partito degli Operatori della Sicurezza e della Difesa (Psd). Nonostante le strutture già a disposizione, sottolinea il psd, "il governo progetta la costruzione di nuovi istituti penitenziari stanziando addirittura 500 milioni di euro chiedendo ulteriori fondi all'Unione Europea con apposita proposta divenuta addirittura oggetto di una risoluzione dell'Europarlamento. La semplice, ma soprattutto notevolmente meno onerosa, ristrutturazione degli edifici già presenti sul territorio - dicono ancora al Psd - risulterebbe attuabile in tempi brevissimi se confrontati con quelli necessari alla costruzione ex novo di carceri, contribuendo così alla realizzazione della tanto perseguita razionalizzazione del sistema penitenziario, punto programmatico di governo".

L'attuale situazione. Sono Oltre circa 64.500 i detenuti nelle celle dei penitenziari italiani, a fronte una capienza regolamentare di 44.066 posti. In tutte e venti le regioni non ce n'è una dove il numero di reclusi coincide con i posti letto disponibili. E in dieci la quantità di persone costrette è addirittura superiore al massimo tollerabile, stabilito dal ministero. Numeri drammatici, aggiornati al 4 gennaio scorso che provengono direttamente dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Cifre che dicono senza possibilità di equivoci che, seppure l'"asticella" della tollerabilità sia stata spostata in alto, a 66.563 posti, grazie a una serie di interventi di ristrutturazione compiuti nel 2009, le carceri scoppiano lo stesso.

La maggioranza sono stranieri. Ad affollare i 206 penitenziari italiani sono sempre di più gli stranieri, che costituiscono il 37 per cento della popolazione detenuta (circa 24 mila, secondo i sindacati della polizia penitenziaria). E tra di loro la maggioranza è costituita dagli extracomunitari (quasi 20mila).

(13 gennaio 2010)

 

 

 

 

Il presidente del Consiglio anticipa alcuni temi della riforma: "Niente appello se si è assolti"

dopo la decisione di non portare il decreto sul processo breve al Consiglio dei ministri

Giustizia, nuovo scontro Anm-Berlusconi

I giudici: "Basta con la violenza verbale"

Il Cavaliere: "Le aggressioni di certi pm sono peggiori di quella che ho subìto in piazza Duomo"

Bersani: "Le leggi pro-premier non sgombrano il campo. Clima? Non sono un metereologo"

ROMA - "Riproponiamo l'inappellabilità delle sentenze di assoluzione in primo grado nella riforma della giustizia che stiamo esaminando". Silvio Berlusconi apre così la sua conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri. Tornando, con veemenza, sulla questione giustizia. "Sulla legge per il processo breve ci sono state calunnie e menzogne. Questa legge si dovrebbe chiamare legge sul processo lungo, perché il processo resta il più lungo in Europa, ma almeno ci sono tempi certi" dice il Cavaliere. Che torna ad attaccare i giudici, dicendo che le "aggressioni giudiziarie sono peggiori" di quella da lui subìta in piazza Duomo a Milano. Affermazioni che il segretario del Pd, Pierluigi Bersani chiosa così: "Le leggi pro-premier hanno un andamento ondivago e saltellante, ma non si decidono a sgombrare il campo". Dura anche la replica dell'Anm: "E' inaccettabile che la discussione sui temi delicati della giustizia debba continuare con questi toni in un clima di violenza verbale e di aggressione". Alta tensione, dunque. E a chi gli chiede del clima tra maggioranza e opposizione, Bersani replica secco: "Lasciamo al meteorologo Bonaiuti (uno dei fedelissimi di Berlusconi ndr) di segnalare alti e bassi del clima".

Giustizia e riforme. "Nella riforma della giustizia a cui stiamo lavorando - dice Berlusconi con il guardasigilli Angelino Alfano al fianco - vorrei assicurare che riproponiamo la inappellabilità delle sentenze di primo grado. Noi riteniamo che dobbiamo ancora insistere affinché un cittadino accusato di aver commesso un reato e giudicato innocente da un tribunale della Repubblica non debba più essere richiamato in appello con un processo di Cassazione. Perché i pm lo fanno sempre di ricorrere in Appello anche soltanto per il puntiglio di far vedere che il loro teorema accusatorio era valido, o magari per una antipatia personale o per un pregiudizio politico. Per il cittadino invece è la tragedia, sia per lui che per i suoi cari".

 

Stop al dl. Le parole di Berlusconi sono arrivate poche ore dopo l'annuncio dello stop al decreto blocca processi all'esame del Consiglio dei ministri. A comunicarlo ufficialmente è il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito, spiegando che i ragionamenti fatti ieri sono stati subito accantonati in quanto ''la sentenza della Corte costituzionale è immediatamente applicativa''. Stando alle indiscrezioni il ragionamento svolto da Berlusconi, nel corso del consiglio dei ministri, sarebbe stato questo: il decreto legge non serve perchè i giudici sono già tenuti ad applicare la sentenza della Corte Costituzionale. Soddisfatta l'opposizione che, per bocca del presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro spiega: "Io penso che il governo alla fine non abbia presentato il decreto cosiddetto 'blocca processì perchè le esigenze per far valere la costituzionalità del testo non erano sufficienti a garantire il premier. Ovviamente io penso male, ma ogni tanto ci si prende a pensar male".

Commissione, l'opposizione se ne va. Dopo gli scontri di ieri in Aula il disegno di legge sul processo breve è tornato in commissione Giustizia del Senato per esaminare le modifiche proposte dalla maggioranza, introdotte dagli emendamenti presentati per l'Aula dal relatore, Giuseppe Valentino. Ma, quasi immediatamente, i parlamentari dell'opposizione hanno abbandonato la riunione. "Utilizzando un precedente del Senato sul lodo Schifani - spiega Felice Casson, vicecapogruppo del Pd al senato - abbiamo chiesto la discussione e la votazione sugli emendamenti valentino e sui nostri. La maggioranza ha votato contro questa richiesta e quindi solo per un illustrazione degli emendamenti: non ha senso, non c'era nessuna possibilità per un confronto". Adesso il provvedimento ritornerà in Aula che esprimerà il voto "non oltre mercoledì della settimana prossima".

Il decreto blocca-processi resta comunque sul tavolo di Berlusconi che anche stamane aveva incontrato a Palazzo Grazioli il ministro della Giustizia Angelino Alfano e il consigliere giuridico Niccolò Ghedini. La questione ancora aperta sarebbe la durata della sospensione dei processi in corso in primo grado così da consentire all'imputato, nell'ipotesi di contestazioni suppletive in dibattimento relative a circostanze che già emergono dal fascicolo del pm, di ricorrere al rito abbreviato.

I novanta giorni di sospensione, prospettati in origine nella bozza di testo sottoposta al Quirinale dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, sarebbero scesi ieri a una durata inferiore, dopo un lavorio di mediazione che ha visto impegnato anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini. La decisione di non fare un decreto sembra indicare, tuttavia, che una intesa sulla durata della sospensione non sarebbe stata trovata. L'ipotesi di uno 'stop' di 45 giorni prospettata nei colloqui con il Colle potrebbe essere stata considerata insufficiente dai 'tecnici' di Berlusconi che avrebbero preferito, a questo punto, una sospensione di 60 giorni, utile anche in vista dell'imminente campagna elettorale. Per effetto del decreto, infatti, i due processi a carico del premier (Mills e Mediaset) sarebbero sospesi.

Le reazioni. "Le affermazioni di Berlusconi - dice Antonio Di Pietro - contrastano con il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, violando palesemente la Costituzione. Come è possibile, in uno stato di diritto, che rispetto alle sentenze di primo grado non venga data la possibilità di un secondo controllo di merito, per verificare se le stesse siano giuste o sbagliate. E per quale ragione al mondo quelle di primo grado, se sono di condanna, possono essere sbagliate e, se di assoluzione, invece non sono mai sbagliate?".

"Già è di un certo significato che sul processo breve oggi si sia tornati in commissione, dopo la giornata di ieri in cui l'opposizione si è mostrata compatta e unita. Ora siamo in attesa delle prossime norme, sulla base del nostro principio generale di sempre: riforme di sistema sì, leggi per una persona no. Su questo siamo lineari e fermi" dice Bersani.

No dell'Anm. "E' inaccettabile che la discussione sui temi delicati della giustizia debba continuare con questi toni in un clima di violenza verbale e di aggressione", dichiarano il presidente e il segretario dell'Anm, Luca Palamara e Giuseppe Cascini, dopo le dichiarazioni del premier Silvio Berlusconi. "Ancora una volta - sottolineano i vertici del sindacato delle toghe - assistiamo a gravi insulti rivolti dal capo del governo nei confronti dell'istituzione giudiziaria la cui legittima e doverosa attività viene oggi paragonata a comportamenti illeciti e violenti".

(13 gennaio 2010) Tutti gli articoli di Politica

 

 

 

 

 

Il premier vuole fermare i procedimenti per 3 mesi, fino al voto

la norma interesserà anche reati gravi e gravissimi

Pronto un decreto blocca-processi

"E se condannano Mills vado in tv"

di LIANA MILELLA

Angiolino Alfano

SE IL livello di un pranzo si capisce dall'antipasto, mai come ieri l'esordio di Berlusconi ha fatto capire agli astanti che il Silvio del 2010, quanto a voglia di liberarsi dai processi, è identico a quello del 2009. La cronaca gli offre lo spunto. Giusto alle 12 e 13 gli arriva sulla scrivania la notizia che il 25 febbraio la Cassazione deciderà la sorte della condanna di David Mills, il suo coimputato.

Arrivano i commensali e lui dichiara perentorio: "O i giudici decidono nel senso che sostengo io o faccio una dichiarazione a reti unificate per dire che la magistratura è molto peggio della mafia". Il "senso" di Berlusconi è presto detto: la Cassazione deve annullare la sentenza perché i pm di Milano hanno artatamente posticipato di un anno la data del reato e quindi la decorrenza della prescrizione. Se il delitto di corruzione è stato commesso nel '99 e non nel 2000 Mills se ne può tornare a Londra tranquillo e lui può governare sereno.

Grandi riforme all'insegna del partito dell'amore? Immunità per tutti? Solo bubbole. Il premier pensa a se stesso, fa riscrivere il processo breve dal suo fido Ghedini che c'infila dentro almeno altre tre bombe ad personam, è intenzionato a chiedere al Colle un decreto per bloccare i processi. Alle ortiche il legittimo impedimento, in cui c'è troppa discrezionalità dei giudici. Per Napolitano la richiesta è ben altra. Lui la spiega così: "Siccome ci sono le elezioni regionali e voglio stare tranquillo senza l'incubo dei processi, mi serve una soluzione indolore, per cui il presidente ci deve dare una mano. Un decreto, e stiamo tranquilli".

 

La nuova trovata non può che uscire dalla borsa di Niccolò Ghedini, il mago dei cavilli giuridici. L'ultima invenzione è questa: un decreto che recepisca la sentenza 333 della Consulta, fresca del 14 dicembre e scritta dall'avvocato Giuseppe Frigo, new entry alla Corte per il centrodestra sponsorizzata giusto da Ghedini, in cui si riconosce una lesione del diritto alla difesa, e quindi l'obbligo di riaprire i termini, qualora, di fronte a una nuova contestazione del pm a dibattimento aperto, l'imputato non abbia avuto la possibilità di scegliere il rito abbreviato. E chi ha ricevuto ben due di queste contestazioni? Berlusconi naturalmente, sia nel caso Mills che in quello Mediaset. E cosa chiederà il decreto? Di congelare il processo per tre mesi - si badi: il lasso di tempo che ci separa dalle regionali - per dare all'imputato Silvio la possibilità di decidere se preferisce usare il rito abbreviato. È da vedere se Napolitano riconoscerà necessità e urgenza di un simile decreto. Ieri il capo dello Stato ha preso in contropiede il premier. Lui si aspettava che fosse Napolitano a chiedergli se aveva novità sulla giustizia ed era pronto a sfoderare l'arma del decreto. Ma il presidente ha evitato un possibile terreno di scontro. Certo che i primi guai arriveranno col processo breve

Del resto il maxi emendamento - piatto forte del pranzo a palazzo Grazioli - è l'apoteosi della norma ad personam, camuffata come una legge che riprende quelle di bei nomi della sinistra, nell'ordine, Fassone, Ayala, Brutti, Calvi, Maritati, Finocchiaro, Casson, Pisapia. Berlusconi vorrebbe subito il pieno appoggio di Fini, gli indora la pillola ("Con lui voglio riprendere il filo"), ma durante il pranzo Giulia Bongiorno, Italo Bocchino, Ignazio La Russa, di solito loquaci, sono silenti. Solo La Russa dice che "è essenziale un incontro tra i due leader". Con loro Fini, di prima mattina, è stato perentorio. Gli ha detto che senza una precedente istruttoria, in presenza di rapporti politici inesistenti, qualsiasi giudizio va sospeso. Prima serve il chiarimento politico, poi i finiani giudicheranno il maxi emendamento che l'ex aennino Giuseppe Valentino ha scritto ad Arcore assieme a Ghedini e ai leghisti.

E le conseguenze si vedono. Nel processo breve rientrano tutti i reati, meno gravi, gravi, gravissimi. La corruzione ovviamente resta tra i primi. Tre anni in primo grado, due in secondo, 18 mesi in appello. Ma cosa è scritto nella norma transitoria? La legge si applica subito ai reati commessi prima del 2 maggio 2006, quindi coperti dall'indulto, per i quali, recita l'articolo, "il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere per estinzione del processo quando sono decorsi più di due anni dal provvedimento con cui il pm ha esercitato l'azione penale". Va da sé che i casi Mills e Mediaset rientrano tra questi. È questo il fulcro del maxi emendamento, conta poco che per i delitti gravi si preveda una scansione di quattro, due, 18 mesi per le tre fasi di giudizio, e che per quelli gravissimi si passi a cinque più tre più due dando al giudice la possibilità di spingersi a un terzo in più.

Altre sono le novità da oggi al Senato: il processo breve viene esteso anche alle persone giuridiche, perché il famoso 231, il decreto che disciplina la responsabilità amministrativa delle società ricadrà nel processo breve. Dibattimento corto anche per tutte le società, quelle di Berlusconi comprese, su cui ricade appunto la responsabilità del reato. E non basta ancora. Processo breve pure per la Corte dei conti. Tre anni in primo grado, che si riducono a due "se il danno erariale contestato non supera i 300mila euro", due anni in appello. Il creditore pubblico avrà meno tempo del privato per rivalersi. Costituzionale? Si vedrà. Per ora Berlusconi ha benedetto il tutto. L'en plein per tutelarlo è fatto. Tant'è che non si parla più di lodo congela processi. Quanto all'immunità sia la sinistra a dire se la vuole.

© Riproduzione riservata (12 gennaio 2010)

 

 

 

 

E' la trentacinquesima volta che l'esecutivo viene battuto alla Camera

Franceschini: "Ecco perché usano sempre la fiducia, la maggioranza fa acqua"

Interventi per l'occupazione al Sud

Il governo battuto su una mozione Pd

ROMA - Governo battuto nell'Aula della Camera sulla mozione del Pd relativa alle iniziative per per favorire l'occupazione del mezzogiorno. L'Assemblea di Montecitorio ha approvato, con 269 voti a favore e 257 contrari, la parte della mozione del Pd su cui il governo aveva espresso parere contrario. Il risultato della votazione è stato salutato da un forte applauso dai banchi dell'opposizione.

"E' merce rara mettere sotto il governo e non volevo far mancare il mio contributo, ma è da capire come questo sia possibile, con una margine in più di 80 - 90 parlamentari , andare sotto alla Camera. - ha commentato presidente dei deputati del Pd, Dario Franceschini - D'altra parte il ricorso continuo alla fiducia serve proprio a questo, usare un meccanismo coercitivo oppure la maggioranza fa acqua".

È la trentacinquesima volta che il governo viene battuto alla Camera in questa legislatura, e la nona proprio su questioni riguardanti il Mezzogiorno. "Quella di oggi - ha rilevato il segretario d'Aula dei democratici Erminio Quartani - è una doppia bocciatura per l'esecutivo perché non solo è la dimostrazione che la maggioranza è sempre più debole, (l'Mpa ha votato contro e più di un quarto di deputati del Pdl era assente dimostrando, ancora una volta, disinteresse per i lavori delle Camere), ma anche perché è la netta bocciatura dell'azione del governo nel Mezzogiorno e del continuo scippo dei fondi Fas al Sud da parte del ministro Tremonti. Adesso il governo dovrà reintegrare rapidamente le risorse impegnate del fondo per le aree sottoutilizzate per destinarle a un programma mirato al rilancio del tessuto produttivo e dei livelli occupazionali del Mezzogiorno".

(13 gennaio 2010)

 

 

2010-01-12

L'associazione nazionale magistrati: "Così giustizia in ginocchio"

Il sindacato delle toghe auspica "una riforma seria per un servizio giustizia credibile"

Processo breve, allarme dell'Anm

Bersani: "Ci metteremo di traverso"

Pierluigi Bersani

ROMA - E' scontro aperto sulle norme che limitano la durata dei processi. Che non piacciono all'Anm e nemmeno all'opposizione. Ma che la maggioranza vuole portare avanti con determinazione. "Metteranno in ginocchio la giustizia - dice il presidente Palamara dell'Anm -, la cui macchina è già disastrata. Con il processo breve - continua - non si dà giustizia alle vittime del reato", mentre si rischia di "dare impunità a chi ha commesso fatti delittuosi". Il leader del sindacato delle toghe ribadisce inoltre che i magistrati "vogliono dire basta a guerre e contrapposizioni", ma auspicano "una riforma seria per un servizio giustizia credibile agli occhi dei cittadini". Ieri, sempre contro il processo breve, erano scesi in sciopero gli avvocati penalisti.

Il sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo ha confermato il varo della norma blocca-processi, come ha rivelato oggi Liana Milella su Repubblica. "Dobbiamo adeguarci alla sentenza della Corte costituzionale del 14 dicembre", ha spiegato. In quella sentenza, firmata da Giuseppe Frigo, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 517 del codice di procedura penale che non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato, relativamente al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell'azione penale. Dunque, di fronte a una nuova contestazione deve essere riaperto il termine per consentire eventualmente all'imputato di chiedere il rito abbreviato. I processi interessati sarebbero sospesi per tre mesi. "C'è una sentenza", ha insistito Caliendo, "cui bisogna porre rimedio".

 

E oggi, anche il Pd fa sentire la sua voce: "Contro il processo breve ci metteremo di traverso - dice il segretario Pierluigi Bersani - Dopo le decisioni assunte ieri da governo e maggioranza stiamo entrando in un tunnel pericolosissimo. Non solo è una disarticolazione del sistema giudiziario ma è un'aministia per i colletti bianchi. E non si può per l'esigenza di uno mettere a repentaglio il sistema intero".

"Se Berlusconi pensa di essere uno statista - ammonisce il segretario del Pd - ora è il momento di dimostrarlo. Non si può pensare di parlare contemporaneamente di processo breve e di riforme. A questo punto, se intende andare avanti su questa strada, la destra si assuma le sue responsabilità" chiude il segretario democratico.

Molto critica anche l'Idv che, per bocca del capogruppo alla Camera Massimo Donadi parla di "schiaffo a tutti gli italiani onesti". "Il Pdl aumenta la velocità sulla giustizia per salvare Berlusconi dai processi prima delle regionali mentre la vera priorità è affrontare la crisi economica - continua Donadi - L'unica cosa che accelera nel Paese è l'inflazione, ma evidentemente a questa maggioranza non interessa perchè se ne infischia dei problemi concreti delle persone".

(12 gennaio 2010) Tutti gli articoli di Politica

 

 

 

 

Intervento del ministro alla Camera durante la discussione sulla situazione penitenziaria

Un piano per portare a 80mila i "posti disponibili" negli istituti di pena. Duemila agenti da assumere

Carceri, l'annuncio di Alfano

"Proporrò lo stato d'emergenza"

I ministri della Giustizia, Angelino Alfano e degli Interni, Roberto Maroni

ROMA - Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha annunciato alla Camera che domani proporrà al Consiglio dei ministri di dichiarare lo "stato di emergenza" nelle carceri italiane. "Il governo ritiene assolutamente grave la situazione nelle carceri e per intervenire - ha detto il guardasigilli nel corso del suo intervento in aula dove si discutono diverse mozioni sulla situazione penitenziaria - domani al consiglio dei ministri proporrò la dichiarazione dello stato di emergenza. Confido nel fatto che il cdm accolga la richiesta perché solo attraverso questa via possiamo riuscire a recuperare il vero significato dell'articolo 27 della Costituzione". L'annuncio è stato accolto in parte da applausi.

Il ministro ha detto che presenterà contemporaneamente il suo piano carceri, che "poggerà su tre pilastri".

Vi sarà, ha detto Alfano in aula, "un piano di edilizia giudiziaria che ponga il nostro Paese al livello delle sue necessità", ossia a un "livello di capienza attorno agli 80mila posti".

Il "secondo pilastro", ha proseguito Alfano, saranno "norme di accompagnamento che attenuino il sistema sanzionatorio per chi deve scontare un piccolissimo residuo di pena". Terzo e ultimo intervento, "una politica del personale". In questo contesto, ha spiegato il Guardasigilli, "saranno assunti duemila nuovi agenti di polizia penitenziaria" per "migliorare la condizione complessiva delle nostre carceri".

Il termine "stato d'emergenza" e i suoi possibili efffetti hanno spinto Dario Franceschini, capogruppo del Pd, a chiedere rassicurazioni al ministro sul fatto che il governo "non abuserà dello strumento dell'ordinanza al posto dei normali provvedimenti legislativi". Alfano ha risposto: "Lo stato d'emergenza non è il preludio di un abuso, ma uno strumento di efficienza, non intendiamo abusare di niente", ma solo, ha aggiunto il ministro, "realizzare un numero di posti che ci consentano di tamponare l'emergenza, affiancando una serie di norme che deflazionino la presenza in carcere".

(12 gennaio 2010)

 

 

 

Il presidente della Camera: "La decretazione d'urgenza soffoca il libero dibattito"

"La legittimazione non viene solo dalle urne, è necessario il confronto quotidiano"

Fini, nuovo monito al governo

"Non detti agenda alle Camere"

ROMA - Torna a fare sentire la sua voce. Difendendo il ruolo del Parlamento come già aveva fatto in passato. Gianfranco Fini pronuncia il suo altolà a quella che definisce "una visione mitologica della democrazia", che induce a ritenere "che la funzione di governo si traduca automaticamente in un'agenda legislativa predefinita e a senso unico in cui il potere esecutivo, soprattutto con il ricorso all'uso distorto, sotto vari profili, della decretazione di urgenza, tende a limitare, o peggio a soffocare il libero dibattito parlamentare sulle grandi decisioni della politica pubblica". Non è la prima volta che Fini agita questo tema. E non è la prima volta che le sue parole sono lette come una critica diretta all'azione di un governo che, spesso e volentieri, ricorre alla fiducia per blindare i provvedimenti.

"La legittimazione democratica a governare - prosegue Fini - non è infatti solo un dato iniziale che scaturisce dalle urne, ma si rafforza giorno dopo giorno nell'affrontare e nel risolvere i problemi sempre nuovi e inattesi che si presentano sul terreno concreto dei bisogni della collettività".

Ricendica l'importanza del rapporto quotidiano" tra governo e Parlamento, Fini e legge in questa dialettica la giusta strada "per far valere di fronte ai cittadini la responsabilità per le decisioni che si prendono durante l'intero arco della legislatura". "E' solo attraverso questo confronto quotidiano che le iniziative politiche del governo e della sua maggioranza diventano come richiede la costituzione 'politica nazionale', cioè quella unitaria sfera deliberativa in cui tutte le forze politiche sono chiamate a concorrere con metodo democratico" conclude il presidente della Camera.

 

La reazione dell'esecutivo non tarda ad arrivare. E si capisce che la nuova sortita di Fini non sia stata gradita. "Questo governo è la chiara espressione di una maggioranza politica e parlamentare. Non deve destare timore se il governo sviluppa una spiccata capacità di iniziativa politica rispetto al Parlamento" dice Francesco Giro, sottosegretario ai Beni culturali. "Se c'è una crisi della centralità del Parlamento questo non è da ascrivere ad un attacco del governo al parlamento" rincara il ministro dei rapporti con il Parlamento, Elio Vito. Dall'opposizione, invece, arriva il plauso del Pd. "Il centrodestra intenda andare per la sua strada a testa bassa continuando a interpretare la legittimazione elettorale come potere assoluto" commenta il democratico Michele Ventura.

(12 gennaio 2010)

 

 

 

 

L'associazione nazionale magistrati: "Si rischia di dare impunità a chi ha commesso fatti delittuosi"

Il sindacato delle toghe auspica "una riforma seria per un servizio giustizia credibile"

Processo breve, allarme dell'Anm

"Metterà in ginocchio la giustizia"

ROMA - L'Associzione nazionale dei magistrati all'attacco sulle norme che limitano la durata dei processi. "Metteranno in ginocchio la giustizia - dice il presidente Palamara a SkyTg24 -, la cui macchina è già disastrata". Con il processo breve - continua - "non si dà giustizia alle vittime del reato", mentre si rischia di "dare impunità a chi ha commesso fatti delittuosi". Il leader del sindacato delle toghe ribadisce inoltre che i magistrati "vogliono dire basta a guerre e contrapposizioni", ma auspicano "una riforma seria per un servizio giustizia credibile agli occhi dei cittadini". Ieri, sempre contro il processo breve, erano scesi in sciopero gli avvocati penalisti.

(12 gennaio 2010) Tutti gli articoli di Politica

 

 

L'amore per se stesso

di GIUSEPPE D'AVANZO

È stata breve la stagione dell'amore di Silvio Berlusconi. Distratto o confuso dalle sue stesse dolci parole, il presidente del Consiglio non si è accorto dell'esplosione di odio assassino che ha attraversato Rosarno (non ha detto una sola parola su quella tragedia, forse perché in fondo quelli erano negri e gli altri terroni, per dirla con il Brighella che gli dirige il giornale di famiglia). Ora al rientro dalla convalescenza, concentratissimo, il capo di governo discute di libertà. Le leggi ad personam, dice, non sono altro che "leggi ad libertatem". Amore, libertà. Le parole suonano bene e hanno un buon odore, ma non bisogna farsi ingannare. Le formule non accennano mai a un noi, sempre a un Io e dunque va meglio precisato l'orizzonte politico e istituzionale che si scorge: Berlusconi inaugura oggi la stagione dell'amore per se stesso, della libertà per se stesso. Novità? Nessuna, naturalmente. Diciannove leggi ad personam ci hanno abituati, nel tempo, ai trucchi nascosti dietro una quinta scorrevole che qualche malaccorto definisce la volontà riformatrice di un governo, una sfida "costituente" da non lasciar cadere, l'opportunità di un confronto nel merito.

Il "merito", come si dice, è sempre lo stesso. Ha un nome, un cognome, una faccia, un passato da imprenditore creativo e spregiudicatissimo; un presente da capo di governo in conflitto d'interessi invasivo e perenne che disprezza la sovranità della Costituzione; un futuro da Primus, da Eletto che pretende un'immunità speciale dalla Legge. È musica che conosciamo e Berlusconi, che non delude mai, non ce ne priverà nei prossimi mesi. Dice che ha lavorato intensamente alle tappe di una riforma fiscale. È una manovra di distrazione di massa, anche questa non nuova alla vigilia di ogni elezione. In realtà, ha riproposto un'iniziativa già fallimentare tre lustri fa (due aliquote) e irrealizzabile oggi, come tutti sanno e dicono a bocca storta. Il meglio delle sue energie, come si scopre adesso, Berlusconi lo ha riservato al programma di libertà per se stesso dai processi, dalla giustizia per il presente e per il futuro. Appena rientrato sulla tolda del comando unico, è salito al Quirinale per informare il capo dello Stato delle sue trovate, dopo aver rassicurato i suoi che "Napolitano deve dargli una mano". La prima trovata è un decreto legge (quindi, immediatamente esecutivo) che imporrebbe una sospensione di tre mesi ai processi in cui il pubblico ministero ha chiesto e ottenuto "contestazioni suppletive". È accaduto durante il dibattimento contro David Mills, testimone corrotto e condannato in primo e secondo grado (Berlusconi è accusato di averlo corrotto, il processo paralizzato dai lodi immunitari deve ora ricominciare). Contestazioni suppletive anche nel processo per la compravendita dei diritti televisivi Mediaset, ancora in corso (Berlusconi è imputato di frode fiscale).

 

Se il decreto legge dovesse essere firmato perché "urgente" dal capo dello Stato, Berlusconi con quest'abito cucito a sua misura guadagnerebbe, senza patemi, il tempo necessario per condurre in porto il "processo breve" che prevede la durata complessiva di sei anni. Una correzione che, se approvata, fulminerebbe - perché "estinti" - i processi che lo vedono imputato, ma - si sa - Berlusconi non si accontenta mai. Ecco allora la seconda idea originale progettata durante la convalescenza: perché non rendere liberi - e quindi immuni dalla legge, dal processo e dal giudizio - anche le società, dopo le persone? Di qui, la proposta contenuta nell'emendamento, che oggi sarà presentato al Senato, di un'estensione del "processo breve" anche alle persone giuridiche, quindi alle società che devono rispondere di reati contabili, danni erariali, di responsabilità amministrative per reati commessi da figure apicali nell'interesse aziendale. Mediaset ne ricaverebbe qualche sollievo nei suoi contenziosi giudiziari come la Pirelli-Telecom di Marco Tronchetti Provera, l'Eni e l'Italgas che devono rispondere di truffa ai danni dei consumatori, ma soprattutto Impregilo di Benetton, Ligresti e Gavio, per dire alla rinfusa di qualche processo già in corso.

È un'iniziativa non soltanto auto protettiva, allora. Elimina, con la separazione dei poteri pubblici (si crea un'area di immunità protetta dalla legge), anche ogni separazione tra la sfera pubblica e la sfera privata, tra poteri politici e poteri economici, una separazione essenziale che fa parte del costituzionalismo dello Stato moderno, "ancor prima della democrazia" aggiunge Luigi Ferrajoli. Il ritorno all'attività di Berlusconi ha un pregio indiscutibile. Con una sola mossa e in poche ore, lascia cadere ogni maschera. Si libera dell'alibi della "riforma della giustizia". Rende chiara la sua volontà e offre un saggio di quel che intende per "riforma costituzionale" agli incauti che hanno voluto credere nel suo "spirito costituente" condito dalla primitiva teologia politica del bene e del male, dell'amore e dell'odio. Egli, che è il bene, e addirittura l'organo monocratico che rappresenta la volontà dell'intero popolo sovrano, vuole soltanto costituzionalizzare se stesso, la sua anomalia, la concentrazione del suo potere, il suo conflitto di interesse.

Vuole riscrivere le regole comuni a partire dalla personalizzazione del suo potere che immagina e pretende separato da un Parlamento umiliato, immune dalla legge, confuso fino all'indistinzione con gli interessi economici che lo sostengono nella sua volontà di potenza. Berlusconi sa di sacrificare con la nuova tornata di leggi ad personam ogni possibilità di confronto con le opposizioni, ma ci ha davvero mai creduto in una discussione dagli esiti condivisi? È difficile crederlo. Lo strappo di Berlusconi dimostra come al fondo del suo "spirito costituente" ci sia soltanto una vecchia idea che Gianfranco Miglio già nel 1994, con la prima vittoria della destra, espresse in modo brutale. La Costituzione non è un accordo tra tutti sulle regole del gioco, ma è un "patto che i vincitori impongono ai vinti. Metà degli italiani fanno la Costituzione anche per l'altra metà. Poi si tratta di mantenere l'ordine nelle piazze".

© Riproduzione riservata (12 gennaio 2010)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2010-01-11

Il premier torna a palazzo Grazioli: "L'opposizione collabori"

Il Cavaliere: "Con Fini lui nessun problema". L'incontro con Napolitano

Riforme, il Pdl accelera sulla giustizia

Berlusconi "Solo leggi ad libertatem"

ROMA - "Non voglio più parlare di queste cose, sono leggi 'ad libertatem', mi indigno quando sento queste cose, e io non voglio indignarmi". Silvio Berlusconi, al suo rientro a Palazzo Grazioli per il vertice di maggioranza, replica seccamente alle parole del leader del Pd, Pierluigi Bersani, che chiede al centrodestra di non fare leggi 'ad personam' in materia di giustizia. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano, però, non mostra correzioni di rotta: avanti con i disegni di legge già

presentati in Parlamento sul legittimo impedimento alla Camera e sul processo breve al Senato. Sul tavolo la possibilità di presentare una legge costituzionale che ricalchi il Lodo Alfano bocciato dalla Consulta, accogliendone i rilievi che portarono alla bocciatura. Oppure ripensare alla reintroduzione dell'immunità parlamentare.

"Andiamo avanti in tempi rapidi con la riforma costituzionale della giustizia da sottoporre al confronto in parlamento e nel frattempo proseguirà l'iter dei ddl calendarizzati in parlamento ovvero i tempi certi per i processi e il legittimo impedimento che per noi significa diritto di governare. Non sono leggi ad personam" spiega Alfano. Ma non solo giustizia: "Avvieremo immediatamente incontri all'interno della coalizione di maggioranza per definire anche il testo base sulla riforme riguardanti le forme di Stato e di governo" continua il ministro. Per quanto riguarda il rapporto con l'opposizione il premier ribadisce concetti già espressi in passato: "Se c'è disponibilità a discutere noi siamo pronti. Le riforme costituzionali le faremo senza pregiudiziali politiche, ma bisogna capire se vogliono il dialogo oppure la 'melina'. Non ci faremo intrappolare".

 

Berlusconi tende la mano al presidente della Camera Gianfranco Fini: "Per me non ci sono problemi, in tanti anni di una collaborazione leale non ho mai avuto dubbi a riguardo". Ricevendo una replica indiretta: "'Resto convinto che le riforme costituzionali si possano fare in questa legislatura.Qualcuno ha parlato di un asse tra me e il presidente della Repubblica. Ma sono semplicemente considerazioni di elementare buon senso, non c'è nessun asse" dice Fini.

Poi Berlusconi accenna alla riforma del fisco: "C'è da lavorare, penso però che si possa fare quest'anno. Soprattutto se ci sarà la volontà di tutte le parti penso che si possa fare". Ed è a questo punto che arriva l'appello all'opposizione. "Bisogna pensare a fare le riforme. Ho lavorato molto alla riforma fiscale, che è fondamentale per ammodernare il paese e quindi su questo credo valga la pena di impegnarci tutti" continua il premier, assicurando che sta lavorando a stretto contatto con il ministro dell'Economia: "Ho lavorato con Tremonti spero che l'opposizione possa convenire che si tratta di cose indispensabili".

Bersani,però, rilancia enumerando le condizioni di un sì alla revisione del fisco: "Subito detrazioni Irpef per lavoro e famiglia, superamento degli studi di settore, miglior rapporto del carico fiscale tra lavoro e rendita finanziaria, lotta al nero e all'evasione, recuperando qualche elemento di tracciabilità".

Oggi, ad attendere Berlusconi a palazzo Grazioli, c'erano decine di fotografi e telecamere. Il premier è sceso dall'auto e si è concesso senza esitazioni: "Ho un segnetto appena qui - dice indicandosi lo zigomo sinistro dopo l'aggressione a piazza Duomo - e uno sul labbro superiore. Peccato per il dente, dovrò fare un impianto". In serata, infine, l'incontro con il capo dello Stato: "Tutto bene, abbiamo parlato dell'attività di governo dei prossimi mesi e delle cose da fare" sintetizza il premier.

(11 gennaio 2010) Tutti gli articoli di Economia

 

 

 

 

Dopo il vertice di maggioranza la reazione del segretario democratico

"Il governo mette a repentaglio le riforme istituzionali". Di Pietro: "Presa in giro"

Giustizia, Bersani all'attacco

"Così a rischio le riforme"

ROMA - Altro che dialogo. Altro che riforme condivise. Il rientro sulla scena politica del Cavaliere e l'annuncio dell'avanti tutta sulla giustizia, scatena l'ira del Pd. "Sarebbe questa la prima mossa del "partito dell'amore? Andando avanti a testa bassa sui suoi provvedimenti il governo sa bene che mette a repentaglio una discussione di sistema sulle riforme istituzionali, ivi compreso il rapporto tra Parlamento e magistratura" dice il segretario nazionale Pierluigi Bersani. "Non bastano i giochi di parole o le finte benevolenze verso l'opposizione a nascondere la realtà dei fatti. La nostra disponibilità è quella dichiarata più volte: si sospendano i provvedimenti che governo e maggioranza hanno annunciato e si discuta subito dell'ammodernamento del nostro sistema".

La voce di Bersani non è isolata. Per Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato, la maggioranza sta "esagerando". "Viene annunciato - sottolinea la presidente dei senatori democratici - un emendamento ( o un maxi-emendamento?) della maggioranza sul processo breve, provvedimento sul quale siamo sin dall'inizio contrari, di cui ancora non è disponibile il testo, ma la maggioranza ha già deciso che tutto verrà approvato in tempi brevissimi. Alla faccia del dibattito parlamentare! Ancora una volta la maggioranza usa il Parlamento come luogo di ratifica di decisioni altrove assunte".

Polemica anche l'Idv. "E' una presa in giro grande come una casa. A noi non hanno fatto vedere niente - dice il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro - domani si vedrà che è un vasetto vuoto che vuole legittimare scelte che sono sempre ad personam. Si vendono la pelle dell'orso prima di averlo catturato".

(11 gennaio 2010)

L'UNITA'

per l'articolo completo vai al sito Internet

http://www.unita.it

2010-01-22

Il taglia-processi viola la Carta Colle, Csm e Anm al lavoro

di Claudia Fusanitutti gli articoli dell'autore

La regola è quella di sempre, mentre il Parlamento lavora il Presidente della Repubblica tace. E però, tra silenzi e attese, il testo del ddl 1880 approvato mercoledì dal Senato è in queste ore sotto la lente di ingrandimento degli esperti giuridici del Quirinale e non solo. I profili di incostituzionalità del processo breve sono più d’uno. Il più grave, che da solo potrebbe far respingere il testo dal Colle, è quello per cui la norma altro non è che un’amnistia mascherata concessa però contro le norme stabilite dall’articolo 79 della Costituzione che prevede i due terzi dei voti del Parlamento. Basta questo rilievo per far sì che appena la Camera darà il via libera finale, il primo giudice che vedrà ucciso il suo processo si rivolgerà alla Consulta. E dopo di lui decine, centinaia di altri presidenti di sezioni di Tribunali o di Corte d’appello. Ma questo è solo "il più palese" dei profili di incostituzionalità. Quello che se ne trascina dietro altri. Se il processo breve nasce, come si legge nel titolo del ddl, in attuazione dell’articolo 111 della Costituzione (il cosiddetto giusto processo), si osserva che "l’articolo non indica da nessuna parte i paletti entro i quali il processo va celebrato". Non potrebbe farlo. Uccidendo il processo si nega alla vittima del reato, ma anche all’imputato, il diritto "all’accertamento delle responsabilità" che può essere, specie per alcuni reati come gli omicidi colposi, più importante della pena. I giuristi in queste ore al lavoro giudicano anche "irragionevole che sia prevista la proroga di un terzo dei termini di prescrizione solo per una tipologia di reato (i più gravi, mafia e terrorismo)". Il processo-breve dunque è né più né meno che "un’amnistia mascherata" come hanno sempre denunciato Anm e Csm i cui profili di incostituzionalità sono "evidenti" e a cui si sono aggiunti anche "gli illeciti contestati alle persone giuridiche nonostante per queste non sia evocabile l’indulto". Per non parlare dell’estinzione dei processi dinanzi alla Corte dei Conti. Nessuno sta sparando cifre su quanti processi andranno a morire con le nuove nome. Di certo se erano tra il 10 e il 30 per cento con la vecchia formulazione, "adesso sono inevitabilmente di più visto che l’applicazione della prescrizione del processo è stata allargata a tutti gli imputati e a tutti i reati". Ha un bel dire il ministro Alfano, lo ha ripetuto anche ieri alla Camera presentando la relazione sul bilancio della giustizia, che "il governo è contrario all’amnistia". Non è così, come sa bene la Lega, il partito della certezza della pena e della legalità, che ha qualche difficoltà a spiegare al suo popolo cosa sta succedendo. Perché se saranno messi in libertà delinquenti e criminali ("Con questa legge lo Stato si consegna alla criminalità" ha detto il segretario dell’Anm Giuseppe Cascini), resteranno senza neppure la dignità e l’orgoglio di una verità processuale migliaia di vittime di reato. Una "tragica farsa" dice Luca Palamara, presidente dell’Anm. La replica Alfano: "Mi cascano le braccia".

I processi cancellati

Appena il processo breve diventa legge muoiono in un colpo solo non solo i due processi del premier ma tutti gli omicidi colposi (incidenti stradali e per colpa medica), i casi di malasanità a cominciare da quello della clinica S.Rita a Milano. Spazzati via i crac finanziari di Cirio e Parmalat e le scalate Antonveneta e Bnl e la corruzione nel processo Eni-power. I procedimenti con pene al di sotto dei dieci anni sono il 70 per cento, circa 700 mila. A rischio i processi per le cause con morti sul lavoro come Eternit e Thyssen. Il procuratore generale di Firenze Beniamino Deidda teme per il processo della strage di Viareggio, ventidue vittime senza un responsabile. Colpo di spugna su tutti i processi per reati contro la pubblica amministrazione. E poi reati più odiosi come lo sfruttamento della prostituzione o i maltrattamenti in famiglia. Il Comitato intermagistrature, non solo le toghe penali ma anche quelle contabili, amministrative e l’Avvocatura di stato, parla di "conseguenze devastanti sull’intero sistema della giustizia italiana", di riforme che "sacrificano del tutto le esigenze di tutela delle vittime dei reati". Di fronte a tanta "vergogna" anche nella maggioranza affiorano dubbi. Il coraggioso senatore Musso li ha espressi, unico, in aula. Altri mandano messaggi dalle retrovie: "Vedrete, alla Camera se ne parlerà dopo le Regionali". Intanto va avanti l’altra norma ad personam, il legittimo impedimento, la numero venti, di sicuro con meno effetti collaterali di questi. Sembra un film già visto: luglio 2008, il governo propone l’obbrobrio del taglia-processi. Indigeribile. E di fronte a tanto spavento, in venti giorni il Parlamento approvò il lodo Alfano.

22 gennaio 2010

 

 

 

 

 

Processo-breve per lui, 500 mln per loro. L'Anm: "È una resa alla criminalità"

Pier Luigi Bersani è tornato a criticare il processo breve. "È un tema di discriminazione palese e questo può vederlo chiunque", ha detto il segretario del Pd a margine di un ricordo alla Camera di Paola Manzini. Bersani ha auspicato che nel passaggio del testo dal Senato a Montecitorio "possano risultare più chiari" gli effetti della norma e possa esservi "qualche elemento di valutazione e giudizio in più anche per la maggioranza che deve riflettere". In ogni caso, ha ribadito, "credo che alla Camera combatteremo con forza" contro la legge.

Niente mezze misure nemmeno per l'Associazione nazionale magistrati. Scempio penale. "Questa è la resa dello Stato di fronte alla criminalità. Noi abbiamo il dovere di denunciare la gravità delle conseguenze di questa legge". Così Giuseppe Cascini, segretario dell'Anm, commenta su Ecoradio il sì del Senato al processo breve. "Il presidente del Consiglio continua ad avere scarso senso delle istituzioni usando espressioni ingiuriose nei confronti dei magistrati - rileva Cascini - per reagire a questa pretesa persecuzione giudiziaria la maggioranza e il governo decidono di distruggere l'intera giustizia penale in Italia. Si stanno mettendo in discussione le fondamenta dello Stato democratico".

Il male principale, secondo il segretario del sindacato delle toghe, "è realmente il tema della durata dei processi. Abbiamo indicato una serie di interventi possibili anche senza investimenti per garantire una migliore funzionalità della macchina giudiziaria. In Italia, purtroppo, ogni volta che si parla di riforma della giustizia vengono fuori solo due temi: le vicende personali del presidente del Consiglio e come fare per dare maggiore potere alla politica per controllare i magistrati. La giustizia che riguarda tutti i cittadini - conclude Cascini - non interessa nessuno".

Leggendo con attenzione il decreto passato ieri al Senato, emerge poi un vero scempio contabile. Un mancato incasso per la casse dello Stato che si aggira su centinaia di milioni di euro. Non solo negata giustizia per i cittadini che vedranno dichiarati morti processi ancora non conclusi. Anche un danno erariale di cui, chissà quando, sarà possibile avere un conteggio preciso. Siccome il processo breve prima versione era ad alto rischio di incostituzionalità, proponenti e relatori si sono dati da fare per allargarne il più possibile i campi di applicazione oltre il penale, coinvolgendo anche i reati contabili e le persone giuridiche, la responsabilità amministrativa delle società, quelle di Berlusconi comprese.

La verità è che sarebbe più giusto definire il processo breve una norma non per una persona sola (Berlusconi) ma "per la casta" (il copyright è di Gianpaolo D’Alia, Udc), in difesa dei privilegi e degli abusi della casta. I reati contabili, ad esempio. Il Pd sta preparando un’interrogazione parlamentare per sapere nel dettaglio quanti sono i procedimenti davanti ai vari distretti della Corte dei Conti destinati a morire con il processo breve, a quanto ammonta il danno erariale e a quanto il mancato incasso per lo Stato, cioè il risarcimento a cui sono stati condannati i vari amministratori che hanno sprecato e frodato le casse pubbliche. Il senatore Casson ha un dato che parla di 500 milioni di euro di danno erariale (inferiore è la cifra del risarcimento). Angelo Buscema, presidente del sindacato delle toghe contabili, ha avviato un monitoraggio nei vari distretti per avere nel dettaglio i giudizi che da subito verrebbero spazzati via dal provvedimento (decadono i procedimenti se dalla citazione a giudizio sono trascorsi cinque anni senza che si sia arrivati a un giudizio di I grado).

Le regioni più interessate sono Lazio, dove pendono giudizi di responsabilità per le consulenze ministeriali e sul caso Rai-Meocci, Lombardia (inchieste su appalti, sanità e assunzioni facili da parte del sindaco Moratti) e Campania dove sono incardinate da più di cinque anni molti giudizi che riguardano i rifiuti. I magistrati contabili spiegano che il problema non è la lunghezza dei loro processi quando il fatto che spesso devono sospenderli in attesa del penale.

Tra i sicuri beneficiati dalla norma emerge, in pieno conflitto di interesse, il senatore Giuseppe Valentino, ex di An, che ha un giudizio pendente davanti alla Corte dei Conti del Lazio per una storia di sprechi e consulenze quando era sottosegretario alla Giustizia con il Guardasigilli Roberto Castelli. Bene: Valentino è anche l’autore delle norma, colui che materialmente l’ha scritta per salvare, quindi, se stesso. Altri beneficiati sono lo stesso Castelli (anche lui ha dato una mano a scrivere il testo), gli onorevole Iole Santelli e Alfonso Papa, tutti del Pdl, coinvolti in quella stagione di consulenze facili.

Un’altra faccenda che rischia di essere cancellata riguarda l’ex cda della Rai, a maggioranza di centrodestra, che nel 2005 nominò Alfredo Meocci direttore generale Rai pur essendo incompatibile. La Procura regionale della Corte dei Conti ha chiesto 50 milioni a 16 sedici persone tra cui l’ex direttore generale Flavio Cattaneo e l’ex ministro dell’Economia Domenico Siniscalco.

Tra i beneficiati risultano, al momento, anche il sindaco di Milano Letizia Moratti per un procedimento che ancora una volta riguarda assunzioni e consulenze al comune di Milano. E molti amministratori campani che in questi anni hanno sperperato decine di milioni di euro con il business dei rifiuti.

Il processo breve è un’amnistia generale. Non solo penale. Anche, soprattutto, contabile. Per non parlare dei benefici per le società tra cui Telecom (dossier Tavaroli), Impregilo (750 milioni di illecito profitto negli appalti dei rifiuti), la Green holding di Grossi e Italease imputata per omessa vigilanza sui presunti reati commessi da ex manager della banca. Più casta di così.

20 gennaio 2010

 

 

 

 

 

Le gambe corte del processo breve

di Achille Serratutti gli articoli dell'autore

Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata del processo": questo il titolo ufficiale del Ddl 1880, volgarmente noto come "legge sul processo breve". Un titolo che rispecchia in maniera esemplare il modus operandi dell’attuale governo che mentre persegue gli interessi particolari di pochi (o di uno), vanta davanti all’opinione pubblica una premurosa sollecitudine verso tutti. Così, nuovamente, ingiustizia è fatta, non solo per le conseguenze di questa norma scellerata ma per la nuova bugia propinata al Paese.

Quando si possiede il più potente strumento di comunicazione dell’età contemporanea - la televisione - e numerosi strumenti minori - giornali, radio, portali web - confezionare e vendere bugie non richiede eccessivi sforzi di creatività. Basta trasformare una verità che sta a cuore ai cittadini - "un processo non può durare 15 anni" - in uno slogan ripetuto con convinzione da tutti i megafoni a disposizione, dalle Aule parlamentari ai salotti dei talk show. Chi, in Italia, non condivide un’affermazione del genere? E, soprattutto, che importanza hanno le strategie per raggiungere questo obiettivo, davanti a uno slogan che suona come una promessa?

Al di là della propaganda, le strategie sono l’unica cosa che conta. E le domande importanti diventano altre: quanti anni sono che non viene bandito un concorso per cancellieri? Quanti segretari mancano nei tribunali? Quando avremo, anche in Italia, una "giustizia telematica" che snellisca archivi e procedure? Quando, insomma, metteremo la macchina burocratica nelle condizioni di rispettare il principio costituzionale della ragionevole durata del processo?

Il triste capitolo del "processo breve", dunque, mostra che non c’è limite all’arroganza menzognera del governo. Ma mostra anche che le possibilità di dialogo con questa maggioranza non esistono. Dopo l’ignobile aggressione di Tartaglia, in molti hanno salutato con speranza il nuovo partito dell’amore e del confronto. Mentre in questi giorni in Senato, dopo appena un mese dalle rinnovate promesse di dialogo, abbiamo assistito al più duro atteggiamento di chiusura dall’inizio della legislatura. I nostri emendamenti, puntualmente bocciati, non sono neanche stati presi in considerazione. Il no all’ascolto è stato assoluto, sebbene dalle file dell’opposizione siano intervenuti giuristi e politici di grande spessore. Dopo averne fatto per quarant’anni il cavallo di battaglia della mia carriera, mi piacerebbe oggi sapere cosa intenda in governo per dialogo. E se non abbia ragione il Presidente del Consiglio quando taccia di inutilità l’istituzione parlamentare, un’istituzione che per metà esegue ordini e per l’altra metà è costretta a subirli.

21 gennaio 2010

 

 

 

 

2010-01-21

Processo-breve per lui, 500 mln per loro. L'Anm: "È una resa alla criminalità"

Pier Luigi Bersani è tornato a criticare il processo breve. "È un tema di discriminazione palese e questo può vederlo chiunque", ha detto il segretario del Pd a margine di un ricordo alla Camera di Paola Manzini. Bersani ha auspicato che nel passaggio del testo dal Senato a Montecitorio "possano risultare più chiari" gli effetti della norma e possa esservi "qualche elemento di valutazione e giudizio in più anche per la maggioranza che deve riflettere". In ogni caso, ha ribadito, "credo che alla Camera combatteremo con forza" contro la legge.

Niente mezze misure nemmeno per l'Associazione nazionale magistrati. Scempio penale. "Questa è la resa dello Stato di fronte alla criminalità. Noi abbiamo il dovere di denunciare la gravità delle conseguenze di questa legge". Così Giuseppe Cascini, segretario dell'Anm, commenta su Ecoradio il sì del Senato al processo breve. "Il presidente del Consiglio continua ad avere scarso senso delle istituzioni usando espressioni ingiuriose nei confronti dei magistrati - rileva Cascini - per reagire a questa pretesa persecuzione giudiziaria la maggioranza e il governo decidono di distruggere l'intera giustizia penale in Italia. Si stanno mettendo in discussione le fondamenta dello Stato democratico".

Il male principale, secondo il segretario del sindacato delle toghe, "è realmente il tema della durata dei processi. Abbiamo indicato una serie di interventi possibili anche senza investimenti per garantire una migliore funzionalità della macchina giudiziaria. In Italia, purtroppo, ogni volta che si parla di riforma della giustizia vengono fuori solo due temi: le vicende personali del presidente del Consiglio e come fare per dare maggiore potere alla politica per controllare i magistrati. La giustizia che riguarda tutti i cittadini - conclude Cascini - non interessa nessuno".

Leggendo con attenzione il decreto passato ieri al Senato, emerge poi un vero scempio contabile. Un mancato incasso per la casse dello Stato che si aggira su centinaia di milioni di euro. Non solo negata giustizia per i cittadini che vedranno dichiarati morti processi ancora non conclusi. Anche un danno erariale di cui, chissà quando, sarà possibile avere un conteggio preciso. Siccome il processo breve prima versione era ad alto rischio di incostituzionalità, proponenti e relatori si sono dati da fare per allargarne il più possibile i campi di applicazione oltre il penale, coinvolgendo anche i reati contabili e le persone giuridiche, la responsabilità amministrativa delle società, quelle di Berlusconi comprese.

La verità è che sarebbe più giusto definire il processo breve una norma non per una persona sola (Berlusconi) ma "per la casta" (il copyright è di Gianpaolo D’Alia, Udc), in difesa dei privilegi e degli abusi della casta. I reati contabili, ad esempio. Il Pd sta preparando un’interrogazione parlamentare per sapere nel dettaglio quanti sono i procedimenti davanti ai vari distretti della Corte dei Conti destinati a morire con il processo breve, a quanto ammonta il danno erariale e a quanto il mancato incasso per lo Stato, cioè il risarcimento a cui sono stati condannati i vari amministratori che hanno sprecato e frodato le casse pubbliche. Il senatore Casson ha un dato che parla di 500 milioni di euro di danno erariale (inferiore è la cifra del risarcimento). Angelo Buscema, presidente del sindacato delle toghe contabili, ha avviato un monitoraggio nei vari distretti per avere nel dettaglio i giudizi che da subito verrebbero spazzati via dal provvedimento (decadono i procedimenti se dalla citazione a giudizio sono trascorsi cinque anni senza che si sia arrivati a un giudizio di I grado).

Le regioni più interessate sono Lazio, dove pendono giudizi di responsabilità per le consulenze ministeriali e sul caso Rai-Meocci, Lombardia (inchieste su appalti, sanità e assunzioni facili da parte del sindaco Moratti) e Campania dove sono incardinate da più di cinque anni molti giudizi che riguardano i rifiuti. I magistrati contabili spiegano che il problema non è la lunghezza dei loro processi quando il fatto che spesso devono sospenderli in attesa del penale.

Tra i sicuri beneficiati dalla norma emerge, in pieno conflitto di interesse, il senatore Giuseppe Valentino, ex di An, che ha un giudizio pendente davanti alla Corte dei Conti del Lazio per una storia di sprechi e consulenze quando era sottosegretario alla Giustizia con il Guardasigilli Roberto Castelli. Bene: Valentino è anche l’autore delle norma, colui che materialmente l’ha scritta per salvare, quindi, se stesso. Altri beneficiati sono lo stesso Castelli (anche lui ha dato una mano a scrivere il testo), gli onorevole Iole Santelli e Alfonso Papa, tutti del Pdl, coinvolti in quella stagione di consulenze facili.

Un’altra faccenda che rischia di essere cancellata riguarda l’ex cda della Rai, a maggioranza di centrodestra, che nel 2005 nominò Alfredo Meocci direttore generale Rai pur essendo incompatibile. La Procura regionale della Corte dei Conti ha chiesto 50 milioni a 16 sedici persone tra cui l’ex direttore generale Flavio Cattaneo e l’ex ministro dell’Economia Domenico Siniscalco.

Tra i beneficiati risultano, al momento, anche il sindaco di Milano Letizia Moratti per un procedimento che ancora una volta riguarda assunzioni e consulenze al comune di Milano. E molti amministratori campani che in questi anni hanno sperperato decine di milioni di euro con il business dei rifiuti.

Il processo breve è un’amnistia generale. Non solo penale. Anche, soprattutto, contabile. Per non parlare dei benefici per le società tra cui Telecom (dossier Tavaroli), Impregilo (750 milioni di illecito profitto negli appalti dei rifiuti), la Green holding di Grossi e Italease imputata per omessa vigilanza sui presunti reati commessi da ex manager della banca. Più casta di così.

20 gennaio 2010

 

 

 

Anna Finocchiaro: "L'interesse privato è la loro priorità"

di Ninni Andriolotutti gli articoli dell'autore

Una maggioranza senza vergogna, è l’interesse privato del Capo del governo la vera priorità del centrodestra..."

Presidente Finocchiaro, con il processo breve siamo al diciannovesimo provvedimento ad personam in ordine di tempo....

"Una sequela ininterrotta che si è perpetuata da un governo Berlusconi all’altro per diverse legislature. Quella attuale è un’operazione a tenaglia: si parte con il processo breve, nel frattempo - alla Camera - si discute il legittimo impedimento, contemporaneamente hanno tentato un decreto legge per ottenere una norma da utilizzare subito nei processi di Milano e, dall’altra parte, si minaccia il Lodo Alfano costituzionalizzato. Tutto questo mentre il Paese attraversa una crisi difficilissima che investe le famiglie, in particolare quelle del Mezzogiorno".

Il Parlamento "occupato" dai problemi privati del premier, quindi. Come se ne esce?

"Il Parlamento usato. Con conseguente spreco di tempo e di risorse pubbliche. Il potere legislativo utilizzato per un unico ossessivo scopo: quello di salvare il premier dai processi che lo riguardano".

Per il senatore Gasparri il processo breve serve a dare giustizia al Paese...

"Questo provvedimento, in realtà, manderà al macero centinaia di migliaia di processi penali e contabili, con il risultato di danneggiare i conti dello Stato e introdurre principi di irresponsabilità per chi amministra risorse pubbliche. Si produrrà non l’abbreviazione dei tempi del processo, ma in una denegata giustizia. Di fronte a questa obiezione la maggioranza non è riuscita mai a dare risposta. L’unica verità che può affermare, infatti, è l’impellente necessità di salvare il premier. C’è da rilevare, tra l’altro, che con le nuove norme, l’unico interesse dell’imputato colpevole sarà quello di portare avanti il processo il più a lungo possibile. Non avrà alcun interesse, infatti, a chiedere un patteggiamento o un giudizio abbreviato"

Dopo il sì del Senato ci sarà, prevedibilmente, anche quello della Camera. Il Partito democratico si opporrà anche nel Paese, fuori dal Parlamento?

"Ogni volta che facciamo una battaglia efficace, come quella che abbiamo condotto in Senato, parliamo al Paese. Vorrei dare valore all’impegno parlamentare anche per evitare che venga vissuto, quasi, come un passaggio burocratico. Ci pensano già altri, il governo e la maggioranza, a mettere in mora il Parlamento costringendolo a timbrare decisioni prese dagli avvocati del Presidente del Consiglio, ad Arcore o a Palazzo Grazioli. Nel Parlamento e nel Paese il Pd deve svolgere il proprio ruolo con questa consapevolezza".

Individua nel processo breve profili di costituzionalità che possano influire sulle decisioni del Presidente della Repubblica?

"Abbiamo presentato in Senato le nostre pregiudiziali di costituzionalità. La maggioranza ha ripulito un po’ il testo, ma noi continuiamo a mantenere delle riserve. Dopodiché vedremo...".

L’ossessione di salvare il premier, come lei la definisce, non rende poco credibile il confronto sulle riforme?

"Le riforme dovrebbero essere varate per arginare una concezione in cui il potere non trova confini e per sbarrare il passo a una prassi costituzionale secondo la quale il Parlamento diventa il luogo della ratifica. Oggi si legifera per decreti legge modificati con i maxiemendamenti, si ricorre continuamente al voto di fiducia. Il Capo dello Stato ha denunciato più volte queste distorsioni. Abbiamo tutto l’interesse di rendere più forte la democrazia italiana con riforme che riescano a restituire forza alle istituzioni e a rendere più agevole il procedimento legislativo. Una grande forza riformista, come la nostra, non può arretrare di fronte all’esigenza di dare al Paese un assetto istituzionale equilibrato e moderno".

E c’è il clima giusto, oggi, per ottenere i risultati che lei auspica?

"È ovvio che la maggioranza si assume la responsabilità di un certo clima e su di lei certamente oggi grava un giudizio di inaffidabilità. La prima garanzia di ogni relazione positiva, anche di quella politica quindi, è il riconoscimento e il rispetto reciproco. E se andranno avanti con questo andazzo tutto potrebbe complicarsi, malgrado avverta come impellente la necessità delle riforme. Per fare riforme utili al Paese ci troveranno sempre pronti, non ci troveranno pronti per fare ciò che hanno fatto oggi (ieri, ndr.) al Senato"

La parola confronto evoca immediatamente il fantasma dell’inciucio, a maggior ragione in rapporto a una maggioranza "ossessionata" dai processi del premier...

"Sbaglia chi accusa d’inciucio coloro che vogliono le riforme. Non si capisce che, in questo momento, stare fermi significa consentire che si affermi una gestione del potere che punta a stravolgere la stessa regola costituzionale".

21 gennaio 2010

 

 

 

2010-01-20

Processo-breve, condonati 500 mln

Il processo breve approvato oggi non cancellerà solo i dibattimenti ma anche "almeno 500 milioni di euro" che sindaci, parlamentari, ministri e sottosegretari hanno rubato allo Stato truffando e sprecando. Soldi che devono essere restituiti in base alle sentenze della Corte dei Conti. Ma che il ddl 1880 Gasparri-Quagliariello, più noto come "processo breve", nella sua versione corretta e allargata anche ai procedimenti contabili e societari cancella in un colpo solo. Quando ieri pomeriggio l’aula di palazzo Madama ha messo ai voti la norma transitoria che cancella i processi in corso, il senatore Casson (Pd) lo ha detto chiaro: "Siamo arrivati al vero motivo di questa legge, la norma che non serve solo per cancellare ui processi di Berlusconi ma serve anche anche ad un vostro sindaco, ad un vostro ministro e ad altri che non dovranno più risarcire lo Stato di circa 500 milioni di euro".

Ancora più esplicito Gianpaolo D’Alia (Udc) che rivolto ai banchi della Lega avverte: "Una volta passata questa legge non potrete più fare gli sbruffoni in nome della certezza della pena e contro Roma ladrona perchè non approvate non solo un’amnistia ma anche un clamoroso condono contabile che salverà molti vostri amministratori". Mentre le opposizioni prendono la parola in aula, l’agenzia Ansa pubblica l’intervista al procuratore della Corte dei Conti del Lazio Pasquale Iannantuono che fa nomi e cognomi dei possibili beneficiari della norma: il viceministro Roberto Castelli e il sindaco di Milano Letizia Moratti ma anche lo stesso relatore del processo breve, il senatore Giuseppe Valentino, i deputati Iole Santelli e Alfonso Papa, tutti del pdl. E ancora, cinque membri del vecchio Cda Rai in quota centrodestra tra cui l’ex dg Flavio Cattaneo e l’ex ministro dell’Economia Domenico Siniscalco per la nomina di Meocci.

I gregari imitano il Capo. E se il Capo governa approvando leggi su misura, altrettanto fanno i gregari. Inutile stupirsi, quindi, se il relatore al Senato del processo breve Giuseppe Valentino introduce una norma per salvare se stesso dalla Corte dei Conti. E, se lo stesso fa il viceministro Castelli che, membro della Commissione Giustizia, ha aiutato Valentino a buttar giù il testo del maxiemendamento che oltre alla prescrizione penale ha introdotto anche quella contabile e per le società.

I benefici per la casta sono solo "l’ultimo scempio" - dice il Pd - in tema di giustizia di cui "questa maggioranza si dovrà assumere tutta la responsabilità politica e morale davanti al Paese". Il Pd ieri ha fatto l’unica cosa che ormai poteva fare: ripetere fino all’ossessione "lo scempio" e il "cinico progetto di disarticolazione della giustizia". Sotto la regia di Silvia Della Monica (capogruppo in Commissione Giustizia), di Giovanni Legnini e di una infaticabile Maria Incostante, i senatori hanno ricordato ad ogni dichiarazione di voto "lo scempio della giustizia" e "la rinuncia dello Stato a combattere la corruzione" accusando "una maggioranza ridotta a meri esecutrice di ordini".

Prima Carofiglio, poi Adamo, Maritati, Fassone, Franco... Al quarto intervento maggioranza e Lega hanno capito e hanno cominciato a fischiare, a lamentarsi. Il senatore Piero Longo, il vero king maker del processo breve, ha creduto a un certo punto di spezzare il gioco definito "elegante tantra che ha creato in aula un’atmosfera vagamente orientaleggiante". Voleva dire mantra, ma chissà. E comunque, per non essere da meno, il tutto-d’un-pezzo Longo ha intonato a sua volta il coretto: "Are krishna-krishna are". E via di questo passo. Anche il presidente Schifani ha provato ad interrompere la provocazione dei senatori del Pd, chiedendo interventi nel merito dopo che nelle ultime settimane ha fatto di tutto per non far discutere nel merito articoli ed emendamenti. Ha perso la pazienza anche uno come Luigi Zanda (Pd) che ha accusato Schifani "di aver avuto fin dall’inizio un atteggiamento negativo nei confronti delle opposizioni. Un modo di fare che non ci ha convinto affatto". La seduta finisce con l’Idv che occupa i banchi del governo. Un pessimo clima. E nessuno parla più di dialogo.

Poi arriva l'immancabile colpo finale. Le corti di tribunale in Italia sono come "plotoni di esecuzione", ha detto Berlusconi, precisando di non sapere se si presenterà in aula nelle udienze che lo vedono come imputato. "I miei avvocati insistono che se andassi in tribunale non mi troverei davanti a corti giudicanti ma a dei plotoni di esecuzione", ha detto Berlusconi al termine dell'incontro con Camillo Ruini, a cui ha partecipato anche il sottosegretario alla presidenza Gianni Letta. "Non so se andrò, sto discutendo con gli avvocati", ha aggiunto il capo del governo.

20 gennaio 2010

 

 

 

Immunità, Dario incalza Pier Luigi

di Andrea Carugatitutti gli articoli dell'autore

L’immunità parlamentare, o meglio le cosiddette aperture del Pd sul ritorno della norma cancellata ai tempi di Mani Pulite, è stata l’oggetto di un brusco faccia a faccia ieri al Nazareno tra Pierluigi Bersani e Dario Franceschini. Si doveva discutere di un tema che non crea tensioni, la formalizzazione della candidatura di Massino D’Alema alla guida del Copasir. Ma, presente anche Anna Finocchiaro Franceschini ha chiesto chiarimenti sulla giustizia, anche dopo le parole di Luciano Violante sull’immunità parlamentare "ragionevole dentro una riforma complessiva". "Il partito non sia ondivago", ha protestato Franceschini. "Mai si è discusso di possibili aperture sulla giustizia, cosa che tra l’altro non sarebbe accettabile". Bersani ha condiviso il ragionamento. E ai cronisti, poco dopo, ha ribadito: "Lo ripeto come un mantra, noi non consideriamo nulla fuori da una riforma di sistema, a cominciare dall’immunità, che oggi è improponibile". Caso chiuso? Non proprio. E le minoranze si preparano a incalzare il segretario alla direzione di lunedì prossimo.

Il leader Pd davanti alla segreteria dei 40enni, ha illustrato la strategia per i prossimi giorni, che punta a uscire dall’agenda del Cavaliere e a tornare sui problemi "nostri", cioè quelli delle persone normali. Ci sarà una tre giorni dedicata al tesseramento, a fine gennaio, con tutti i big in campo. E prende corpo l’ipotesi di un ritorno alle mille piazze a metà febbraio, con al centro scuola, lavoro, famiglie e ambiente. Temi che uniscono i democratici, a differenza di giustizia e regionali. Dice Marina Sereni, fassiniana: "Sarebbe un errore tragico avvicinarsi alle elezioni parlando di giustizia e riforme istituzionali, basta inseguire l’agenda del centrodestra da mattina a sera". Sulla giustizia, Serenni invita a mettere un punto fermo: "Dopo le regionali serve una riunione della direzione che elabori una volta per tutte la nostra posizione". L’area Franceschini-Veltroni resta in trincea per difendere il suo unico candidato alle regionali, Mauro Agostini in Umbria. Oggi i bersaniani della regione si riuniranno per prendere una decisione: o sostenerlo o presentare un nuovo candidato (forse Catiuscia Marini) sancendo il tramonto del terzo mandato della governatrice Lorenzetti. Uno scenario che potrebbe rasserenare gli animi nel Pd umbro, e non solo. Si domanda polemico Walter Verini, braccio destro di Veltroni: "Il Pd appoggia la Bonino nel Lazio, il casiniano Occhiuto in Calabria, non si capisce perchè l’unico che non va bene è Agostini...".

20 gennaio 2010

 

 

 

 

2010-01-17

Procure deserte, i magistrati "Pronti a iniziative estreme"

L'Associazione nazionale magistrati (Anm) è pronta anche a proclamare uno sciopero per dare un forte segnale di allarme sulla grave situazione di scoperture di organico nelle procure. Aprendo i lavori dell'assemblea organizzata dall'Anm oggi in Cassazione, davanti a procuratori provenienti da tutta Italia, il presidente del sindacato delle toghe Luca Palamara non ha parlato esplicitamente di sciopero ma ha avvertito che i magistrati sono pronti a iniziative "estreme".

"L'Anm non potrà assistere inerme allo svuotamento degli uffici di procura ma vuole una riforma della giustizia che assicuri un processo giusto in tempi ragionevoli e vuole uffici organizzati e funzionanti", ha spiegato Palamara. "Ecco perché l'Anm è fermamente intenzionata ad adottare ogni efficace e anche estrema iniziativa di mobilitazione della magistratura associata e di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulla gravità della situazione attuale".

Secondo il sindacato delle toghe la "desertificazione" delle procure è "drammatica": in due soli anni le scoperture di organico si sono quadruplicate passando da 68 a 249. L'Anm si è detta contraria al decreto legge varato dal governo che per risolvere i vuoti pensa a trasferimenti d'ufficio negli uffici di procura, soprattutto nelle cosiddette sedi disagiate e punta piuttosto - oltre alla soluzione temporanea di revocare il divieto di mandare nelle procure i magistrati di prima nomina - sulla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, definita da Palamara "l'unica soluzione stabile ed efficace".

"Dall`Anm giunge un allarme serio sulla funzionalità della giustizia nel nostro Paese. La richiesta fatta da Palamara di intervenire per colmare le carenze di organico corrisponde all`interesse dei cittadini, che si scontrano quotidianamente con le disfunzioni e le lungaggini della macchina giudiziaria. Il governo dimostri di avere davvero a cuore il tema dei tempi del processo intervenendo su organici, informatizzazione degli uffici giudiziari, ridefinizione delle circoscrizioni, organizzazione dei tribunali". Ha commentato in questo modo Andrea Orlando, presidente Forum Giustizia del Partito democratico. "Solo così si possono creare le condizioni per un serio confronto per affrontare questi problemi. Partendo da queste questioni concrete, noi siamo disponibili a condividere ulteriori interventi di più ampio respiro. I presupposti per una discussione seria sono questi. Ma quella vera e propria amnistia mascherata in approvazione al Senato che va sotto il nome di processo breve non li contempla. Anche per questo ci opporremo ad essa in modo durissimo".

16 gennaio 2010

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2010-01-15

Berlusconi scarica Casini Con Fini è tregua armata Tra i due vertice con urla

di Susanna Turcotutti gli articoli dell'autore

Quando, dopo due ore di pranzo con Fini, Berlusconi e Letta, più quaranta minuti di colloquio supplementare con l’ex leader di An, Ignazio La Russa e Italo Bocchino escono dall’ufficio del presidente della Camera, sembrano la rappresentazione plastica dello stato dei rapporti tra i due leader del Pdl. Costretti a stare insieme al di là di qualunque divergenzao tentazione: piuttosto, per convergenti ragion di partito, di Regionali alle porte, di buonsenso politico in genere. Perché Berlusconi deve affrontare le elezioni e ha bisogno di compattezza per il pacchetto leggi ad personam. Perché Fini sa che col voto alle viste è meglio stare buoni: dopo, se ci fossero margini e condizioni, si penserà a come risolvere i problemi che ci sono. Per il momento, ci si accoccola sulla formula tutta teorica di "un impegno reale per una maggiore concertazione ". O nella promessa (mai mantenuta) di "vedersi più spesso". Tregua armata, si dice in politichese. Disco verde intanto dei finiani per la pur indigerita Santanché al governo. Rimandata l’ipotesi di inserire un finiano (Bocchino) ai vertici del Pdl: "Di organigrammi non si è parlato", spiegano.

L’obiettivo è per ora scavallare le regionali. Sta di fatto però che, mentre il triumviro del Pdl La Russa riferisce ai giornalisti una versione colori pastello del sospiratissimo incontro, dice per esempio che di giustizia non si è nemmeno parlato "perché il contrasto non c’era", o che "sulla vita del partito non ci sono carenze negli scambi di informazioni", il vicepresidente (finiano) del partito alla Camera, a due passi da lui, mormora: "Tutte bugie, non si è detto niente di tutto ciò". Fini ha addirittura sollevato dubbi condivi con il Quirinale sul processo breve. La distanza tra Fini e Berlusconi (che di giustizia hanno parlato eccome) c’è, tra quel che pensa e dice l’ex leader di An e quel che riferisce La Russa. Una distanza che i due protagonistinemmenohanno la forza di negarsi quando si parlano: al massimo, ci girano intorno. Del resto, spiegano gli uomini vicini al presidente della Camera, se durante i verticinonci fossero i Letta e i La Russa a fare da "cuscinetto ",nonriuscirebbero"nemmeno a comunicare". Infatti, nonostante i cuscinetti, ieri gli urli a tratti sono volati. E, sia pur con parole urbane, Fini si è tolto dalle scarpe i tanti sassolini accumulati, tra gli attacchi del Giornale, l’isolamento, lo scavalcamento nelle decisioni: "Io non lavoro per te, ma con te. Sono leale, ma non confondere la lealtà con la fedeltà incondizionata ", gli ha chiarito.Unalleato, non un dipendente. Un politico, non un notaio. E al Cavaliere che ribatteva di "non aver mai messo in discussione " il suo ruolo, ha risposto: "Sappi che io non sono Casini, che hai portato in Parlamento tu. Qui io c’ero prima e ci sarò dopo". "Basta con l’Udc" Berlusconi, invece, ha dedicato la sua furia ad attaccare l’ex alleato Casini: "Basta con la politica dei due forni dell’Udc. Ora mi hanno stufato, pensano di allearsi con noi solo dove si vince? Allora basta intese con loro", ha detto al pranzo.

Una linea dell’aut aut legata - spiegano - anche alla necessità per il Cavaliere di assicurarsi che i centristi non facciano scherzi sul pacchetto giustizia. Una linea sulla quale Fini non è disposto a seguirlo: "In parte hai ragione, ma sbaglieresti a mettere in discussione le alleanze per le regionali ", ha spiegato. Né l’ex leader diAn è disponibile ad approvare acriticamente tutte le iniziative del Cavaliere sul fronte giustizia: "Hai ragione quando dici che sei vittima di una persecuzione. Però per risolvere il problema la strada giusta può non essere quella di tirare fuoriunprovvedimento a settimana, senza concordarlo e senza sapere dove si va a parare", ha spiegato. Anche sul processo breve Fini ha espresso dubbi di incostituzionalità sul maxiemendamento di Valentino. Quantosia poco sradicabile dalla testa del Cavaliere l’ossessione dei processi, però, lo sa anche Fini. Per cui se ne riparlerà di certo anche nel prossimo pranzo, quando ci sarà.

15 gennaio 2010

 

 

 

 

Berlusconi scarica Casini Con Fini è tregua armata Tra i due vertice con urla

di Susanna Turcotutti gli articoli dell'autore

Quando, dopo due ore di pranzo con Fini, Berlusconi e Letta, più quaranta minuti di colloquio supplementare con l’ex leader di An, Ignazio La Russa e Italo Bocchino escono dall’ufficio del presidente della Camera, sembrano la rappresentazione plastica dello stato dei rapporti tra i due leader del Pdl. Costretti a stare insieme al di là di qualunque divergenzao tentazione: piuttosto, per convergenti ragion di partito, di Regionali alle porte, di buonsenso politico in genere. Perché Berlusconi deve affrontare le elezioni e ha bisogno di compattezza per il pacchetto leggi ad personam. Perché Fini sa che col voto alle viste è meglio stare buoni: dopo, se ci fossero margini e condizioni, si penserà a come risolvere i problemi che ci sono. Per il momento, ci si accoccola sulla formula tutta teorica di "un impegno reale per una maggiore concertazione ". O nella promessa (mai mantenuta) di "vedersi più spesso". Tregua armata, si dice in politichese. Disco verde intanto dei finiani per la pur indigerita Santanché al governo. Rimandata l’ipotesi di inserire un finiano (Bocchino) ai vertici del Pdl: "Di organigrammi non si è parlato", spiegano.

L’obiettivo è per ora scavallare le regionali. Sta di fatto però che, mentre il triumviro del Pdl La Russa riferisce ai giornalisti una versione colori pastello del sospiratissimo incontro, dice per esempio che di giustizia non si è nemmeno parlato "perché il contrasto non c’era", o che "sulla vita del partito non ci sono carenze negli scambi di informazioni", il vicepresidente (finiano) del partito alla Camera, a due passi da lui, mormora: "Tutte bugie, non si è detto niente di tutto ciò". Fini ha addirittura sollevato dubbi condivi con il Quirinale sul processo breve. La distanza tra Fini e Berlusconi (che di giustizia hanno parlato eccome) c’è, tra quel che pensa e dice l’ex leader di An e quel che riferisce La Russa. Una distanza che i due protagonistinemmenohanno la forza di negarsi quando si parlano: al massimo, ci girano intorno. Del resto, spiegano gli uomini vicini al presidente della Camera, se durante i verticinonci fossero i Letta e i La Russa a fare da "cuscinetto ",nonriuscirebbero"nemmeno a comunicare". Infatti, nonostante i cuscinetti, ieri gli urli a tratti sono volati. E, sia pur con parole urbane, Fini si è tolto dalle scarpe i tanti sassolini accumulati, tra gli attacchi del Giornale, l’isolamento, lo scavalcamento nelle decisioni: "Io non lavoro per te, ma con te. Sono leale, ma non confondere la lealtà con la fedeltà incondizionata ", gli ha chiarito.Unalleato, non un dipendente. Un politico, non un notaio. E al Cavaliere che ribatteva di "non aver mai messo in discussione " il suo ruolo, ha risposto: "Sappi che io non sono Casini, che hai portato in Parlamento tu. Qui io c’ero prima e ci sarò dopo". "Basta con l’Udc" Berlusconi, invece, ha dedicato la sua furia ad attaccare l’ex alleato Casini: "Basta con la politica dei due forni dell’Udc. Ora mi hanno stufato, pensano di allearsi con noi solo dove si vince? Allora basta intese con loro", ha detto al pranzo.

Una linea dell’aut aut legata - spiegano - anche alla necessità per il Cavaliere di assicurarsi che i centristi non facciano scherzi sul pacchetto giustizia. Una linea sulla quale Fini non è disposto a seguirlo: "In parte hai ragione, ma sbaglieresti a mettere in discussione le alleanze per le regionali ", ha spiegato. Né l’ex leader diAn è disponibile ad approvare acriticamente tutte le iniziative del Cavaliere sul fronte giustizia: "Hai ragione quando dici che sei vittima di una persecuzione. Però per risolvere il problema la strada giusta può non essere quella di tirare fuoriunprovvedimento a settimana, senza concordarlo e senza sapere dove si va a parare", ha spiegato. Anche sul processo breve Fini ha espresso dubbi di incostituzionalità sul maxiemendamento di Valentino. Quantosia poco sradicabile dalla testa del Cavaliere l’ossessione dei processi, però, lo sa anche Fini. Per cui se ne riparlerà di certo anche nel prossimo pranzo, quando ci sarà.

15 gennaio 2010

 

 

 

 

 

 

Napolitano: No a riforme miopi e a colpi di maggioranza

Giorgio Napolitano ricorda Aldo Moro per auspicare riforme condivise, lungimiranti, che non portino a nuove conflittualità. Lo fa rievocando "la splendida stagione per il nostro paese" che fu l'assemblea Costituente. Tempi in cui "una generazione giovane, ricca di interessi culturali e di idealità, faceva irruzione nella politica, prendeva posto nel Parlamento che rinasceva per stendere la Carta dei principi e delle regole della Repubblica italiana". Al Teatro Petruzzelli di Bari, l'università del capoluogo pugliese dedica in pompa magna se stessa al grande statista ucciso dalle brigate rosse. Da oggi l'ateneo ne porterà il nome, e Giorgio Napolitano benedice la scelta, dedicando un pensiero al "quartetto dei professorini democristiani di forte impronta cattolica e di moderna cultura giuridica" che 50 e più anni fa scrivevano una pagina nella storia nazionale. Erano anni in cui Moro, insieme a Fanfani, La Pira, e Dossetti pensavano le regole che sarebbero valse per molto tempo. Tra loro Moro scriveva e sanciva una "idea di fondo". Questa: "i principi dominanti della nostra civiltà e gli indirizzi supremi della nostra futura legislazione vanno sanciti in norme costituzionali per sottrarle all'effimero gioco di semplici maggioranze parlamentari".

"Faccio appello alla consapevolezza che non dovrebbe mai mancare tra le forze politiche e sociali della assoluta necessità di lavorare e di riformare, in un'ottica di lungo periodo e non sulla base di impostazioni contingenti, asettiche, di corto respiro cui corrispondano conflittualità deleterie", dice il capo dello stato. Il riferimento diretto è alla richiesta appena avanzata dal rettore dell'università di Bari, Petrocelli di una riforma universitaria che sappia bloccare la fuga dei cervelli.

Ma in questa risposta Napolitano inserisce un "anche" che dà il senso politico dell'intervento. Infatti spiega che la necessità di riforme di lungo periodo e condivise vale "anche per l'università", e così facendo allarga il discorso a temi di portata ancora più ampia.

15 gennaio 2010

 

 

 

Nove parole per salvare Castelli Ma anche il sindaco Moratti

di Claudia Fusanitutti gli articoli dell'autore

Mica solo Berlusconi. E no, già che ci siamo, già che il processo breve - nel tentativo di farlo diventare compatibile con la carta costituzionale - viene allargato a dismisura nella sua applicazione, tanto vale cucire su misura qualche norma anche per amici e compagni di coalizione. Tra gli ultimi possibili beneficiari delle nuove norme ci sarebbero anche il sindaco di Milano Letizia Moratti e il viceministro alle Infrastrutture Roberto Castelli. Cosa di cui si sono accorte ieri in aula al Senato le opposizioni, in prima fila Idv, Pd e Udc, che sono riuscite a far accantonare l’emendamento incriminato mentre i leghisti salivano sui banchi e sbraitavano insulti e francesismi del tipo "ci hai rotto i coglioni" e cori di "buuuu" verso un imperterrito Li Gotti (Idv) che a sua volta gridava: "Che Paese è diventato l’Italia? Si fanno solo leggi per i potenti". Il senatore Li Gotti ce l’aveva con il sindaco Moratti a cui, secondo Italia Oggi, l’emendamento al processo breve che introduce la ragionevole durata del giudizio davanti alla Corte dei Conti (n.3 articolo 1-quater) leverebbe di mezzo i guai almeno contabili dell’inchiesta sulle assunzioni facili al comune di Milano. Lo stesso emendamento, combinato con le ultime nove parole dellanormatransitoria (emendamento n.5,articolo 2-quinquies) fa un regalo di centomila euro (ci sarebbero anche 22 mila euro di spese processuali ma non è chiaro se rientrano nel condono) anche all’ex ministro alla Giustizia Roberto Castelli che, difatti, in questi tre giorni di dibattito sul processo breve tra aula e commissione di palazzoMadamasi è aggirato con inconsueta puntualità e presenza tra i corridoi e la buvette del Senato. Certo, Castelli è senatore nonché membro della Commissione Giustizia e ha tutto il diritto nonchè il dovere di stare al Senato. Diciamo però che in genere i viceministri frequentano poco il Parlamento. Castelli lobbista di se stesso. Dove quello del lobbista è un mestiere necessario.

LA CONDANNA

La faccenda da sanare risale a quando Castelli era il numero 1 di via Arenula, quei cinque anni di lotta quotidiana con le toghe. In quel periodo l’allora Guardasigilli fu accusato di aver sprecato denaro pubblico offrendo consulenze esterne a trattativa privata a società nate apposta per vincere quella gara e senza avere alcuna professionalità. La sentenza della Corte dei Conti, sezione giurisdizionale del Lazio, presidente Agostino Basta, è stata depositata l’8 aprile 2009. In quelle pagine si spiega che Castelli, più altri funzionari anche oggi centrali nell’organizzazione del ministero, avevano sperperato decine di migliaia di euro per far elaborare ad una società (Global brain)un sistema per misurare l’efficienza dei sistemi giudiziari e delle toghe. La Global brain non ha maifatto quello studio e, soprattutto, era stata costituita apposta un mese prima di avere l’appalto. "Una scatola vuota" si legge in sentenza. Per tutto questo Castelli è stato condannato a risarcire allo Stato 99 mila euro. Soldi da pagare subito, di tasca propria, anche se è previsto l’appello alla sentenza. Per evitare questo sgradevole esborso - che a fare due conti equivale a cinque-sei mesi di stipendio da viceministro - ecco che arriva l’emendamento - è il caso di dire ad personas - della norma ad personam. La norma transitoria, infatti, prevede che l’estinzione dei processi davanti alla Corte dei Conti riguardi anche i procedimenti in corso sehannopiù di cinque anni. "Negli altri casi - si legge - si applicano nella fase dell’appello". Sono queste nove parole che, stando alle primevalutazioni tecniche, farebbero a Castelli un regalo di circa 99 mila euro. Quando ieri mattina Legnini (Pd), Li Gotti e D’Aliahanno puntato il dito contro l’emendamento perché,comeha denunciato D’Ambrosio, "aumenta i privilegi della casta" , il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo ha provato a dire che la norma non si applica ai processi in corso. "Non è vero, vale anche per questi" è andato su tutte le furie il capogruppo dell’Udc Gianpiero D’Alia.A quel punto, ma solo a quel punto, il relatore Valentino e Caliendo hanno taciuto mentre la Lega saliva sulle barricate. L’emendamento incriminato è stato accantonato. Significa messo da parte. Se ne riparlerà alla fine, martedì, quando riprende la discussione. Sarà corretto?

15 gennaio 2010

 

 

 

 

Fisco, l’Europa svela il bluff di Berlusconi

di Bianca Di Giovannitutti gli articoli dell'autore

Eventuali tagli alle tasse andranno presi in considerazione "soltanto nel medio termine, una volta che i Paesi dell’Eurozona abbiano ritrovato sufficienti spazi per manovre di bilancio". Nel suo tradizionale messaggio ai mercati il presiedente ella Bce Jean-Claude Trichet disvela il bluff del presidente del consiglio italiano sul fisco. Le indicazioni delle autorità monetarie europee sono chiare: la exit strategy dalla crisi non consente salti nel buio. I conti vanno tenuti sotto controllo, perché la ripresa sia credibile. Lo sanno tutti: responsabili politici ed economisti. Ma l’istinto propagandistico di Silvio Berlusconi sfugge alle regole, e costringe il governo a continui strattoni. "Credo che gli italiani abbiano avuto la percezione netta della colossale marcia indietro che si fa dopoaver agitato in termini propagandistici questi temi", ha dichiarato ieri Pier Luigi Bersani. Il governo usa il fisco come propaganda e la crisi come paravento per rinviare le misure. La realtà richiederebbe invece il contrario. "Bisogna intervenire proprio perché c’è la crisi - prosegue Bersani - e quindi fare qualcosa per favorire i consumi e gli investimenti e pertanto intervenire anche sulla fiscalità. È quello che noi proponiamo da mesi".

ASPETTARE

Insomma, mentre l’economia sprofonda, l’occupazione continua a calare (Trichet ha confermato che l’emorragia di posti continuerà) e i consumi ristagnano, il ministro del Tesoro propone semplicemente di stare fermi. Aspettare che passi la nottata. Via Venti Settembre non ha prodotto altro che il condono per gli evasori: lo scudo. Per il resto, non è stato studiato nessun intervento in favore dei ceti medio-bassi, i più colpiti dalla crisi. L’argomento è sempre lo stesso: mantenere il rigore nei conti. Ma a ben guardare alla fine non c’è neanche quello: la spesa è fuori controllo, il Pil scende, le entrate calano. Némisure anticrisi, né conti in ordine.Unbilancio fallimentare quello del ministro Giulio Tremonti. Il quale manovra meglio la propaganda, i messaggi altisonanti della "Grande Riforma Fiscale ", che non le voci del bilancio pubblico. E abilmente gioca su due tavoli.Conunamanolascia presagire novità imminenti, rispolverando la sua riforma del ‘94, con l’altramano frena il premier, preoccupato dalle reazioni internazionali. ieri è stato sostenuto anche a sorpresa dal suo antagonista Renato Brunetta, che ha ribadito la formula, meglio aspettare la fine della crisi.

SILURI

Stavolta però anche il popolo della destra non ci sta. Il "contratto con gli italiani" (è sempre lo stesso: quello firmato da Bruno Vespa) va rispettato. Così ieri sono partiti i siluri dalle "corazzate" mediatiche: Libero e Il Giornale. Il foglio diretto da Vittorio Feltri, titola "Il pasticcio delle tasse", chiedendosi il perché dell’annuncio, se poi si è stati obbligati a fare marcia indietro. "Caro Silvio non ci stiamo" , titola invece "Libero". "Berlusconi dice che le tasse non si possono abbassare. Questa volta pensiamo che sbagli", scrive il direttore, Maurizio Belpietro. Una bella fatica per i parlamentari di centrodestra (maurizio Lupi in testa), impegnati a negare la marcia indietro del premier. Per non parlare del coro di proteste e i sindacati, che da mesi chiedono di alleggerire il prelievo su lavoratori dipendenti e pensionati. Per tutta risposta dal governo hanno avuto soltanto la "pubblicità ingannevole" (così Piero Fassino) delle due aliquote.

15 gennaio 2010

 

 

 

"Meno tasse", era una farsa Il premier: impossibile

di Bianca Di Giovannitutti gli articoli dell'autore

Con questa crisi la riduzione delle imposte "è fuori discussione". In tre parole Silvio Berlusconi piazza una pietra tombale sulla sua promessa più celebrata: meno tasse per tutti. Dietrofront nel giro di pochi giorni. È la seconda volta che il premier è costretto a una rapida retromarcia proprio sul tema fiscale. Già prima della Finanziaria aveva promesso meno Irap agli artigiani della Cna. Nulla di fatto. Stavolta aveva "ripescato" le due aliquote (23 e 33%) rincorse da 15 anni. E subito la smentita, arrivata al termine del consiglio dei ministri di ieri. Impossibile anche introdurre il quoziente familiare (altra promessa elettorale), per via delle condizioni del bilancio pubblico. Nessuno sgravio: semmai il governo pensa a una semplificazione: ma anche quella non si prospetta imminente. "Sarà un lavoro lungo e duro, improbo - spiega il premier - Spero possa essere sufficienteunanno". Finito il tempo delle promesse-facili. Il nuovo corso Tremontiano è improntato al rigore, e il premier sembra adeguarsi. Certo, ogni tanto il riflesso condizionato del sogno fiscale (liberi dalle tasse) torna prepotente: tiene banco sui giornali per qualche tempo, ma poi arriva la rettifica. Senza una vera manovra è impossibile avviare una vera riduzione fiscale. Per un governo che finora non è andato oltre l’ennesima sanatoria, è difficile impostare una riduzione strutturale.

CROLLO DELLE ENTRATE

Ma stavolta la marcia indietro è stata davvero repentina: questione di un centinaio di ore. Come mai? Forse c’entra qualcosa un altro dato che in mattinata è piombato sul bilancio tenuto da Tremonti: il calo delle entrate nei primi 11 mesi del 2009. Dato sensibile, anche sui mercati internazionali. Gli stessi che giudicano il debito del paese tra i più indebitati in Europa. Mancano all’appello circa 14 miliardi di Ires e Irap, le imposte pagate dalle imprese. Via Venti Settembre attribuisce soprattutto alla crisi la perdita di gettito, pari quasi al 4%. Banca d’Italia valuta in 11 miliardi la perdita complessiva del gettito nello stesso periodo. Numeri pesanti, che si aggiungono agli 8 miliardi di maggiori costi per finanziare il deficit (dato fornito dal premier) e ai 30 miliardi in più di spesa corrente. Sulle minori entrate l’opposizione punta il dito contro la (mancata)lotta all’evasione, soprattutto sull’Iva. Il ministro invece minimizza, e sforna un altro dato (tasso di variazione cumulato) per dimostrare che l’Italia sta meglio di altri Paesi. Sta di fatto che in Parlamento non è arrivata finora nessuna documentazione ufficiale sui flussi finanziari dello Stato. Tremonti preferisce il salotto di Bruno Vespa per diffondere i "suoi" numeri, e propagandare un rigore che tutte le cifre a disposizione smentiscono.

NO FISCO, SÌ GIUSTIZIA

Lo ha fatto anche ieri, quasi all’unisono con il premier. Un altro "duetto " che vede il titolare del Tesoro come l’interlocutore privilegiato di Berlusconi. Tanto che nel salotto televisivo, dopo aver annunciato gli sviluppi del "fisco futuribile", parla della riforma più urgente: quella della Giustizia (manco a dirlo). Quanto al fisco, anche per Tremonti è tutto in retromarcia. L’Irap? Ovvero la tassa più odiata, su cui la destra ha "investito" parecchie campagne elettorali? "Hasostituito altri contributi. Non so se è stata una scelta intelligente, ma adesso tornare indietro è difficile", replica il ministro. Non si può fare. L’irpef neanche a parlarne. L’iva è di competenza europea. Insomma, l’unica pedina che resta è la semplificazione. Partirà da L’Aquila (che c’entra?) il processo per ridurre i "140 modi per prelevare e dedurre". Ancora numeri roboanti e parole da slogan. "Dobbiamo porci la sfida di un grande cambiamento del sistema fiscale. Adesso non è né efficace né giusto, dobbiamo averlo giusto ed efficace".

14 gennaio 2010

 

 

 

 

Berlusconi scarica Casini Con Fini è tregua armata Tra i due vertice con urla

di Susanna Turcotutti gli articoli dell'autore

Quando, dopo due ore di pranzo con Fini, Berlusconi e Letta, più quaranta minuti di colloquio supplementare con l’ex leader di An, Ignazio La Russa e Italo Bocchino escono dall’ufficio del presidente della Camera, sembrano la rappresentazione plastica dello stato dei rapporti tra i due leader del Pdl. Costretti a stare insieme al di là di qualunque divergenzao tentazione: piuttosto, per convergenti ragion di partito, di Regionali alle porte, di buonsenso politico in genere. Perché Berlusconi deve affrontare le elezioni e ha bisogno di compattezza per il pacchetto leggi ad personam. Perché Fini sa che col voto alle viste è meglio stare buoni: dopo, se ci fossero margini e condizioni, si penserà a come risolvere i problemi che ci sono. Per il momento, ci si accoccola sulla formula tutta teorica di "un impegno reale per una maggiore concertazione ". O nella promessa (mai mantenuta) di "vedersi più spesso". Tregua armata, si dice in politichese. Disco verde intanto dei finiani per la pur indigerita Santanché al governo. Rimandata l’ipotesi di inserire un finiano (Bocchino) ai vertici del Pdl: "Di organigrammi non si è parlato", spiegano.

L’obiettivo è per ora scavallare le regionali. Sta di fatto però che, mentre il triumviro del Pdl La Russa riferisce ai giornalisti una versione colori pastello del sospiratissimo incontro, dice per esempio che di giustizia non si è nemmeno parlato "perché il contrasto non c’era", o che "sulla vita del partito non ci sono carenze negli scambi di informazioni", il vicepresidente (finiano) del partito alla Camera, a due passi da lui, mormora: "Tutte bugie, non si è detto niente di tutto ciò". Fini ha addirittura sollevato dubbi condivi con il Quirinale sul processo breve. La distanza tra Fini e Berlusconi (che di giustizia hanno parlato eccome) c’è, tra quel che pensa e dice l’ex leader di An e quel che riferisce La Russa. Una distanza che i due protagonistinemmenohanno la forza di negarsi quando si parlano: al massimo, ci girano intorno. Del resto, spiegano gli uomini vicini al presidente della Camera, se durante i verticinonci fossero i Letta e i La Russa a fare da "cuscinetto ",nonriuscirebbero"nemmeno a comunicare". Infatti, nonostante i cuscinetti, ieri gli urli a tratti sono volati. E, sia pur con parole urbane, Fini si è tolto dalle scarpe i tanti sassolini accumulati, tra gli attacchi del Giornale, l’isolamento, lo scavalcamento nelle decisioni: "Io non lavoro per te, ma con te. Sono leale, ma non confondere la lealtà con la fedeltà incondizionata ", gli ha chiarito.Unalleato, non un dipendente. Un politico, non un notaio. E al Cavaliere che ribatteva di "non aver mai messo in discussione " il suo ruolo, ha risposto: "Sappi che io non sono Casini, che hai portato in Parlamento tu. Qui io c’ero prima e ci sarò dopo". "Basta con l’Udc" Berlusconi, invece, ha dedicato la sua furia ad attaccare l’ex alleato Casini: "Basta con la politica dei due forni dell’Udc. Ora mi hanno stufato, pensano di allearsi con noi solo dove si vince? Allora basta intese con loro", ha detto al pranzo.

Una linea dell’aut aut legata - spiegano - anche alla necessità per il Cavaliere di assicurarsi che i centristi non facciano scherzi sul pacchetto giustizia. Una linea sulla quale Fini non è disposto a seguirlo: "In parte hai ragione, ma sbaglieresti a mettere in discussione le alleanze per le regionali ", ha spiegato. Né l’ex leader diAn è disponibile ad approvare acriticamente tutte le iniziative del Cavaliere sul fronte giustizia: "Hai ragione quando dici che sei vittima di una persecuzione. Però per risolvere il problema la strada giusta può non essere quella di tirare fuoriunprovvedimento a settimana, senza concordarlo e senza sapere dove si va a parare", ha spiegato. Anche sul processo breve Fini ha espresso dubbi di incostituzionalità sul maxiemendamento di Valentino. Quantosia poco sradicabile dalla testa del Cavaliere l’ossessione dei processi, però, lo sa anche Fini. Per cui se ne riparlerà di certo anche nel prossimo pranzo, quando ci sarà.

15 gennaio 2010

 

 

 

 

2010-01-14

Il Csm apre un fascicolo su Berlusconi per la frase: pm come Tartaglia

Le parole pronunciate ieri dal premier Silvio Berlusconi con le quali l'aggressione di piazza Duomo è stata paragonata ad alcune "aggressioni giudiziarie", saranno al vaglio della Prima Commissione del Csm, presso la quale è già stato aperto un fascicolo a tutela inerente dichiarazioni rilasciate nei mesi scorsi dallo stesso premier.

La Commissione ha infatti deciso di acquisire agli atti la rassegna stampa sulle parole di Berlusconi, pronunciate ieri al termine del

Cdm, e la inserirà nel fascicolo già aperto.

14 gennaio 2010

 

 

 

 

 

Giù le tasse, dietrofront del premier: impossibile ridurle. Il Pd: ennesima giravolta

Il presidente del Consiglio fa retromarcia sulle tasse: "L'attuale situazione di crisi impedisce di pensare a una riduzione delle imposte, è assolutamente fuori discussione". Lo ha affermato, nel corso della conferenza stampa a Palazzo Chigi, il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi che ha invece precisato che il governo punterà a una "semplificazione di tutto il sistema tributario, per la

quale - ha aggiunto - spero sia sufficiente un anno".

Berlusconi ha smentito dunque le ipotesi circolate in questi giorni: "nessuno di noi ha parlato due o otto imposte, 23% 33%", ha detto. "Non sono vere le illazioni su una volontà di ridurre le tasse: questa situazione di crisi non dà nessuna possibilità di riduzione delle tasse".

Immediata la reazione dell'opposizione. Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani parla di "irresponsabile giravolta": "Quando si tratta di fare interventi per il lavoro e la famiglia la crisi non c'è, quando si tratta di ridurre le tasse invece la crisi c'è. Quando si tratta di fare propaganda si parla di riforma fiscale, quando si tratta di passare dalle parole ai fatti si fa la giravolta".

Gli fa eco la presidente dei senatori Pd, Anna Finocchiaro. Sulle tasse, e non solo, il governo Berlusconi, dice la Finocchiaro, "continua a mentire agli italiani". E mente a tal punto che per motivare "l'impossibilità di una riduzione del carico fiscale Berlusconi scopre la crisi economica. Ma non aveva detto che la crisi era superata?". "Dopo averci allietato i primi giorni ell'anno con interviste, calcoli e ragionamenti sulla necessità del taglio e della semplificazione delle tasse, oggi il Governo - ha osservato Finocchiaro - ha ammesso che si trattava solo di una ipotesi impraticabile. Questo governo è davvero confuso e incapace di dare una guida al Paese".

Un affondo arriva anche dall'Idv: "Finalmente Berlusconi ha detto qualcosa di vero e che condividiamo. Ha infatti confessato di

essere un imbroglione e di aver preso in giro gli italiani fino a ieri, dicendo loro che avrebbe provveduto a ridurre le tasse e

ad introdurre il quoziente familiare. E invece oggi si è rimangiato tutto affermando che non può e non vuole farlo", ha dichiarato il leader Idv Antonio Di Pietro.

13 gennaio 2010

 

 

 

 

Tremonti: sistema fiscale, serve cambiamento

Dopo la retromarcia di Berlusconi sul taglio delle tasse, interviene anche il ministro dell'Economia Tremonti, che solo pochi giorni fa si era detto invece "d'accordo al 100%" con il premier sul taglio delle imposte. "Dobbiamo porci la sfida di un grande cambiamento del sistema fiscale: l'ideale sarebbe un sistema efficace e giusto, quello che c'è adesso non è tanto efficace e non è neanche tanto giusto". Così Tremonti intervenendo a 'Porta a Portà che andrà in onda stasera.

 

13 gennaio 2010

 

 

 

Carceri, via libera del Cdm al piano e allo stato di emergenza

Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al piano carceri e alla dichiarazione dello stato di emergenza nei sovraffollati penitenziari italiani (64.990 detenuti, a ieri, contro una capienza regolamentare di 44.066 posti). Ma ha dichiarato il ministro delle Infrastrutture Matteoli: "Alfano ci ha illustrato il provvedimento, ma il testo sul piano carceri ancora non c'è, verrà presentato alla prossima riunione".

Il piano predisposto dal ministro della Giustizia Angelino Alfano prevede: lavori di edilizia penitenziaria con la costruzione di nuovi istituti e nuovi padiglioni per portare la capienza a 80mila posti; detenzione domiciliare ai condannati per reati non gravi ai quali resta da espiare un anno; assunzione di duemila agenti penitenziari.

13 gennaio 2010

 

 

 

 

 

"Disoccupati e studenti? Facciano raccolta arance"

Giovani e studenti, in attesa di un'occupazione, potrebbero andare a fare la raccolta in agricoltura attraverso i buoni prepagati. È l'invito che viene dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, intervistato oggi al "Fatto del Giorno" su Rai Due. "Mi verrebbe da dire a molti giovani italiani e a molti studenti, compatibilmente con le loro attività scolastiche: 'perchè non fare in termini regolari con un semplice buono prepagato anche la raccolta breve in agricoltura in attesa di un'occupazione più corrispondente alle aspettative della personà". Il ministro ha sottolineato il "paradosso" di aree come quelle di Rosarno dove c'è "un'altissima disoccupazione italiana e poi si usa il clandestino in forme irregolari per lavori di raccolta".

"Procederemo a tappeto per bonificare tutte le situazioni non regolari, che oltretutto portano anche rischi per la salute e la sicurezza della persona". È l'obiettivo indicato dal ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Maurizio Sacconi, contro il lavoro nero in agricoltura, in particolare nel Mezzogiorno d'Italia. "A breve - ha aggiunto Sacconi a margine di un convegno organizzato da Confartigianato - convocherò il Comitato di indirizzo per le attività ispettive riguardo al lavoro nero in agricoltura. Intendiamo intensificare una pianificazione, che era già stata organizzata, in particolare in Sicilia, Puglia, Campania e Calabria, soprattutto in Agricoltura". Ribadendo che anche i cosiddetti buoni lavoro non sono stati utilizzati nelle regioni del Sud, Sacconi ha sostenuto che "il datore di lavoro agricolo del Mezzogiorno non ha più alibi per non dare regolarità alle attività di raccolta breve in agricoltura".

13 gennaio 2010

 

 

 

 

La marcia indietro del governo No al decreto, stop al processo breve

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, intervenendo in conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri, ha spiegato che il Governo considera la recente sentenza della Corte Costituzionale sul rito abbreviato "autoapplicativa", non necessitando dunque "di un intervento legislativo". "Su questo dubbio ci siamo interrogati - ha proseguito Alfano - e nelle more" i giornali hanno titolato ""Arriva il decreto blocca processi": ecco il caso in cui la calunnia e la bugia arriva prima della decisione del Governo", ecco un caso in cui "i giornali parlano in modo distorto".

"Vogliamo dire la verità su questo aspetto è cioè che ogni cittadino, in base a quanto prevede la sentenza della Corte Costituzionale, che ha diritto ad un abbreviazione dei tempi del processo, può rivolgersi al giudice senza che ci sia un intervento legislativo". Lo afferma il ministro della Giustizia Angelino Alfano, al termine del Consiglio dei ministri.

Il ddl sul processo breve torna in Commissione: lo ha reso noto il presidente dei senatori dell'IdV Felice Belisario al termine della Conferenza dei Capigruppo. Il provvedimento sarà votato in Aula la prossima settimana. Per Belisario si tratta di una vittoria delle opposizioni. "Il buon senso e la compattezza delle opposizioni - ha spiegato il presidente dei senatori dipietristi - hanno prevalso e gli emendamenti del relatore sul processo breve saranno esaminati dalla Commissione di merito. Abbiamo calendarizzato il provvedimento - ha concluso - che dovrebbe essere votato in Aula la prossima settimana".

Si tratta di un ritorno temporaneo visto che i lavori dell'Aula riprenderanno nel pomeriggio. Secondo quanto si apprende il presidente del Senato, Renato Schifani, ha mediato e ha cercato di "smussare gli spigoli" trovando nel regolamento del Senato, che consente il rinvio temporaneo di un provvedimento senza la strada per calibrare le esigenze della maggioranza e le richieste dell'opposizione.

La notizia del decreto aveva agitato la seduta del Senato di ieri. La capogruppo del Pd Anna Finocchiaro aveva messo Schifani di fronte al fatto compiuto: "Visto che non ha lei, presidente Schifani, la sensibilità di dare il tempo alle opposizioni di comprendere il contenuto di questi provvedimenti - dal processo breve al legittimo impedimento, dal lodo per via costituzionale all’ultima notizia che arriva attraverso agenzie di stampa di un decreto per bloccare i processi - tutti univocamente orientati, sono costretta a convocare immediatamente il mio gruppo e le chiedo la sospensione dei lavori".

La giornata era cominciata tardi, alle 18, rispetto al calendario. La tensione si era accumulata sul processo breve nella nuova edizione uscita dal vertice di maggioranza di lunedì che applicherà la norma a tutti i processi, compresi quelli per mafia e terrorismo, e a tutti gli imputati (non solo agli incensurati) con tre fasce di scadenza per far scattare la prescrizione del dibattimento (sei anni e mezzo per i reati al di sotto dei 10 anni; sette anni e mezzo per i reati con pene dai 10 anni in su; 10, al massimo 13 anni, per i reati di mafia e terrorismo). Il Pd non ha dubbi. Parlano Legnini, Casson e la capogruppo Anna Finocchiaro per chiedere che il nuovo testo emendato torni in Commissione visto che è qualcosa di completamente diverso dall’originale.

LE OPPOSIZIONI FANNO MURO

Le opposizioni si compattano. Si associa alla richiesta D’Alia (Udc) e Li Gotti (Idv) che dice: "Con il nuovo testo arriviamo all’assurdo per cui la patologia tutta italiana dei procesi troppi lunghi diventa la regola nel momentoin cui stabiliamo per legge cheun processo di mafia possa durare fino a 13 anni e 4 mesi". Schifani si trincera dietro i regolamenti di palazzo Madama, ammette solo, se le opposizioni non faranno ostruzionismo, di dare un po’ più di tempo ai gruppi per replicare. Finocchiaro richiama Schifani al suo ruolo non solo di "notaio" e "registratore" ma di "arbitro diuna partita politica delicatissima ". Nulla da fare. Schifani esegue gli ordini di palazzo Grazioli che dicono: avanti tutta col processo breve che il Senato dovrà licenziare in settimana. Il senatore Valentino, relatore del processo breve, inizia a presentare il testo in modo di votare le pregiudiziali entro la serata. Ma alle 19 e 41 le agenzie danno corpo a indiscrezioni che si sono rincorse per tutto il giorno e battono la notizia che il governo presenterà domani( oggi) il decreto blocca-processi sulla base di una sentenza della Consulta (n.333 del 14 dicembre) che riconosce il diritto della difesa di avere tre mesi di tempi per esaminare nuove contestazioni dell’accusa. Come sta per succedere, per l’appunto, nei due processi dove Berlusconi è imputato, lo stralcio Mills e i diritti tv. Il senatore-avvocato Piero Longo, maestro di Ghedini e mente pensante della difesa del premier è alla buvette del Senato per un aperitivo. Allarga le braccia: "Diamo corso a una sentenza della Consulta, lo dobbiamo fare. Non è certo una norma salva-premier...".

13 gennaio 2010

 

 

 

 

Bonino, il Pd del Lazio si chiarisce le idee

di Mariagrazia Gerinatutti gli articoli dell'autore

Il cattolicissimo Amedeo Piva, al fianco di Rutelli in Campidoglio nei ruggenti anni '90 del centrosinistra romano, arriva all'assemblea Pd convocata all'Aran Hotel di Roma per ufficializzare la scelta di sostenere Emma Bonino con un certo ottimismo. E offre come viatico un ricordo: "Mi sembra di rivivere i giorni nel '93, quando si candidò Rutelli, non è che allora non ci furono problemi: era un radicale, laico non meno di Bonino oggi, nel mondo cattolico c'era parecchia discussione, in quello di chi veniva dal Pci anche. Sai come finì che io per il mondo cattolico, Tocci per il Pci fummo i primi che Rutelli ha voluto al suo fianco". Certo, sono passati quindici anni. Davvero adesso c'è spazio per un nuovo "laboratorio Lazio"? Chissà. Per ora l'effetto bagarre prevale. Ma finalmente si comincia a ragionare di questo: la squadra, le alleanze, il comitato elettorale, il gruppo di lavoro che ruoterà attorno ad Emma Bonino.

"Abbiamo fatto bene ad andare fino infondo nella ricerca dell'intesa con l'Udc, ma la candidatura di Emma Bonino adesso è una opportunità. Se anche corresse da sola otterrebbe tra l'8 e il 9 per cento dei voti, più del consenso dei radicali. E' una candidatura per vincere", sprona se stesso e la platea il segretario regionale Alessandro Mazzoli.

In tasca, gli ultimi sondaggi. Che fanno sperare: "I più ottimisti danno noi due punti sopra, i più pessimisti ci danno tre punti sotto", ragiona un dirigente. "La partita è ancora apertissima", assicura, circondato da un capannello di giornalisti, Nicola Zingaretti, per settimane evocato come unico possibile candidato o "salvatore" della patria, nonostante i suoi "faccio già il presidente della Provincia".

Il compianto sulla mancata candidatura di Zingaretti è uno dei leitmotiv degli interventi. Qualcuno prova ancora a tirarlo per la giacca, quasi a rimproverargli di non aver osato. Tanto che lui alla fine è costretto a intervenire per spiegare: "La mia inelegibilità come presidente della Provincia di Roma avrebbe portato a sciogliere oggi un ente eletto nemmeno due anni fa in quel clima politico, punto di riferimento anche a Roma", dice ripercorrendo i passaggi della vicenda che lo ha visto protagonista nelle scorse settimane. E proprio sul suo ruolo spiega: "Quando il partito mi ha detto che non potevo candidarmi sindaco di Roma ma dovevo candidarmi alla Provincia l'ho fatto e l'esito lo abbiamo visto, nessuna fuga dalle responsabilità dunque, anche in questo caso avevo dato la disponibilità a perlustrare se ci fossero le condizioni per una mia candidatura contestuale a una per la Provincia e non c'erano".

Detto questo, sferza a tarda ora la platea: "E' il momento di combattere per vincere, Emma è un'ottima candidata. Certo dobbiamo dircelo: ci piaccia o non ci piacca la candidatura della Bonino non la abbiamo messa in campo noi. Semplicemente ci sono due candidature che si contendono la leadership: la nostra agibilità di manovra è limitata. Adesso quello che il Pd deve fare è mettere in campo tutta la propria forza, personalità, contenuti, perché con tutto il Pd mobilitato e un'ottima candidata come la Bonino si può vincere", sprona la squadra.

Il dubbio che non fosse così, cioè che si facesse di tutto per non vincere, è venuto a più d'uno in queste settimane. "Persino nell'entourage della Polverini, qualcuno azzarda la battuta: tanto prima o poi ci troveremo dalla stessa parte...". Rumors di un asse Fini-Casini-D'Alema. Di patti segreti di desistenza e di nuovi equilibri che passano per le regionali. Luisa Laurelli, ala left della Regione Lazio, piuttosto esplicitamente, dal microfono se la prende "con chi è andato in giro a dire che infondo la Polverini poteva andare bene anche alla sinistra... Ma non vorrei che davvero dopo le elezioni ci trovassimo con nuovi schemi in campo".

"Dietrologie", assicura chi ora vuole pensare alla campagna elettorale. "Ad ogni modo conosco solo un modo per fare le campagne elettorali: provare a vincerle" ironizza Lionello Cosentino, uno dei "padri" ormai, secondo l'anagrafe politica almeno, del partito romano.

Certo, molti alla Direzione del Pd per incoronare Emma Bonino ci sono venuti con l'amaro in bocca dopo settimane di malumori e di empasse: "E che altro dovremmo fare? Marrazzo si è dimesso due mesi e mezzo fa e in questi mesi non si è capito nulla: nemmeno chi erano i perosonaggi in campo? Zingaretti lo volevamo candidare? Montino? Rosy Bindi, è esistita davvero la sua candidatura?", rumoreggia la pancia del partito.

"Almeno adesso andiamo pesantemente su Roma, denunciamo cosa sta facendo Alemanno", si sfoga Morassut, l'ex segretario regionale, che suggerisce di sfatare il "mito" della Polverini che raccoglie proseliti anche a sinistra: "La prima cosa che ha fatto è stata incontrare Fazzone, che è l'uomo che ha fatto in modo che il Comune di Fondi non fosse sciolto". E però anche lui prima di dire "forza Emma" ("La considero una candidatura forte, una figura che ha dato molto a questo paese") suggerisce di fare ancora i conti con quello che è più di un malumore. "Perché le primarie non si possono liquidare con una dichiarazione ai quotidiani, anche se non siamo deficienti e ci rendiamo conto della condizione in cui ci siamo trovati".

Primarie, sono anche il tema sollevato in assemblea dall'area Marino. "Se non si possono fare" (formula ormai retorica) - suggerisce Michele Meta - vediamo quali altri "meccanismi partecipativi" si possano mettere in campo. E però, a scanso di equivoci, fa seguire alla proposta un peana per Emma Bonino, la cui candidatura d'altra parte, ormai due mesi fa, era stata un'idea lanciata proprio dall'area Marino e dal "regista" Bettini.

Un'idea con cui ora inevitabilmente - come dice Zingaretti - il Pd deve fare i conti. Prendendo le misure della candidata, cercando di capire come funzionerà da qui alle prossime settimane il connubio. La platea si divide. Da quelli che si preoccupano di come ancorare la candidata all'alleanza. "E non vorrei che Bonino vincesse e ci mandasse tutti a casa". A chi invece, nell'ala Marino, si preoccupa: "Bisogna che la Bonino la mandiamo libera, non come la Polverini che è imbrigliata da tutte le parti, circondata dai vari Augello e Fazzone".

La più critica di tutti è la cattolica Silvia Costa, anche lei una delle candidature in pectore nelle scorse settimane: "Rischiamo di vincere e distruggere il Pd", avverte. E attacca: "E' stato sbagliato non avere fiducia nelle primarie". Altrimenti come dice l'altro popolare Claudio Moscardelli, si passa "dal partito liquido al partito liquidato". In che senso lo spiega subito: "Non vorrei che Bonino vincesse e ci mandasse tutti a casa".

Alla fine comunque l'assemblea approva. E definisce una agenda che scandisce: sabato assemblea Pd per dare la parola agli eletti. E 24 gennaio giornata di gradimento nei circoli. Una giornata che, però, ormai è chiaro, sarà già un momento della campagna elettorale. D'altra parte, di fatto, già cominciata in queste ore. "Ma che le facciamo a fare tutte queste cose se il segretario nazionale del Pd ha già deciso?", polemizza uno dei grandi raccoglitori di voti strappato dal Pd all'Udc in era veltroniana, Marco Di Stefano, che non nasconde una certa insofferenza politico in questo momento: "La Bonino sostiene cose che noi non condividiamo, ruberà voti al Pd e se si perde ciascuno a casa sua". E però, assicura: "Mi comporterò come un soldato". I suoi manifesti color Pd sono stati tra i primi a fare la loro apparizione sui muri del Lazio.

Altri suggerimenti dalla platea: "Bisogna smontare l'aspettativa di vittoria che il centrodestra e noi stessi in realtà abbiamo seminato nella società laziale", avverte Paolo Orneli, abituato, visto che viene dal municipio di Ostia, a combattere in territorio ostile. E tutto sommanto non gettare nel dimenticatoio il lavoro fatto dalla giunta Marrazzo, scandalo trans o no: "Non mi sento parte di un fallimento politico-amministrativo per cui c'era bisogno di chissà che rivoluzione", rivendica, un po' a nome della giunta, Mario Di Carlo. "Ma ricordatevi che anche dopo la "botta" di Piero, nei sondaggi tenevamo. Ora dobbiamo cogliere la candidatura della Bonino per costruire un percorso che metta al centro il Pd", suggerisce Esterino Montino, vice-vicario di Marrazzo e lui stesso - fino a pochi giorni fa - tra i possibili candidati che il Pd si preparava a mettere in caldo. "Dobbiamo fare l'assemblea e poi dire le due-tre iniziative che caratterizzano la campagna elettorale del Pd, così che valorizziamo la candidatura della Bonino e anche il nostro ruolo in questa sfida". Sembra facile.

12 gennaio 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2010-01-12

Berlusconi, nuovo assalto ai processi

Entra nel vivo in Parlamento il dibattito sulla giustizia. Nella complessa partita sulla riforma della giustizia il governo si appresta a calare un tris di assi: dopo il processo breve, in aula al Senato, e il legittimo impedimento, in commissione alla Camera, arriverà una norma che bloccherebbe immediatamente, tra gli altri, anche il processo Mills.

A confermarlo è stato il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo. "Dobbiamo adeguarci alla sentenza della Corte Costituzionale del 14 dicembre", ha spiegato Caliendo. In quella sentenza la Consulta ha dichiarato illegittimo che, di fronte a una nuova contestazione del pm, non sia possibile riaprire i termini per consentire eventualmente all'imputato di chiedere il rito abbreviato. I processi interessati sarebbero sospesi per tre mesi. Caliendo però non ha chiarito se si agirà per decreto o con un emendamento ai due testi sulla giustizia all'esame delle Camera: il legittimo impedimento e il processo breve.

Il Pd tenterà dal canto suo di fare le barricate. Se la maggioranza e il governo procederanno sul processo breve come è stato annunciato in questi giorni il Pd "si metterà di traverso con tutte le sue forze", ha chiarito il segretario Pier Luigi Bersani, "se Berlusconi pensa di essere uno statista lo può dimostrare ora. È evidente anche a un bambino che non si può discutere allo stesso tempo di processo breve e di riforme".

Anna Finocchiaro ha chiesto che il ddl sul processo breve torni in commissione. Subito è arrivato il no del presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri: "Non è necessario", ha detto. Duro il giudizio di Antonio Di Pietro. "Magari fossi prevenuto quando penso che la riforma tributaria è il miele sul cucchiaino per l'olio di ricino del processo breve e del legittimo impedimento", ha commentato. E Luigi De Magistris, sempre dell'Idv, ha rivolto un appello alla 'resistenza'. "Il tempo della resistenza pacifica e costituzionale è l'oggi. Il suo spazio? Ogni luogo", ha detto.

"Le parole del sottosegretario Caliendo sono la conferma che l'esecutivo sta impegnando le proprie energie nella ricerca di tutti i cavilli possibili per consentire l'immediato blocco dei processi del Premier, anche ricorrendo ad artificiose interpretazioni degli effetti delle pronunce della Corte costituzionale che riguardano norme processuali penali". Così la capogruppo del Pd in commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti commenta l'annuncio del sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo di un nuovo intervento legislativo conseguente alla sentenza della Corte costituzionale del 14 dicembre. "Le ragioni per un nuovo decreto non possono essere quelle evidenziate oggi da Caliendo - aggiunge - per il semplice fatto che le sentenze della Corte costituzionale sono immediatamente efficaci 'erga omnes' e non abbisognano di arzigogoli giuridici. Evidentemente il Governo ha in mente di strumentalizzare la sentenza della Corte costituzionale che amplia i diritti dell'imputato per bloccare i processi del premier. Tutto questo evidenzia l'assoluta mancanza di rispetto nei confronti del lavoro parlamentare e il continuo ricorso a provvedimenti 'ad personam'.

"Qui in Senato siamo già di traverso, abbiamo chiesto che il provvedimento torni in commissione perchè questi emendamenti presentati dalla maggioranza introducono delle parti assolutamente nuove rispetto al testo discusso in commissione. Abbiamo presentato dieci tra pregiudiziali e sospensive e se non verrà accolta la nostra richiesta di tornare in commissione faremo ostruzionismo e presenteremo centinaia e centinaia di emendamenti". Ha ribadito la capogruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro.

"Al danno si è aggiunta la beffa, Berlusconi ha introdotto l'ennesima norma ad personam" Lo dice il leader di Idv, Antonio Antonio Di Pietro, riferendosi all'emendamento presentato dalla maggioranza sul processo breve. "Per assicurare l'impunità ad una persona sola - ha aggiunto Di Pietro - si assicura l'impunità a migliaia di delinquenti e migliaia di delitti resteranno senza processi".

12 gennaio 2010

 

 

 

 

Alfano, domani in cdm nuovo piano carceri

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, porterà domani in Consiglio dei ministri il più volte annunciato piano carceri che "partendo dalla dichiarazione dello stato di emergenza", conterrà "tre pilastri" per risolvere la situazione di sovraffollamento. Al primo punto - ha detto lo stesso Alfano intervenendo in aula alla Camera nel corso della discussione di cinque mozioni - vi è un piano di edilizia penitenziaria grazie al quale la capienza delle carceri arriverà a 80 mila posti (contro gli attuali 63 mila di limite tollerabile, ndr).

E ancora: "Ci saranno delle riforme di accompagnamento che atterranno il sistema sanzionatorio e che riguarderanno coloro che devono scontare un piccolo residuo di pena". Misura, questa, che dovrebbe riferirsi alla possibilità per i detenuti con un residuo di pena di un anno di andare agli arresti domiciliari. Infine, il Guardasigilli ha annunciato un aumento di organico "oltre duemila unità" della polizia penitenziaria.

12 gennaio 2010

 

 

 

 

 

Fini: governare vuol dire risolvere problemi

"La legittimazione democratica a governare non è solo un dato iniziale che scaturisce dalle urne ma si rafforza giorno dopo giorno nell'affrontare e nel risovere i problemi sempre nuovi ed inattesi che si presentano sul terreno concreto dei bisogni della collettività": lo afferma il presidente della Camera Gianfranco Fini nel corso del suo intervento a una tavola rotonda che si tiene a Montecitorio.

"Non dobbiamo dimenticare che proprio il confronto parlamentare è in grado di dare piena legittimazione democratica alla decisione politica. Solo una visione mitologica della democrazia può infatti indurre a ritenere che la funzione di governo si traduca automaticamente in un'agenda legislativa predefinita a senso unico", sottolinea Fini.

12 gennaio 2010

 

 

 

Berlusconi vede Napolitano. Vertice sulla giustizia

Prima giornata a Roma per il premier Silvio Berlusconi, dopo la convalescenza seguita all'aggressione subita lo scorso 13 dicembre a Milano. Da oggi governo e maggioranza riprendono ufficialmente la propria attività dopo la pausa natalizia. L'agenda di lavoro di Berlusconi prevede un summit del pdl all'ora di colazione presso la sua residenza di palazzo Grazioli e nel pomeriggio un incontro al Quirinale con il presidente della Repubblica.

Appena arrivato a Roma, il premier rilancia: "I tempi della riforma fiscale? Entro quest'anno". E sulla giustizia: "Non voglio più parlare di queste

cose, sono leggi 'ad libertatem' e mi indigno soltanto quando sento queste cose, e io non voglio indignarmi". Infine sui rapporti con Fini: "Nessun problema. Non ho dubbi sulla leale collaborazione. Mai avuti ".

Al primo appuntamento parteciperanno i tre coordinatori del partito (Sandro Bondi, Ignazio La Russa, Denis verdini), i capigruppo di Camera e Senato, il ministro della Giustizia Angelino Alfano. L'incontro serve a precisare le scelte della maggioranza di fronte ai temi della riforma del processo breve e dell'eventuale approvazione di una nuova norma denominata "legittimo impedimento".

Domani pomeriggio alle 17 riprendono i lavori di palazzo Madama proprio con la relazione di maggioranza del senatore Giuseppe Valentino sulla riforma del processo breve. Questo pomeriggio scade invece alla Camera il termine per la presentazione di emendamenti sul disegno di legge relativo al legittimo impedimento (l'obbligo per il giudice di riconoscere l'impossibilità a partecipare alle udienze di un eventuale processo per tutti i soggetti che stiano esercitando la funzione di governo).

Il summit del pdl discuterà anche di un eventuale nuovo lodo Alfano (questa volta sotto forma di una legge costituzionale per evitare la bocciatura della consulta) e della possibilità di reintrodurre l'immunità per tutti i parlamentari abolita nel 1993. Le possibilità di riannodare il dialogo con l'opposizione si restringono solo al problema dell'immunità, tema sul quale è stata depositata al Senato una proposta di legge bipartisan a firma di Franca Chiaromonte (pd) e Luigi Compagna (pdl).

Pd, Udc e Idv sostengono infatti che sulla giustizia si continua a discutere di leggi ad personam e non di una riforma complessiva. Proprio oggi gli avvocati penalisti sono in sciopero contro il cosiddetto "processo beve", il disegno di legge che fissa a due anni la durata del processo penale per ogni grado di giudizio. L'Unione delle camere penali ha proclamato la giornata di sciopero in segno di protesta, si legge in un comunicato, "contro le scorciatoie inutili, pericolose e incostituzionali del processo breve, frutto avvelenato del rapporto tra politica e magistratura".

Secondo alcune indiscrezioni, il premier sottoporrà al vertice del Pdl un programma di lavoro riguardante anche le possibili riforme della seconda parte della Costituzione e del fisco. In risposta all'opposizione che parla di leggi ad personam sulla giustizia, Berlusconi ha perciò intenzione di proporre un organico progetto del governo per i prossimi mesi.

Nel corso della riunione si dovrebbe discutere anche di elezioni regionali, in particolare della scelta dei capolista per il centrodestra in Campania e Puglia (sono le regioni dove le caselle del pdl restano vuote). Conferma per quelli della Lega in Piemonte e Veneto.

Sulla riforma fiscale è al lavoro soprattutto Giulio Tremonti, ministro dell'Economia, intenzionato a non proporre immediati ritocchi di scaglioni e aliquote ma ad avviare un confronto con le associazioni degli imprenditori e i sindacati. secondo Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, "l'obiettivo finale è un sistema fiscale diverso dall'attuale, ormai abbondantemente superato dalla storia, un sistema che porti l'italia alla modernità fiscale".

Nella prima giornata del suo ritorno a Roma e alla piena attività Berlusconi non ha in agenda un incontro con il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Di un faccia a faccia tra i due leader, che a questo punto potrebbe tenersi in settimana, si era parlato nei giorni scorsi per smussare i contrasti sugli equilibri interni al partito in vista delle elezioni regionali e trovare un accordo definitivo sulle riforme della giustizia. Vista la complessità del programma che oggi Berlusconi illustrerà ai coordinatori del pdl, l'assenza di fini fa notizia.

11 gennaio 2010

 

 

 

Processo breve il Pdl verso un maxi emendamento

di Claudia Fusanitutti gli articoli dell'autore

Da oggi carte in tavola. Basta con annunci e giochi di parole, stop and go, rilanci chiacchiere e chiarimenti. Da oggi la cosiddetta volontà di dialogo e i sospetti di inciucio tra maggioranza e opposizioni potranno essere pesati con unità di misura certe e univoche sul grande scacchiere della giustizia e delle riforme. L’agenda è fitta. Oggi torna a Roma Berlusconi e nel pomeriggio presiederà un vertice con il Guardasigilli Alfano, i coordinatori La Russa, Verdini e Bondi, i capigruppo e i vice Cicchitto e Bocchino, Gasparri e Quagliariello per decidere come uscire dall’angolo del "processo breve".

LE QUATTRO NORME

È la prima delle quattro norme salva- premier che la maggioranza mette in cima alla lista delle priorità dei prossimi sessanta giorni. Una scadenza non casuale: entro marzo infatti la Cassazione si pronuncerà in via definitiva sul processo Mills. La posizione di Berlusconi è stralciata- effetti del vecchio lodo Alfano - ma il premier non può tollerare che vada definitiva una sentenza in cui è chiaro che se il corrotto è l’avvocato David Mills il corruttore non può che essere il Cavaliere suo ex datore di lavoro. Esiste la possibilità che la Cassazione giudichi già prescritta la faccenda – Ghedini è al lavoro –mase cosìnonfosse deve essere subito pronta una norma che blindi il Presidente del Consiglio dal rischio sentenze e processi in corso (due più uno in arrivo). Ora, se il processo breve è il primo dei quattro assi che il Pdl può giocare – gli altri sono legittimo impedimento (25 gennaio in aula alla Camera), scudo giudiziario per via costituzionale e reintroduzione dell’immunità (norma Chiaromonte- Compagna) – è anche vero che sembra un asso quasi inutile se non dannoso. Il segretario del PdPierlugi Bersani è stato chiaro:no alle norme salvapremier; dialogo sulle riforme che servono al Paese. Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato venerdì 8 ha convocato una riunione per definire la linea da tenere domani pomeriggio quando l’aula è convocata con il processo breve all’ordine del giorno.

I DEMOCRATICI IN AULA

Linea durissima così sintetizzata dal relatore Felice Casson: "Cominciamo con 12 questioni pregiudiziali di cui sei riguardano l’incostituzionalità della norma (il processo muore dopo sei anni dalla richiesta di rinvio a giudizio per tutti i reati fino a dieci anni di pena e vale solo per gli incensurati, perfetto per il premier, ndr) e altre sei chiedono la sospensiva dell’esame". Già questo dovrebbe bastare per avvertire i meno allineati nel Pdl – finiani e leghisti che temono il colpo di spugna - a tentare altre strade. "Poi – prosegue il senatore Casson – abbiamo presentato150emendamenti per una buona metà soppressivi e per l’altra metà alternativi perché crediamo nella necessità di un processo breve ma anche certo e soprattutto uguale per tutti". Per non mandare subito all’aria i buoni propositi di dialogo, il Pdl sta cercando la quadra con un maxiemendamento che dia lo scudo al premier ma non sembri fatto apposta per lui. Lo sta scrivendo il relatore Giuseppe Valentino e dovrebbe prevedere "l’eliminazione di tutte le esclusioni soggettive (i recidivi non più esclusi) e oggettive (tutti i reati, compresi mafia e terrorismo) " e "l’introduzione di due fasce ": sei anni per i reati puniti fino a dieci anni; dodici o nove (quattro o tre anni per ogni grado di giudizio) per tutti gli altri. La risposta arriva oggi, al termine del vertice di maggioranza a cui parteciperà il premier. Oggi, mentre il plenum del Csm boccerà il decreto Alfano che trasferisce in modo coatto le toghe per coprire le sedi scoperte. E mentre i tribunali andranno in tilt per lo sciopero degli avvocati penalisti. Anche loro fanno le barricate contro il processo breve.

11 gennaio 2010

 

 

 

2010-01-11

Berlusconi vede Napolitano. Vertice sulla giustizia

Prima giornata a Roma per il premier Silvio Berlusconi, dopo la convalescenza seguita all'aggressione subita lo scorso 13 dicembre a Milano. Da oggi governo e maggioranza riprendono ufficialmente la propria attività dopo la pausa natalizia. L'agenda di lavoro di Berlusconi prevede un summit del pdl all'ora di colazione presso la sua residenza di palazzo Grazioli e nel pomeriggio un incontro al Quirinale con il presidente della Repubblica.

Appena arrivato a Roma, il premier rilancia: "I tempi della riforma fiscale? Entro quest'anno". E sulla giustizia: "Non voglio più parlare di queste

cose, sono leggi 'ad libertatem' e mi indigno soltanto quando sento queste cose, e io non voglio indignarmi". Infine sui rapporti con Fini: "Nessun problema. Non ho dubbi sulla leale collaborazione. Mai avuti ".

Al primo appuntamento parteciperanno i tre coordinatori del partito (Sandro Bondi, Ignazio La Russa, Denis verdini), i capigruppo di Camera e Senato, il ministro della Giustizia Angelino Alfano. L'incontro serve a precisare le scelte della maggioranza di fronte ai temi della riforma del processo breve e dell'eventuale approvazione di una nuova norma denominata "legittimo impedimento".

Domani pomeriggio alle 17 riprendono i lavori di palazzo Madama proprio con la relazione di maggioranza del senatore Giuseppe Valentino sulla riforma del processo breve. Questo pomeriggio scade invece alla Camera il termine per la presentazione di emendamenti sul disegno di legge relativo al legittimo impedimento (l'obbligo per il giudice di riconoscere l'impossibilità a partecipare alle udienze di un eventuale processo per tutti i soggetti che stiano esercitando la funzione di governo).

Il summit del pdl discuterà anche di un eventuale nuovo lodo Alfano (questa volta sotto forma di una legge costituzionale per evitare la bocciatura della consulta) e della possibilità di reintrodurre l'immunità per tutti i parlamentari abolita nel 1993. Le possibilità di riannodare il dialogo con l'opposizione si restringono solo al problema dell'immunità, tema sul quale è stata depositata al Senato una proposta di legge bipartisan a firma di Franca Chiaromonte (pd) e Luigi Compagna (pdl).

Pd, Udc e Idv sostengono infatti che sulla giustizia si continua a discutere di leggi ad personam e non di una riforma complessiva. Proprio oggi gli avvocati penalisti sono in sciopero contro il cosiddetto "processo beve", il disegno di legge che fissa a due anni la durata del processo penale per ogni grado di giudizio. L'Unione delle camere penali ha proclamato la giornata di sciopero in segno di protesta, si legge in un comunicato, "contro le scorciatoie inutili, pericolose e incostituzionali del processo breve, frutto avvelenato del rapporto tra politica e magistratura".

Secondo alcune indiscrezioni, il premier sottoporrà al vertice del Pdl un programma di lavoro riguardante anche le possibili riforme della seconda parte della Costituzione e del fisco. In risposta all'opposizione che parla di leggi ad personam sulla giustizia, Berlusconi ha perciò intenzione di proporre un organico progetto del governo per i prossimi mesi.

Nel corso della riunione si dovrebbe discutere anche di elezioni regionali, in particolare della scelta dei capolista per il centrodestra in Campania e Puglia (sono le regioni dove le caselle del pdl restano vuote). Conferma per quelli della Lega in Piemonte e Veneto.

Sulla riforma fiscale è al lavoro soprattutto Giulio Tremonti, ministro dell'Economia, intenzionato a non proporre immediati ritocchi di scaglioni e aliquote ma ad avviare un confronto con le associazioni degli imprenditori e i sindacati. secondo Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, "l'obiettivo finale è un sistema fiscale diverso dall'attuale, ormai abbondantemente superato dalla storia, un sistema che porti l'italia alla modernità fiscale".

Nella prima giornata del suo ritorno a Roma e alla piena attività Berlusconi non ha in agenda un incontro con il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Di un faccia a faccia tra i due leader, che a questo punto potrebbe tenersi in settimana, si era parlato nei giorni scorsi per smussare i contrasti sugli equilibri interni al partito in vista delle elezioni regionali e trovare un accordo definitivo sulle riforme della giustizia. Vista la complessità del programma che oggi Berlusconi illustrerà ai coordinatori del pdl, l'assenza di fini fa notizia.

11 gennaio 2010

 

 

 

 

Alfano: sì a riforma costituzionale giustizia

"Abbiamo deciso di andare avanti sulla riforma della giustizia: partiranno immediatamente degli incontri all'interno della coalizione per definire un testo di riforma costituzionale della giustizia, la grande riforma della giustizia da sottoporre subito al dibattito parlamentare". Lo ha detto il ministro della Giustizia Angelino Alfano uscendo dal vertice a Palazzo Grazioli sulla giustizia.

Avanti, dunque, con i disegni di legge già presentati in Parlamento sul legittimo impedimento alla Camera e sul processo breve al Senato. E solo dopo, in caso, considerare la possibilità di presentare una legge costituzionale che ricalchi il Lodo Alfano bocciato dalla Consulta, accogliendone i rilievi che portarono alla bocciatura. Oppure ripensare alla reintroduzione dell'immunità parlamentare. Questo l'orientamento della maggioranza in materia di giustizia emerso nelle circa due ore e mezzo di vertice a palazzo Grazioli.

Nell'immediato quindi, Pdl e Lega marciano compatti a difesa dei provvedimenti già calendarizzati. A palazzo Madama, sarà presentato il cosiddetto emendamento Valentino, che accoglie parte delle obiezioni delle opposizioni al processo breve. Mentre a Montecitorio l'iter sul legittimo impedimento riprende domani, dopo che oggi sono scaduti i termini per la presentazione degli emendamenti (170 quelli depositati in commissione). L'intenzione della maggioranza è dunque quella di mantenere la barra dritta sulla riforma della giustizia, ma di fare ricorso alla tattica del 'wait and see' sul resto. "Non rinunciamo alle leggi ordinarie sulla giustizia e a un confronto a trecentosessanta gradi sulle riforme", ha spiegato al termine del vertice il capogruppo del Pdl, Maurizio Gasparri.

"Sarebbe questa la prima mossa del 'partito dell'amore'? Andando avanti a testa bassa sui suoi provvedimenti il governo sa bene che mette a repentaglio una discussione di sistema sulle riforme istituzionali, ivi compreso il rapporto tra Parlamento e magistratura". Così il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, commenta l'esito del vertice di maggioranza sulla giustizia. "Non bastano i giochi di parole o le finte benevolenze verso l'opposizione - ha aggiunto Bersani - a nascondere la realtà dei fatti. La nostra disponibilità è quella dichiarata più volte: si sospendano i provvedimenti che governo e maggioranza hanno annunciato e si discuta subito dell'ammodernamento del nostro sistema".

La collaborazione tra Governo e opposizione non la decide il presidente del Consiglio. La pensa così il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, che durante una conferenza stampa a Malpensa, a chi gli chiedeva se fosse possibile il dialogo sulle tasse ha replicato: "Non è che deve decidere Berlusconi quando si fa l'amore o quando si litiga". "Io sto sul lineare" ha aggiunto spiegando che nella sua idea non c'è alcun odio, ma semplicemente un concetto democratico.

"Ci assumiamo la responsabilità dell'approvazione di alcuni provvedimenti di civiltà giuridica e ci auguriamo al tempo stesso un confronto con le opposizioni quando presenteremo le riforme della giustizia e della Costituzione", prova a riprendere ha aggiunto Fabrizio Cicchitto. "Abbiamo visto nelle parole dell'esponente del Pd Enrico Morando - ha sottolineato il capogruppo alla Camera facendo riferimento all'immunità parlamentare - la possibilità di un dialogo". Dunque, sarà solo in un secondo tempo che si deciderà se procedere con la riproposizione del Lodo-bis o se lavorare per reintrodurre l'immunità parlamentare.

Entrambe le strade sono percorribili, spiegano fonti della maggioranza, dipenderà anche dal clima che si instaurerà con le opposizioni. "Intanto andiamo avanti così - spiega un esponente di primo piano del Pdl poco dopo aver lasciato palazzo Grazioli - poi se qualcuno presenterà un Lodo-bis o si parlerà di immunità vedremo. E non dipenderà solo da noi, ma anche dall'atteggiamento dell'altra parte".

"Ora stanno davvero esagerando, e questo sarebbe il confronto?". Così Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato, reagisce all'annuncio di un maxi-emendamento della maggioranza al ddl sul "processo breve", provvedimento al quale la senatrice Finocchiaro ha ribadito la contrarietà del Pd.

11 gennaio 2010

 

il SOLE 24 ORE

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2010-01-22

L'abc del ddl sul processo breve

di Claudio Tucci

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22 gennaio 2010

Fini: "Le Camere lavorano, giusto il silenzio di Napolitano"

"Dai nostri archivi"

L'abc del ddl sul processo breve

Bagarre sul processo breve Berlusconi: in tribunale temo "plotoni d'esecuzione"

Presentato in Senato il testo del Ddl sul "processo breve"

Benvenuti nel paese dove i processi non finiscono mai

Verso il lodo Alfano bis, ma il Pdl è pronto ad aprire sull'immunità parlamentare

Passa da 3 a 10 articoli il ddl sul processo breve dopo l'esame di Palazzo Madama. Nel provvedimento di tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, fra le modifiche, si alza l'asticella della durata massima del giudizio penale, per reati puniti fino a 10 anni, che viene portata a tre anni, per il primo grado, due per il secondo e 18 mesi per la Cassazione.

Nella versione iniziale del disegno di legge, il tetto massimo, complessivo, per i primi due gradi di giudizio e per il ricorso in Cassazione, era fissato in 6 anni. Si prevede, poi, l'applicazione delle nuove norme sull'estinzione dei processi per violazione dei termini di durata ragionevole, anche, ai procedimenti relativi agli illeciti amministrativi, dipendenti da reato, di società, persone giuridiche e associazioni, di cui al Dlgs 231/2001. Le novità si applicheranno, anche, ai processi in corso: destinati all'estinzione, in particolare, saranno tutti i processi per reati coperti da indulto con pene massime inferiori a 10 anni, che non arrivano a sentenza entro 2 anni dalla richiesta di rinvio a giudizio. È previsto un aumento dei termini fino a 2 anni e 3 mesi in caso di nuove contestazioni da parte del Pm.

Rimangono, invece, fermi i termini per ritenere "ragionevole" un giudizio: 2 anni per ciascuno dei primi 2 gradi di merito, altri 2 anni per l'esame di legittimità, più un altro anno in ogni caso di giudizio di rinvio. Superati tali limiti, lo Stato dovrà risarcire l'interessato. Ecco, punto per punto, tutto quello che contiene il ddl sui "processi brevi", licenziato da Palazzo Madama , che sarà ora esaminato dalla Camera.

Entrata in vigore (articoli 9 e 10). Le nuove disposizioni sul processo breve entreranno in vigore il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta. Scadenze e limiti diversi, per l'applicazione ai processi. In via generale, le novità legislative si applicano anche ai processi in corso: destinati all'estinzione tutti i processi per reati coperti da indulto con pene massime inferiori a 10 anni, che non arrivano a sentenza entro 2 anni dalla richiesta di rinvio a giudizio. È previsto un aumento dei termini fino a 2 anni e 3 mesi in caso di nuove contestazioni del Pm. Nei giudizi, poi, di responsabilità contabile, le nuove norme si applicano anche ai giudizi in corso, quando dal deposito della citazione a giudizio nella segreteria della competente sezione della Corte dei Conti siano trascorsi almeno 5 anni e non si è concluso il giudizio di primo grado. Sul fronte, invece, delle aziende è prevista l'estinzione dei processi per reati commessi prima del 2006 per i quali non si sia ancora giunti a sentenza entro 2 anni.

Equo indennizzo (articolo 1). Arriva una razionalizzazione delle procedure di equo indennizzo previste dalla legge Pinto nei casi di violazione del diritto alla ragionevole durata dei processi. Si motiva la scelta per gli ingenti costi che, ogni anno, l'Italia paga per l'eccessiva durata dei giudizi: 14,7 milioni di euro, nel 2007, 25 milioni, nel 2008, 13,6 milioni, solo nel primo semestre 2009. Le nuove norme prevedono, in particolare, che la domanda di equa riparazione sia subordinata a una specifica istanza di sollecitazione, che la parte deve presentare nel processo (civile, penale o amministrativo) entro 6 mesi dalla scadenza dei termini di non irragionevole durata. In questo modo, il meccanismo potrà assumere una funzione non solo risarcitoria, ma, anche, acceleratoria del giudizio. Presentata l'istanza di sollecitazione (nei confronti del ministero della Giustizia, per procedimenti del giudice ordinario, di quello della Difesa, per procedimenti militari e al ministero dell'Economia, in tutti gli altri casi), i processi godranno di una corsia preferenziale, sotto la vigilanza del capo dell'ufficio interessato, e la sentenza che definisce il giudizio potrà essere sinteticamente motivata (fanno eccezione le sentenze penali). Si fissa, poi, un termine "presuntivo" di irragionevole durata del processo: 2 anni per ciascuno dei primi 2 gradi di merito, altri 2 anni per l'esame di legittimità, più un altro anno in ogni caso di giudizio di rinvio. Non si tratta, però, una presunzione assoluta, visto che il magistrato che decide sulla domanda di equa riparazione (vale a dire la corte d'appello competente) potrà aumentare il termine fino alla metà nei casi di complessità del caso e valutato, pure, il comportamento delle parti private e del giudice. Ai fini dell'equa riparazione, il processo si considera iniziato, in ciascun grado, alla data del deposito del ricorso introduttivo del giudizio o dell'udienza di comparizione indicata nella citazione, ovvero alla data del deposito dell'istanza di fissazione dell'udienza. Si considera, invece, terminato con la pubblicazione della decisione. Il processo penale si considera iniziato alla data di assunzione della qualità di imputato. Si chiarisce, inoltre, per valorizzare la speditezza, ma, anche, la lealtà processuale, che dal termine di ragionevole durata del processo sono esclusi i periodi relativi ai rinvii richiesti o consentiti dalla parte, nel limite di 90 giorni ciascuno. Le nuove norme prevedono anche che, nella liquidazione dell'indennizzo, il giudice debba tener conto del valore della domanda proposta, o accolta, nel procedimento nel quale si è verificata la violazione del termine di ragionevole durata. L'indennizzo si riduce di un quarto, quando il procedimento, cui si riferisce la domanda di equa riparazione, è stato definito con il rigetto delle richieste del ricorrente, ovvero quando ne è evidente l'infondatezza. La decisione sulla domanda di equa riparazione arriva con decreto, da emettere entro 4 mesi dal deposito della richiesta, contro cui è ammessa opposizione entro 60 giorni.

Estinzione del processo (articoli 5 e 8). Si prevede l'estinzione dell'azione penale e, quindi, del processo, per la violazione dei termini di ragionevole durata. Sarà emessa una sentenza ad hoc. L'imputato, tuttavia, può dichiarare di rinunciare all'estinzione del processo. La dichiarazione (volontaria) deve essere formulata personalmente in udienza o presentata dall'interessato o a mezzo di procuratore speciale. Secondo le nuove norme l'estinzione processuale avviene secondo un doppio canale. Per i reati puniti con pena pecuniaria o detentiva, inferiore nel massimo a 10 anni, il giudice pronuncia l'estinzione del processo in 4 casi. Primo, quando dall'esercizio dell'azione penale, da parte del Pm, siano decorsi più di 3 anni senza arrivare alla pronuncia delle sentenza di primo grado. Secondo, quando dalla sentenza di primo grado siano decorsi più di 2 anni senza che sia arrivata la decisione di appello. Terzo, quando dall'appello siano passati più di 18 mesi senza che sia stata pronunciata la decisone di legittimità da parte della Cassazione. Ultimo, stop, invece, quando dal giudizio di rinvio, è decorso più di un anno per ogni ulteriore grado di processo. Nella versione iniziale del provvedimento il tetto massimo complessivo per i primi due gradi di giudizio e per il ricorso in Cassazione era fissato in 6 anni. Aumenta, anche, il limite massimo di durata del processo per reati puniti con oltre 10 anni di carcere: 4 anni per il primo grado, 2 per l'appello e 18 mesi per il ricorso in Cassazione. Per i casi di mafia e terrorismo sono previsti 5 anni per il primo grado, 3 per l'appello e 2 per il ricorso in Cassazione. Solo per questi ultimi è possibile una dilatazione di un terzo dei tempi processuali, ma solo se il processo si rilevi particolarmente complesso o vi sia un elevato numero di imputati. Si indicano, poi, i casi in cui "l'orologio" dei termini è sospeso: per i periodi di sospensione del processo previsti dalla legge (autorizzazione a procedere o deferimento della questione a altro giudizio) o, nell'udienza preliminare e nella fase di giudizio, durante il tempo in cui l'udienza o il dibattimento sono sospesi o rinviati per impedimento dell'imputato o del suo difensore o quando il rinvio è stato disposto su loro richiesta, sempre che la sospensione o il rinvio non siano stati disposti per assoluta necessità di acquisire una prova. A queste ipotesi, va aggiunta anche quella in cui il blocco del procedimento si verifica per una causa esterna, non imputabile agli organi giudiziari, come, quando, sia in atto l'estradizione dell'imputato. Si prevede poi che, quando in dibattimento vengono effettuate nuove contestazioni dal pubblico ministero, il termine di fase non può essere aumentato complessivamente per più di 3 mesi. Le nuove norme specificano, inoltre, che la sentenza di non doversi procedere, per estinzione del processo, una volta definitiva, produca l'effetto preclusivo del cosiddetto ne bis in idem. Si prevede, inoltre, che la parte civile che si sia costituita nel processo colpito dalla estinzione, quando trasferisce l'azione in sede civile, ha diritto sia alla riduzione della metà dei termini a comparire, sia alla trattazione prioritaria del processo relativo all'azione trasferita. Infine, le nuove norme sull'estinzione dei processi per violazione dei termini di durata ragionevole si applicano anche ai procedimenti relativi agli illeciti amministrativi dipendenti da reato di società, persone giuridiche e associazioni, di cui al Dlgs 231/2001.

Incompetenza del giudice (articolo 6). Si prevede che se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, il giudice dichiari, con sentenza, l'esistenza di una causa di non punibilità in ordine al reato appartenente alla sua competenza per territorio, con la stessa sentenza, è tenuto a dichiarare la propria incompetenza in ordine al reato per cui si procede e trasmettere gli atti al Pm presso il nuovo giudice competente.

Monitoraggio sui costi del nuovo "processo breve" (articolo 7). Si introduce una sorta di "clausola di salvaguardia", che assegna al ministero dell'Economia il compito di assumere "conseguenti iniziative legislative" nel caso in cui si riscontri che dall'attuazione del presente ddl sul processo breve si rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica.

Responsabilità contabile (articolo 4). Si prevede l'estinzione del giudizio di responsabilità davanti alla Corte dei conti in due ipotesi. Quando, dal deposito dell'atto di citazione in giudizio nella segreteria della competente sezione siano trascorsi tre anni senza che sia stato emesso il provvedimento che definisce il giudizio in primo grado. Il termine scende a due se il danno erariale non supera il valore di 300mila euro. E, quando, poi, dalla notifica o pubblicazione del provvedimento che chiude il primo grado siano decorsi più di due anni senza che sia stato emesso il provvedimento che definisce l'eventuale giudizio d'appello. Tali termini si sospendono nel caso in cui l'udienza o la discussione siano sospese o rinviate su richiesta del convenuto, o del suo difensore, per necessità di acquisire prove. Si prevede, infine, che la Corte dei conti, a Sezioni unite, possa giudicare, anche, con sentenza definitiva di accertamento, sui ricorsi proposti dagli organi politici di vertice delle amministrazioni contro le delibere conclusive di controlli su gestioni di particolare rilevanza per la finanza pubblica. Tali ricorsi vanno proposti entro il termine perentorio di 60 giorni dalla formale comunicazione delle delibere.

Spese di giustizia (articolo 2). Si stabilisce che il procedimento per equo indennizzo è soggetto al pagamento del contributo unificato, fissato nella misura di 70 euro (come, attualmente, si paga per i processi di valore superiore a 1.100 euro e fino a 5.200 euro, per quelli di volontaria giurisdizione, nonché per i processi speciali di cui al libro IV, titolo II, capo VI, del codice di procedura civile, cioè, i procedimenti in camera di consiglio). Le nuove norme si applicano ai procedimenti iscritti successivamente alla data di entrata in vigore del presente ddl. Per tutti gli altri, invece, continua ad applicarsi l'esenzione dal pagamento del contributo unificato.

Stato: danno all'immagine (articolo 3). Si fornisce un'interpretazione autentica all'articolo 17, comma 30-ter, del decreto anticrisi 2009. In particolare, si prevede che "qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni sull'azione per danno erariale, salvo che sia stata già pronunciata sentenza di merito anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto anticrisi, è nullo e la relativa nullità può essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di 30 giorni dal deposito della richiesta".

22 gennaio 2010

 

 

 

 

2010-01-21

IL PUNTO / Ma il passaggio della legge alla Camera non sarà una formalità

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21 Gennaio 2010

IL PUNTO

di Stefano Folli

È appena il caso di ricordare che la legge sul "processo breve" (o sulla "ragionevole durata del processo", come preferisce dire la maggioranza) non è ancora definitiva. Dopo il Senato, il passaggio alla Camera non sarà una formalità. È vero che il centrodestra, in materia, sa di avere dalla sua i numeri e non teme trabocchetti parlamentari. Tuttavia alcuni problemi di fondo sono usciti irrisolti da Palazzo Madama.

Il principale riguarda il sospetto di incostituzionalità che al momento molti nutrono. Berlusconi ostenta sicurezza su questo terreno, ma in realtà è consapevole di camminare lungo un sentiero stretto. Per cui in pubblico, a chi lo interroga sul punto, risponde un po' evasivo: "Non lo so, ma non credo che sia incostituzionale". Al tempo stesso ha provveduto a far smentire certe frasi che Repubblica ieri gli attribuiva, in cui si manifestava la certezza che Napolitano non esiterà a firmare il testo (s'intende, dopo il "sì" della Camera).

La verità è che la nave del "processo breve" non è ancora arrivata in porto. È noto che il presidente della Camera condivide le preoccupazioni su alcuni aspetti della legge e ci si attende che nelle prossime settimane – tra la fine di febbraio e i primi di marzo – si adopererà per migliorarla. Un esempio, il più evidente: alcune incongruenze della cosiddetta "norma transitoria" sembrano palesemente incostituzionali, anche se il centrodestra per ora lo nega, e si prestano a un'urgente correzione. Inoltre la Camera dovrà valutare le conseguenze della nuova norma sull'amministrazione della giustizia: andiamo incontro a uno "scempio", come sostengono con accenti diversi Pd e Udc, oltre al partito dipietrista? Ovvero avremo un numero minimo di prescrizioni, come afferma il Pdl?

In ogni caso, prima del passaggio a Montecitorio, è prematuro fare riferimento alle intenzioni del Quirinale, in un senso o nell'altro. Lo stesso presidente del Consiglio sa che gli conviene tenere in queste settimane un profilo rispettoso e cauto nei riguardi del Capo dello Stato, in attesa degli eventi. È anche un po' presto per capire quale sarà il destino delle riforme costituzionali, una volta definito – anche con il "legittimo impedimento" – il salvacondotto giudiziario di Berlusconi.

Sappiamo che il gruppo dirigente del Pd, da Bersani a D'Alema, è favorevole a discutere con il centrodestra un certo numero di riforme della Costituzione. Il "processo breve" certo non migliora l'atmosfera parlamentare, ma era previsto: non è sufficiente, in sé, a bloccare il dialogo. Sappiamo anche che all'interno di questo "confronto" potrà trovare posto il ripristino di una forma di immunità per le alte cariche istituzionali. Ma dovrà essere un tassello all'interno di una revisione generale e condivisa degli assetti costituzionali. Un'operazione complessa, in cui tutti i protagonisti, dal centrodestra al centrosinistra, dovranno ottenere qualcosa e sentirsi parte, su un piede di pari dignità, della riscrittura costituzionale.

Dato il clima e i precedenti, lo scetticismo è normale. In ogni caso, occorre attendere il voto regionale. Il vertice del Pd non potrà uscirne troppo indebolito: discutere di riforme con Berlusconi, compresa la riforma della giustizia, richiede quanto meno un gruppo molto determinato e molto stabile sul piano interno. Per cui si comincerà a vedere già domenica prossima, in Puglia, quanto sia solido questo vertice.

21 Gennaio 2010

 

 

 

 

2010-01-20

Bagarre sul processo breve

Berlusconi: in tribunale temo plotoni d'esecuzione

di Nicoletta Cottone

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20 gennaio 2010

Contestazione in aula dopo la votazione - LaPresse

Pillola politica / Salve le alleanze locali tra Pdl e Udc

Berlusconi: "Tempi dei processi ancora troppo lunghi"

I magistrati: "Così si distrugge il sistema giudiziario"

Il premier: "Non so se andrò in aula"

Giustizia: "Diminuita di un quarto la spesa per le intercettazioni"

Le immagini della protesta in Senato

SONDAGGIO / I processi a Berlusconi sono plotoni d'esecuzione?

"Dai nostri archivi"

I magistrati: "Così si distrugge il sistema giudiziario"

Il premier: "Non so se andrò in aula"

Alfano: "Diminuita di un quarto la spesa per le intercettazioni"

Alfano: "Diminuita di un quarto la spesa per le intercettazioni"

Benvenuti nel paese dove i processi non finiscono mai

Via libera carico di tensione per il ddl sul processo breve, mentre Berlusconi annuncia che sta valutando la possibilità di non presentarsi in tribunale per i processi che lo riguardano. L'aula del Senato ha approvato il provvedimento con 163 sì, 130 no. Due gli astenuti. Il ddl passa ora all'esame della Camera. È subito bagarre in aula, sia al termine degli interventi, sia dopo il voto: i senatori dell'Idv hanno esposto cartelli con le scritte: "Berlusconi fatti processare", "muoiono processi Cirio-Parmalat". Uno è listato a lutto con scritto "La giustizia è morta". Il senatore del Pdl, Domenico Gramazio, dal centro dell'emiciclo ha tirato il fascicolo degli emendamenti contro i banchi dell'Idv. Poi anche lui è stato allontanato dai commessi.

Notte in aula per i senatori dell'Idv. I senatori dell'Italia dei valori hanno trascorso la notte nell'aula di palazzo Madama. "Un'azione di resistenza istituzionale - ha spiegato Leoluca Orlando, portavoce nazionale dell'Italia dei valori - nei confronti di una legge di eversione istituzionale ipocritamente denominata "processo breve"". Una "legge-vergogna" che rappresenta "un colpo mortale inferto alla cultura della legalità e a uno Stato di diritto che l'attuale maggioranza sta trasformando in stato di impunità per i criminali". Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani ha ribadito che il suo partito si batterà con tutte le sue forze contro il provvedimento, che rappresenta "un'amnistia per i colletti bianchi" e ha accusato il centrodestra di essere una succursale dell'ufficio di difesa del presidente del Consiglio.

Le dichiarazioni di voto. "Ma è davvero breve questo processo? Nel ddl la parola breve non c'è. La legge che noi proponiamo - ha detto il capogruppo dei senatori Pdl, Maurizio Gasparri, annunciando nelle dichiarazioni di voto finali il sì del suo gruppo al processo breve - non cancellerà i processi. Riguarderà solo l'1% dei processi". Per i reati "di mafia e terrorismo arriviamo ad oltre 15 anni di durata. È questo un processo breve?". Gasparri ha anche sottolineato che l'articolo 111 della Costituzione prevede il giusto processo e l'articolo 6 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo prevedono la ragionevole durata dei processi. "Con il processo breve - ha detto la presidente dei senatori Pd, Anna Finocchiaro - viene decretate la fine di migliaia di processi penali e quindi ci sarà una denegata giustizia per migliaia di cittadini". Per la senatrice la maggioranza fissa "in due ore la durata di una tratta ferroviaria, ben sapendo che la vecchia locomotiva potrà farcela solo in tre ore", "dite di essere interessati a un processo riformatore, ma continuate ad avvelenare i pozzi e tentate di spacciare questa come riforma. Su di voi grava la responsabilità del clima politico". Finocchiaro ha ribadito la disponibilità del Pd a confrontarsi nell'ambito di una riforma di sistema della giustizia. Annunciando il voto favorevole del Carroccio il capogruppo della Lega, Federico Bricolo, rivolgendosi all'opposizione ha detto: "Fino a pochi mesi fa eravate d'accordo con questa riforma. Quando vi siete accorti che questa riforma avrebbe riguardato anche il presidente Berlusconi, avete cambiato idea e vi siete contraddetti. Siete voi che vi dovreste vergognare". Duro intervento dell''Idv per ribadire il no al provvedimento. "Si vuole salvare Berlusconi dai suoi processi. Approvate così una norma che non esiste in nessuna parte del mondo. L'Italia, culla del diritto, rinnega il diritto", ha detto Luigi Li Gotti (Idv). "Non sapete cosa significhi l'interesse collettivo - ha aggiunto -. Il Parlamento è smarrito e asservito". Poi rivolto alla maggioranza: "I delinquenti vi ringraziano e potranno tornare all'opera". Il disegno di legge sul processo breve, ha detto il senatore dell'Udc Gianpiero D'Alia annunciando il no del suo partito, "serve a poco o a nulla. Approfitta per fare un'amnista e ha il fiato corto" perchè contiene norme "incostituzionali". Claudio Gustavino (Alleanza per l'Italia- gruppo misto) e Giuseppe Astore (gruppo misto), hanno annunciato il no al provvedimento.

Le nuove regole sulla durata dei giudizi. Le modifiche apportate al provvedimento nel corso dell'esame al Senato hanno innalzato il tetto della durata massima di un giudizio penale per reati puniti con pene fino a 10 anni, portandolo a 3 anni per il primo grado, due per il secondo grado e 18 mesi per la Cassazione. Nella versione iniziale del provvedimento il tetto massimo complessivo per i primi due gradi di giudizio e per il ricorso in Cassazione era fissato in 6 anni. Aumentato anche il limite massimo di durata del processo per reati puniti con oltre 10 anni di carcere: 4 anni per il primo grado, 2 per l'appello e 18 mesi per il ricorso in Cassazione. Per i casi di mafia e terrorismo sono previsti 5 anni per il primo grado, 3 per l'appello e 2 per il ricorso in Cassazione. Solo per questi ultimi è possibile una dilatazione di un terzo dei tempi processuali. Le norme si applicano anche ai processi in corso: destinati all'estinzione tutti i processi per reati coperti da indulto con pene massime inferiori a 10 anni, che non arrivano a sentenza entro 2 anni dalla richiesta di rinvio a giudizio. È previsto un aumento dei termini fino a 2 anni e 3 mesi in caso di nuove contestazioni del Pm. Sul fronte delle aziende è prevista l'estinzione dei processi per reati commessi prima del 2006 per i quali non si sia ancora giunti a sentenza entro 2 anni. Per i processi da celebrare equiparazione dei tempi previsti per i procedimenti a carico delle persone fisiche.

20 gennaio 2010

 

 

 

 

2010-01-17

Vuoti in procura: magistrati pronti allo sciopero Alfano: "Fatto gravissimo"

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16 gennaio 2010

"Dai nostri archivi"

Palamara, Anm: "Il processo breve metterà in ginocchio la giustizia"

Anm in stato di agitazione Alfano: toghe prevenute

Palamara (Anm): "Chiameremo i magistrati a scegliere da chi farsi rappresentare nel Cdm"

Maroni, a Reggio magistrati in pericolo di vita

Processi brevi, l'Anm accusa: "Il 50% in prescrizione". Alfano: "Clamoroso abbaglio"

 

L'Associazione nazionale magistrati è pronta anche a proclamare uno sciopero per dare un forte segnale di allarme sulla situazione di crisi di organico nelle procure. Nel suo intervento all'assemblea di oggi in Cassazione, infatti, il presidente del sindacato delle toghe, Luca Palamara, non ha parlato esplicitamente di sciopero ma ha spiegato che "l'Anm vuole una riforma della giustizia che assicuri un processo giusto in tempi ragionevoli e vuole uffici organizzati e funzionanti: ecco perchè non potrà assistere inerme allo svuotamento degli uffici di procura ed è fermamente intenzionata ad adottare ogni efficace e anche estrema iniziativa di mobilitazione della magistratura associata e di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulla gravità della situazione attuale".

Secondo l'Anm, "nell'immediato, l'unica soluzione ragionevole è quella di una deroga temporanea e limitata al divieto di destinare i magistrati di prima nomina alle funzioni requirenti e giudicanti", mentre "l'unica soluzione stabile ed efficace è quella di una completa e organica revisione della distribuzione degli uffici sul territorio". Dal 2007, osserva Palamara, le scoperture nelle procure sono quadruplicate: 3 anni fa erano solo 68, nell'ottobre 2009 si è raggiunta la vetta di 249. Il presidente del sindacato delle toghe contesta il decreto legge messo a punto dal governo, definendolo un "intervento incoerente, inefficace e fortemente penalizzante per i più giovani, in quanto destinato - sottolinea Palamara - a stravolgere la vita sia lavorativa sia familiare di magistrati entrati in servizio da poco, già destinati ad uffici di frontiera e lontani dalle sedi di provenienza".

Secondo i calcoli del Csm, che lunedì scorso ha approvato un parere fortemente critico sul decreto legge, "in cinque anni - ricorda Palamara - potranno essere mobilitati ben 750 magistrati per coprire fino a 400 posti di sedi disagiate". Il prosciugamento degli uffici requirenti, secondo il sindacato delle toghe, avrebbe "una conseguenza aberrante: la concreta e sostanziale impossibilità di esercitare adeguatamente l'azione penale". Di tutt' altro avviso il ministro della Giustizia Angelino Alfano, che ritiene "un incomprensibile e miope arroccamento" quello della Anm sul decreto per la copertura delle sedi disagiate, perché la norma - afferma il ministro - "offre al Paese una ragionevole e definitiva soluzione". Per questo, continua il Guardasigilli, sarebbe "gravissimo anche solo ipotizzare uno sciopero". Le chiusure delle toghe al decreto, secondo Alfano, non sono altro che tentativi "di difendere "privilegi di casta.

16 gennaio 2010

 

 

 

 

 

2010-01-15

Berlusconi-Fini, salta subito la tregua elettorale

di Emilia Patta

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15 gennaio 2010

"Dai nostri archivi"

La Russa: più contatti tra Fini e Berlusconi

Il ritorno di Berlusconi: avanti sulla giustizia, aspettando le regionali

I paletti di Fini e lo scontro alla Camera su Tartaglia: la "tregua" non dura neanche 24 ore

Fini-Berlusconi, il disgelo è solo all'inizio

Dallo scudo alla cittadinanza, regge la tregua Fini-Berlusconi

 

Annoiato dalle vecchie formule del teatrino della politica. Il giorno dopo l'incontro "chiarificatore" con Gianfranco Fini, il premier non sembra aver sbollito la rabbia e il fastidio per quella che tutti gli osservatori hanno definito una tregua forzata in vista delle regionali di marzo. "Io sono un imprenditore – avrebbe detto Silvio Berlusconi ai suoi – sono abituato a decidere e a decidere da solo: così si fa nel mondo dell'impresa. Gianfranco invece vorrebbe costringermi a continue ed estenuanti mediazioni, con il risultato che alla fine non si decide".

Altro che patto di concertazione. Niente descrive meglio la diversa concezione che i due cofondatori hanno della politica di queste frasi da outsider della politica di Berlusconi, costituzionalmente allergico alle "estenuanti mediazioni" nonché al rispetto dei contrappesi istituzionali. La legittimità democratica non viene solo dalle urne, ricordava dal suo canto Fini prima della colazione a Montecitorio. E il giorno dopo, a Bologna per la presentazione del suo libro "Il futuro della libertà", rimarca: "Le differenze sono il sale del confronto e della dialettica".

Poche ore dopo aver deciso il patto di consultazione, la tregua nel Pdl sembra già saltata. Né potrebbe essere altrimenti: ormai troppo diverso il modo di intendere la politica e il ruolo del partito tra i due cofondatori. Dall'inizio della legislatura è chiaro che Fini lavora al dopo-Berlusconi immaginando un centrodestra laico, schiettamente democratico e di respiro europeo sul modello della destra francese di Sarkozy e dei Tories britannici. Un lavoro di lungo respiro perseguito, fin qui, con tenacia e costanza. Ora ci sono le regionali, e Fini vuole portare a casa l'elezione dei "suoi" candidati: Renata Polverini nel Lazio e Giuseppe Scopelliti in Calabria. Non è pensabile uno scontro aperto in campagna elettorale né tantomeno una scissione del Pdl. Da qui la tregua forzata. Ma dopo le regionali la scena potrebbe cambiare. E non va sottovalutato il fatto che la fondazione finiana Farefuturo non escludeva nei giorni scorsi l'uscita dal partito già ad aprile...

15 gennaio 2010

 

 

 

 

 

 

Napolitano: "No a riforme miopi a colpi di maggioranza"

15 gennaio 2010

 

Riforme condivise. L'appello alle forze politiche arriva dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a Bari per la cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico 2009-2010 e l'intitolazione dell'ateneo allo statista Aldo Moro. Napolitano ha ricordato lo statista ucciso dalle Brigate rosse per auspicare riforme condivise, lungimiranti, che non portino a nuove conflittualità, rievocando "la splendida stagione per il nostro paese" che fu l'assemblea Costituente. Tempi in cui "una generazione giovane, ricca di interessi culturali e di

idealità, faceva irruzione nella politica, prendeva posto nel Parlamento che rinasceva per stendere la Carta dei principi e delle regole della Repubblica italiana". Ricordando che i "principi dominanti della nostra civiltà e gli indirizzi supremi della nostra futura legislazione, siano sanciti in norme costituzionali affinché siano sottratti all'effimero gioco di semplici maggioranze parlamentari".

Un riferimento testuale che Napolitano cita per eliminare i conflitti dannosi per la democrazia e fare "appello alla consapevolezza che non dovrebbe ormai mancare tra le forze politiche e sociali della assoluta necessità di lavorare e di riformare, anche per l'Università, in un'ottica di lungo periodo e non sulla base di impostazioni contingenti, asfittiche, di corto respiro, cui corrispondano conflittualità deleterie".

15 gennaio 2010

 

 

2010-01-14

Tregua Berlusconi-Fini, il premier attacca l'Udc

14 gennaio 2010

IL PUNTO / Riforme, due ostacoli e una opportunità (di Stefano Folli)

"Dai nostri archivi"

La Russa: più contatti tra Fini e Berlusconi

"No alla democrazia plebiscitaria": i paletti di Fini e la partita della giustizia

Tensione Berlusconi-Fini: il vascello giustizia torna in alto mare

"Più collegialità": Fini pronto a muovere le sue truppe

Fini vede Berlusconi: su giustizia e riforme intesa con l'opposizione

Lo descrivono come "furioso" con l'Udc. Raccontano che lui si sia detto stufo della "politica dei due forni dell'Udc". E' un Silvio Berlusconi infuriato quello dialoga a pranzo con Gianfranco Fini, Ignazio La Russa e Italo Bocchino, insieme a Gianni Letta: "Ora quelli mi hanno stufato, pensano di allearsi con noi solo dove si vince? Allora basta, basta intese con loro".

Le agenzie di stampa riportano che lo sfogo guardi avanti, non comprenda le alleanze già siglate, ad esempio nel Lazio. Tanto che, come spiegato da La Russa, se pure Fini definisce inaccettabile la politica dei due forni, non considera la rottura come la strada giusta da percorrere con Casini.

Ma non solo di questa si è parlato, come riferiscono alcune fonti. Delle incomprensioni del passato, del "metodo" per il futuro. Anche perché Fini aveva a cuore un punto: bisogna evitare "gli scontri istituzionali". La premessa del presidente della Camera è che il rapporto tra la giustizia e Berlusconi è stato segnato da una sorta di "un'insistenza" nel corso degli ultimi 15 anni. Ma nell'affrontare e "risolvere" il dossier giustizia non bisogna seguire la strada dei provvedimenti di "corto respiro", privilegiando la concordia istituzionale e la via delle riforme.

Quanto all'organigramma, è curioso che al faccia a faccia fossero presenti quelli che i media avevano indicato come i "protagonisti" di una "staffetta" ai vertici del Pdl, La Russa e Bocchino. Raccontano che Fini abbia assicurato a Berlusconi che "l'organigramma va benissimo così com'è". Questo, fa notare un dirigente dell'ex An, è l'ovvia conseguenza della scelta del "metodo della condivisione delle scelte tra i due leader".

Proprio su questa condivisione i due leader hanno insistito, spiega una fonte. Fini non ha nascosto "i problemi", ha assicurato di volerli "lealmente risolverli" a patto che non vengano "ignorati". Berlusconi ha mostrato disponibilità a "parlarsi spesso", anche una volta a settimana. Per l'ex leader di An, d'altra parte, serve discutere del capitolo giustizia, delle scelte economiche, del rapporto con la Lega, delle riforme e delle scelte interne al Pdl.

14 gennaio 2010

 

 

 

 

Tregua Berlusconi-Fini, il premier attacca l'Udc

14 gennaio 2010

IL PUNTO / Riforme, due ostacoli e una opportunità (di Stefano Folli)

"Dai nostri archivi"

La Russa: più contatti tra Fini e Berlusconi

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"Più collegialità": Fini pronto a muovere le sue truppe

Fini vede Berlusconi: su giustizia e riforme intesa con l'opposizione

Lo descrivono come "furioso" con l'Udc. Raccontano che lui si sia detto stufo della "politica dei due forni dell'Udc". E' un Silvio Berlusconi infuriato quello dialoga a pranzo con Gianfranco Fini, Ignazio La Russa e Italo Bocchino, insieme a Gianni Letta: "Ora quelli mi hanno stufato, pensano di allearsi con noi solo dove si vince? Allora basta, basta intese con loro".

Le agenzie di stampa riportano che lo sfogo guardi avanti, non comprenda le alleanze già siglate, ad esempio nel Lazio. Tanto che, come spiegato da La Russa, se pure Fini definisce inaccettabile la politica dei due forni, non considera la rottura come la strada giusta da percorrere con Casini.

Ma non solo di questa si è parlato, come riferiscono alcune fonti. Delle incomprensioni del passato, del "metodo" per il futuro. Anche perché Fini aveva a cuore un punto: bisogna evitare "gli scontri istituzionali". La premessa del presidente della Camera è che il rapporto tra la giustizia e Berlusconi è stato segnato da una sorta di "un'insistenza" nel corso degli ultimi 15 anni. Ma nell'affrontare e "risolvere" il dossier giustizia non bisogna seguire la strada dei provvedimenti di "corto respiro", privilegiando la concordia istituzionale e la via delle riforme.

Quanto all'organigramma, è curioso che al faccia a faccia fossero presenti quelli che i media avevano indicato come i "protagonisti" di una "staffetta" ai vertici del Pdl, La Russa e Bocchino. Raccontano che Fini abbia assicurato a Berlusconi che "l'organigramma va benissimo così com'è". Questo, fa notare un dirigente dell'ex An, è l'ovvia conseguenza della scelta del "metodo della condivisione delle scelte tra i due leader".

Proprio su questa condivisione i due leader hanno insistito, spiega una fonte. Fini non ha nascosto "i problemi", ha assicurato di volerli "lealmente risolverli" a patto che non vengano "ignorati". Berlusconi ha mostrato disponibilità a "parlarsi spesso", anche una volta a settimana. Per l'ex leader di An, d'altra parte, serve discutere del capitolo giustizia, delle scelte economiche, del rapporto con la Lega, delle riforme e delle scelte interne al Pdl.

14 gennaio 2010

 

 

 

 

 

 

 

ECONOMIA&LAVORO

ILSOLE24ORE.COM > Notizie Economia e Lavoro ARCHIVIO

Tremonti: "Il fisco non è

13 gennaio 2010

Giulio Tremonti (Ansa)

Berlusconi: "La crisi non consente di ridurre le tasse"

RADIO 24

Berlusconi sulle tasse

RADIO 24

Berlusconi sul quoziente familiare

Entrate tributarie in calo: - 14,9 miliardi nei primi 11 mesi del 2009

VIDEO

La conferenza stampa di Berlusconi

Governo battuto alla Camera su una mozione del Pd sul lavoro al Sud

"Dai nostri archivi"

Dentro il labirinto degli sconti Irpef

L'Italia sotto il sole

Tremonti: "Dopo la Finanziaria fondamentale la riforma fiscale"

IL TAGLIO DELL'IRAP / Una mossa giusta, ora diventi realtà

Tremonti: "Gestire la crisi prova nella psiche e nel fisico"

Un fisco "rattoppato", ingiusto, da cambiare. "Dobbiamo porci la sfida di un grande cambiamento del sistema fiscale: l'ideale sarebbe un sistema efficace e giusto, quello che c'è adesso non è tanto efficace e non è neanche tanto giusto". Così il ministro dell'Economia Giulio Tremonti intervenendo a "Porta a Porta" che andrà in onda stasera. Il ministro ha ricordato che "il sistema fiscale italiano é tremendamente complicato, ci sono oltre 140 modi di prelevare e dedurre". Ci sono sovrapposizioni incredibili, interventi che si sono accumulati negli anni. "Ora stiamo facendo la Tac al sistema fiscale - ha aggiunto - poi dal dibattito verranno fuori le ipotesi". Dibattito che, ha confermato Tremonti, sarà "molto aperto, ai sindacati, a Confindustria, alle sedi accademiche, ai tecnici del Parlamento e alla Commissione europea". Si comincerà all'Aquila, alla caserma della Gdf di Coppito.

 

Niente follie sulla riforma fiscale. "Dobbiamo studiare seriamente, non possiamo fare stupidate o follie", ha detto Tremonti. Il ministro ha poi detto che Berlusconi è stato molto chiaro nel dire che la riforma non è propaganda in vista delle regionali. "Gli impegni - ha detto il numero uno di via XX Settembre - sono subordinati a tre condizioni: la crisi, la tenuta dei conti pubblici e la compatibilità con l'Europa". Il ministro ha poi ribadito che il governo nonostante la crisi non ha aumentato le tasse ai cittadini. "Non abbiamo messo le mani in tasca agli italiani, non abbiamo aumentato le tasse, anche se durante la crisi è aumentata la tensione".

Tassazione delle rendite finanziarie da affrontare con prudenza. Il tema della tassazione delle rendite finanziarie "credo che sia lungimirante, uno dei grandi temi su cui andare, ma con prudenza". Il ministro ha ricordato che le tasse sui depositi bancari sono al 27%, e il grosso è in mano alle famiglie, quelle sui titoli pubblici e sulle obbligazioni private al 12,5%, ma una quota enorme è in mano ai '"lordisti" che però pagano le tasse all'estero. "Una grossa quota sta in mano comunque alle famiglie. Bisogna essere prudenti perchè quando si dice rendite finanziarie, queste non sono in mano a uno gnomo di Zurigo, ma parli di una famiglia con i suoi risparmi".

Difficile tornare indietro sull'Irap. L'Irap è "un'imposta che ha sostituito altri tributi, non so se è stata una scelta intelligente ma adesso tornare indietro è difficile". Tremonti ha messo l'Irap tra le tasse che hanno "peggiorato" il sistema fiscale italiano. "Il fisco - ha affermato - è stato continuamente rattoppato, in parte peggiorato con l'Irap, in parte migliorato con il 5 per mille".

Scudo fiscale: proroga legata alle difficoltà del rimpatrio. L'operazione scudo fiscale che si è chiusa il 15 dicembre, ha detto Tremonti, "è andata molto bene, non sono solo stati dichiarati" i capitali, ma "sono anche stati riportati" in Italia. Ora dalla riapertura dei termini si attendono nuovi capitali. Il ministro ha anche spiegato la decisione di riaprire di termini: "Molti hanno deciso di rimpatriare, ma hanno avuto difficoltà: più tempo vuol dire più soldi, e non solo li dichiari, ma li riporti. L'operazione scudo, ha commentato il ministro, "da noi è andata molto bene" e intanto "è iniziata e continua la lotta ai paradisi fiscali".

Il sistema Italia tiene. Tremonti ha quindi sottolineato che "il sistema Italia ha tenuto finora piuttosto bene". E in particolare il ministro ha ricordato che "nel 2010 la Repubblica italiana dovrà emettere 480 miliardi di titoli di Stato, vuol dire ogni giorno 2 miliardi sul mercato. Questo presuppone l'affidabilità e la tenuta dell'Italia".

Qualcosa si muove nella lotta all'evasione. Nonostante il bollettino mensile del Dipartimento delle politiche fiscali del ministero dell'Economia oggi abbia attestato che nel periodo gennaio-novembre 2009 le entrate tributarie mostrano un calo di 14,961 miliardi di euro (-3,9%) rispetto allo stesso periodo del 2008, il ministro ha detto che le entrate fiscali "tengono", ricordando che "nel 2008 sono un po' cresciute". Ha poi sottolineato che sul fronte della lotta all'evasione fiscale "qualcosa si muove", contestando le critiche dell'opposizione che ritiene che le entrate crollano perchè è aumentata l'evasione.

Fondamentale la riforma della giustizia. La riforma della giustizia, ha detto il ministro a "Porta a porta", è un tema fondamentale perché "non si può lavorare nelle condizioni in cui siamo".

13 gennaio 2010

 

 

 

 

Berlusconi: "La crisi non consente di ridurre le tasse"

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13 gennaio 2010

VIDEO / La conferenza stampa di Berlusconi

"Si impone una semplificazione di tutto il sistema tributario, ma sarà un lavoro lungo, duro. Spero che possa essere sufficiente un anno, ma è un lavoro davvero improbo". Così il premier Silvio Berlusconi nel corso della conferenza stampa al termine del primo Consiglio dei ministri del 2010. "L'attuale situazione di crisi – ha detto il premier - non permette nessuna possibilità di riduzione delle imposte". L'attuale debito pubblico comporterà, solo di interessi, una spesa di 8 miliardi di euro all'anno. "In questa situazione - ha sottolineato il premier - è fuori discussione poter pensare a un taglio delle imposte".

In futuro il quoziente familiare. Il Cavaliere ha ribadito che "il quoziente familiare resta un nostro impegno, ma purtroppo non c'è nessuna possibilità che questo possa avvenire", rispondendo così a coloro che oggi ricordano come questo metodo di tassazione fosse nel programma elettorale del centrodestra. "È un fatto di giustizia e di semplificazione - ha detto Berlusconi -, é la direzione prima su cui in futuro potremo convogliare una evetuale decisione sul calo dele tasse".

 

Attacchi di alcuni Pm anche peggio di Tartaglia. Dopo aver parlato degli "altri

politici che ancora ci considerano degli usurpatori" e dalla politica delle "risse da pollaio in tv", Berlusconi lancia l'affondo alla magistratura. "Mi attaccano sul piano politico e, lo vedete, sul piano giudiziario le aggressioni sono parificabili a quelle di piazza del Duomo, se non peggio".

Nessun decreto sospendi-processi. Il Consiglio dei ministri non ha emanato il decreto legge per sospendere i processi nel caso in cui l'imputato voglia accedere al rito abbreviato "perché siamo arrivati alla conclusione che la sentenza 333 della Corte Costituzionale possa essere applicata direttamente dai giudici senza bisogno di un'interpretazione del governo attraverso un atto legislativo". Il premier non ha risparmiato una battuta: "Leggendo su alcuni giornali che c'era in programma un dl blocca processi, ho detto che ci vorrebbe un dl blocca calunnie perché questa è l'attività di molti giornali rispetto all'operato del Governo".

Il piano carceri è una soluzione che durerà nel tempo. "In passato si sono fatti condoni eamnistie, noi vogliamo creare una situazione che duri nel tempo". Questo il senso del piano carceri varato dal Consiglio dei ministri. Una "decisione importante - ha detto il Cavaliere - su un problema che assedia ilnostro paese da sempre: il numero di detenuti. Ieri notte c'é stato un record: sono 66.670 Le persone che hannodormito nelle carceri italiane, in situazioni che uno statocivile non può più tollerare", in particolare per le "condizioni igieniche".(N.Co.)

13 gennaio 2010

 

 

 

 

Governo battuto alla Camera su una mozione del Pd sul lavoro al Sud

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13 gennaio 2010

"Dai nostri archivi"

Banche: Governo ancora battuto, passa mozione Pd

Sì alla mozione Franceschini che allenta i vincoli di spesa dei Comuni

Il Senato respinge le mozioni per la richiesta di dimissioni di Cosentino

Dal Pd un emendamento per abrogare il legittimo impedimento

Lodo Alfano, respinte le mozioni Franceschini e Di Pietro

 

Il governo è stato battuto alla Camera nelle votazioni sulle mozioni per l'occupazione al Sud. L'Aula ha approvato la parte del documento presentato dal Pd su cui l'esecutivo, con il sottosegretario al Welfare Pasquale Viespoli, aveva dato parere negativo.

Il Governo é stato battuto sull'impegno "a finanziare un piano volto a inserire nel mercato del lavoro almeno 100mila giovani diplomati e laureati delle otto regioni del Mezzogiorno mediante stage presso imprese private, a tal fine prevedendo un compenso mensile a carico dello Stato per un periodo non inferiore a sei mesi, cui aggiungere un incentivo di 3mila euro a favore dell'azienda in caso di assunzione a tempo indeterminato".

Su questa parte Viespoli aveva proposto una riformulazione come condizione per dare parere favorevole, revisione che non era stata accettata dal primo firmatario della mozione, Sergio D'Antoni. Parere negativo anche sul secondo punto della mozione del Pd, dove si chiedeva di "reintegrare le risorse impegnate del Fondo per le aree sottoutilizzate per destinarle a un programma mirato al rilancio del tessuto produttivo meridionale e, conseguentemente, dei livelli occupazionali del Mezzogiorno, ripristinando a tal fine un meccanismo di fiscalità di

sviluppo concreto ed efficace quale é l'automatismo del credito d'imposta per i nuovi investimenti nel Mezzogiorno".

Sì anche sul terzo impegno, al quale il governo aveva dato il suo assenso: "Predisporre in tempi

rapidi un piano organico di riforma degli ammortizzatori sociali, che includa lavoratori a progetto, parasubordinati, lavoratori atipici e le altre categorie contrattuali attualmente escluse da ogni copertura, garantendo almeno il 60% del reddito percepito nell'ultimo anno". Le parti della mozione Pd approvate con parere contrario dell'Esecutivo hanno ricevuto 269 voti favorevoli e 257 contrari. In tutte le altre votazioni l'Aula ha seguito le indicazioni del Governo, come nel caso della mozione dell'Idv, parzialmente respinta.

13 gennaio 2010

 

 

 

Entrate tributarie in calo: - 14,9 miliardi nei primi 11 mesi del 2009

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13 gennaio 2010

Riforma fiscale: dentro il labirinto degli sconti Irpef

di Marco Mobili

COMMENTI

Le vostre proposte per semplificare il fisco

Bankitalia, scende il debito pubblico a novembre: 1.783 mld

"Dai nostri archivi"

Entrate tributarie in calo del 3,4% nei primi dieci mesi

Entrate fiscali in lieve calo: -2,9 0n sette mesi

Ma il gettito chiude debole: l'Iva rallenta, giù Ires e Irap

Ancora in calo le entrate tributarie: nel periodo gennaio-agosto -2,5% rispetto al 2008

Fisco, entrate record nei primi 11 mesi. Ires +28,1 per cento

Entrate tributarie in calo nel periodo gennaio-novembre dello scorso anno. Lo attestano gli ultimi dati del Dipartimento delle Finanze del ministero dell'Economia: sono scese del 3,9% su base annua, pari a -14,9 miliardi.

L'effetto è sostanzialmente imputabile all'andamento delle imposte dirette, Ires e Ire, ed è giustificato sia dalla rateizzazione delle imposte versate in autoliquidazione, sia dal deterioramento del ciclo economico e dalla conseguente riduzione della base imponibile e, quindi, del gettito.

In particolare, spiegano alle Finanze, l'andamento dell'Ires è attribuibile anche al meccanismo dei versamenti dei saldi e degli acconti, nonchè al dispiegarsi degli effetti dell'entrata in vigore della riforma Ires e del regime fiscale dei contribuenti minimi (Legge finanziaria per il 2008). Quanto all'Ire, il suo andamento riflette sia il calo dell'imposta autoliquidata, sia la variazione negativa delle ritenute da lavoro dipendente che evidenziano una buona tenuta anche in

presenza di una contrazione del gettito ascrivibile agli effetti della crisi sul mercato del lavoro.

13 gennaio 2010

 

 

 

 

 

Giustizia, via libera al piano carceri e allo stato di emergenza

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13 gennaio 2010

PILLOLA POLITICA / Tensione Berlusconi-Fini: il vascello giustizia torna in alto mare (di Emilia Patta)

Processo breve: Ddl in Senato. Nuovo scontro sulla giustizia

Da febbraio si sperimenta il processo telematico tributario

"Dai nostri archivi"

Piano carceri in Cdm, Alfano: chiederò lo stato di emergenza

Carceri sovraffollate, detenuti in protesta

Napolitano: "Carceri affollate, prezioso il lavoro della Polizia penitenziaria"

Berlusconi: "La crisi non consente di ridurre le tasse"

Cdm, via libera al piano carceri

 

Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al piano carceri e alla dichiarazione dello stato di emergenza nei penitenziari italiani sovraffollati (64.990 detenuti, a ieri, contro una capienza regolamentare di 44.066 posti). Il piano predisposto dal ministro della Giustizia Angelino Alfano prevede lavori di edilizia penitenziaria con la costruzione di nuovi istituti e nuovi padiglioni per portare la capienza a 80mila posti; detenzione domiciliare ai condannati per reati non gravi ai quali resta da espiare un anno; assunzione di 2mila agenti penitenziari.

Nessun decreto legge sospendi-processi. Sul tavolo del primo Consiglio dei ministri del 2010 non c'è stato il decreto legge sospendi-processi ventilato ieri. Aveva provocato una bagarre in aula al Senato il solo annuncio del provvedimento, che avrebbe previsto la sospensione di tre mesi dei processi durante i quali non sia stata data la possibilità all'imputato di chiedere il rito abbreviato, in presenza di una nuova contestazione del Pm avvenuta durante il procedimento, come previsto dalla sentenza 333 della Corte Costituzionale del 14 dicembre scorso. Riteniamo, ha detto il premier Berlusconi che "la sentenza possa essere applicata direttamente senza bisogno di interpretazione".

Entro fine gennaio il piano antimafia. Entro fine gennaio arriverà un piano anti-mafia. "Il Consiglio dei ministri - ha sottolineato il ministro dell'Interno Roberto Maroni - entro fine gennaio terrà una seduta straordinaria in Calabria per discutere e approvare il piano antimafia messo a punto da me e dal ministro Alfano". (N.Co.)

13 gennaio 2010

 

 

Tensione Berlusconi-Fini: il vascello giustizia torna in alto mare

di Emilia Patta

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13 gennaio 2010

Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi (Ansa)

"Dai nostri archivi"

Processo breve: Ddl in Senato Nuovo scontro sulla giustizia

Il ritorno di Berlusconi: avanti sulla giustizia, aspettando le regionali

Dal Pd un emendamento per abrogare il legittimo impedimento

Berlusconi: "La crisi non consente di ridurre le tasse"

Berlusconi attacca il "partito dei giudici", l'attendismo di Fini

 

Salta il decreto-legge sospendi-processi che avrebbe dovuto bloccare per tre mesi i processi nei quali – come da recente sentenza della Consulta – è cambiata l'imputazione durante il dibattimento. E salta perché, nella mediazione Napolitano-Fini con Palazzo Chigi, i tre mesi si sono ridotti a 45 giorni. Tempo non sufficiente, dunque, a garantire al premier l'agognata tranquillità almeno fino alle regionali di marzo. Il vascello giustizia torna dunque in alto mare. Con il processo breve tornato in commissione per l'esame delle novità introdotte per "ammorbidire" il testo agli occhi di Pd e Udc, che tuttavia continuano a non volerne sapere; e con l'ennesima proposta di un vulcanico Berlusconi: il governo è pronto a ripresentare la norma che impedisca il processo di appello in caso di assoluzione.

Una sorta di legge Pecorella, insomma, che per la verità è già stata bocciata dalla Corte costituzionale nel 2007 e rinviata alle Camere dall'allora presidente della Repubblica Ciampi. Riedizione della legge Pecorella a parte, le strade per il premier restano le due già conosciute: processo breve o legittimo impedimento. Ma a segnalare il peggioramento del clima in Parlamento è la posizione dell'Udc, che ha firmato con il Pdl la proposta di legge sul legittimo impedimento come norma-ponte per un lodo Alfano bis. "Se il premier insiste sul processo breve – ha detto Michele Vietti in un'intervista a Repubblica – l'accordo con l'Udc salta: diremo no al legittimo impedimento".

Sullo sfondo il dissidio con Fini, dissidio ormai destinato a segnare come un filo rosso questa legislatura. Berlusconi non ha gradito ovviamente "l'imposizione" del dimezzamento da 90 a 45 giorni per quanto riguarda il ventilato e subito ritirato decreto sospendi-processi, né ha gradito l'ennesima esternazione del presidente della Camera nonché cofondatore del Pdl sul ruolo del Parlamento ("no a prevaricazioni da parte dell'esecutivo") e sulla legittimazione democratica ("non è data solo dalle urne"): la colazione di domani tra i due servirà a dissipare almeno in parte le ombre e a sbrogliare la matassa giustizia. Anche se gli uomini vicini al premier mettono in forse che l'atteso chiarimento ci sia proprio domani...

13 gennaio 2010

 

 

 

Giustizia, via libera al piano carceri e allo stato di emergenza

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13 gennaio 2010

PILLOLA POLITICA / Tensione Berlusconi-Fini: il vascello giustizia torna in alto mare (di Emilia Patta)

Processo breve: Ddl in Senato. Nuovo scontro sulla giustizia

Da febbraio si sperimenta il processo telematico tributario

"Dai nostri archivi"

Piano carceri in Cdm, Alfano: chiederò lo stato di emergenza

Carceri sovraffollate, detenuti in protesta

Napolitano: "Carceri affollate, prezioso il lavoro della Polizia penitenziaria"

Berlusconi: "La crisi non consente di ridurre le tasse"

Cdm, via libera al piano carceri

 

Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al piano carceri e alla dichiarazione dello stato di emergenza nei penitenziari italiani sovraffollati (64.990 detenuti, a ieri, contro una capienza regolamentare di 44.066 posti). Il piano predisposto dal ministro della Giustizia Angelino Alfano prevede lavori di edilizia penitenziaria con la costruzione di nuovi istituti e nuovi padiglioni per portare la capienza a 80mila posti; detenzione domiciliare ai condannati per reati non gravi ai quali resta da espiare un anno; assunzione di 2mila agenti penitenziari.

Nessun decreto legge sospendi-processi. Sul tavolo del primo Consiglio dei ministri del 2010 non c'è stato il decreto legge sospendi-processi ventilato ieri. Aveva provocato una bagarre in aula al Senato il solo annuncio del provvedimento, che avrebbe previsto la sospensione di tre mesi dei processi durante i quali non sia stata data la possibilità all'imputato di chiedere il rito abbreviato, in presenza di una nuova contestazione del Pm avvenuta durante il procedimento, come previsto dalla sentenza 333 della Corte Costituzionale del 14 dicembre scorso. Riteniamo, ha detto il premier Berlusconi che "la sentenza possa essere applicata direttamente senza bisogno di interpretazione".

Entro fine gennaio il piano antimafia. Entro fine gennaio arriverà un piano anti-mafia. "Il Consiglio dei ministri - ha sottolineato il ministro dell'Interno Roberto Maroni - entro fine gennaio terrà una seduta straordinaria in Calabria per discutere e approvare il piano antimafia messo a punto da me e dal ministro Alfano". (N.Co.)

13 gennaio 2010

 

 

 

 

 

Dentro il labirinto degli sconti Irpef

di Marco Mobili

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12 gennaio 2010

Deduzioni dal reddito complessivo

Tutte le detrazioni

COMMENTI / E voi che fisco volete

"Dai nostri archivi"

Sconti Irpef/ Detrazioni a importo fisso

Sconti Irpef/ Detrazioni al 55%

Sconti Irpef/ Detrazioni al 36%

Sconti Irpef/ Detrazioni al 20%

Sconti Irpef/ Detrazioni al 19%

ROMA - Occupano 22 pagine di istruzioni del modello semplificato 730 che i contribuenti utilizzeranno quest'anno. Sono tutte racchiuse in un solo quadro (chiamato E), ma sparpagliate in 7 sezioni. Tra riduzioni di reddito (deduzioni) e sconti di imposta (detrazioni) sono circa un'ottantina le voci messe a disposizione delle persone fisiche per ridursi il prelievo Irpef.

Si tratta, come mostra il tabellone qui accanto, di una selva oscura in cui spesso faticano a muoversi gli stessi professionisti del settore. Occorre avere dimestichezza con franchigie, ricevute, bonifici bancari, familiari a carico e no, solo per citare alcuni dei mille vincoli imposti dagli attuali bonus del fisco. Persino cercare di contarle porta il rischio di commettere errori.

Ma lo stesso accade anche in fase di pagamento delle imposte e di dichiarazione, quando si ha diritto ad utilizzare tanto le detrazioni quanto gli oneri deducibili. Con la differenza, in questo secondo caso, che anche il semplice errore di indicazione in un rigo o un calcolo sbagliato per un limite non rispettato fanno scattare le sanzioni del fisco.

Ancor prima del confronto sulle aliquote e i nuovi scaglioni su cui far correre l'Irpef del futuro, i primi passi della riforma fiscale dovranno necessariamente orientarsi su una forte rivisitazione e soprattutto semplificazione di tutti gli sconti Irpef oggi esistenti. E infatti la stessa riforma del 2003 ipotizzata nella legge delega 80 proposta da Giulio Tremonti (già all'epoca ministro delle Finanze) nel prevedere il passaggio a sole due aliquote del 23 e 33% puntava tutto su una radicale rimodulazione delle detrazioni in funzione delle deduzioni. In sostanza: pochi sconti, ma buoni.

Oggi, ad esempio, le detrazioni per carichi di famiglia non riescono ad agire a pieno regime nei nuclei con redditi più bassi. Peraltro con grande difficoltà di applicazione. Al contrario, i contribuenti Irpef, dal punto di vista della quantità, possono contare su una variegata gamma di riduzioni. Ad esempio per le riduzioni d'imposta: ce ne sono ormai per un gran numero di spese, suddivise in oneri che danno riduzioni d'Irpef al 19, al 20, al 36 e al 55%, ognuna con sue regole e suoi limiti. Ci sono detrazioni per i cani guida (non più di 516,46 euro l'anno), così come quelle più recenti per l'attività fisica dei ragazzi da 5 a 18 anni (nel limite massimo di 210 euro) o quelle per gli abbonamenti al trasporto pubblico locale (non superiori a 250 euro, anche per familiari a carico). O ancora le detrazioni per spese veterinarie, per la quali va calcolata la franchigia – cioé la parte di spese che non viene rimborsata – nonché il limite di 387,34 euro l'anno.

Se si prova a dividere gli sconti erogati, anche nei limiti massimi concessi, i vantaggi per il contribuente sono pari a pochi spiccioli al giorno. La stessa cosa si potrebbe dire anche per alcuni oneri deducibili, ovvero i costi che riducono il reddito da tassare: si pensi ai contributi per colf e badanti, ormai presenze fisse in moltissime famiglie e a costi non certo ridotti; così come i contributi per la previdenza complementare. Inoltre non sono pochi gli sconti che il fisco concede, ma ancorati a valori datati e mai rivalutati nel corso degli anni. Dunque con un valore reale in termini di spese sostenute di fatto svalutato.

Solo recentemente, ad esempio, è stato modificato il limite massimo per gli interessi passivi pagati dai cittadini per l'acquisto dell'abitazione principale, elevandolo a 4.000 euro. Ma, molto più spesso, di legislatura in legislatura e di finanziaria in finanziaria, si è preferito introdurre un nuovo sconto piuttosto che adeguare un limite d'importo, per quanto datato.

Altro forte elemento di criticità, sottolineato più volte dallo stesso ministro Tremonti, è la difficoltà nell'utilizzare detrazioni e deduzioni. Per rimanere sugli interessi passivi per mutui o oneri contratti per l'abitazione principale se ne contano cinque. Occorre conoscere l'anno di stipula del contratto di mutuo o delle motivazioni per cui si è sottoscritto il finanziamento, che possono andare dall'acquisto alla manutenzione dell'immobile, fino anche alla sicurezza statica.

Un capitolo a parte, anche nelle stesse istruzioni al modello 730, meritano le spese sanitarie da distinguere tra quelle chirurgiche, specialistiche o per prestazioni di medicina generale. Senza dimenticare scontrini, codici fiscali da mostrare e tanto altro, come bonifici, comunicazioni di inizio lavori se si lascia il sentiero delle spese mediche e ci si addentra in quello delle detrazioni per mobili, frigoriferi (al 20%) o le tanto amate riduzioni Irpef per ristrutturazioni (36%) o il risparmio energetico (55%).

12 gennaio 2010

 

 

 

 

 

 

2010-01-12

Piano carceri in Cdm, Alfano: chiederò lo stato di emergenza

12 gennaio 2010

Palamara, Anm: "Il processo breve metterà in ginocchio la giustizia"

"Dai nostri archivi"

Alfano: "La politica delle espulsioni non riesce a decollare"

Emergenza carceri: in arrivo quasi 18mila nuovi posti dietro le sbarre

Il ritorno di Berlusconi: avanti sulla giustizia, aspettando le regionali

Cdm, via libera al piano carceri

Carceri sovraffollate, detenuti in protesta

Capienza delle carceri italiane a 80mila posti e 2mila nuovi agenti di polizia penitenziaria. Questi i numeri del piano carceri, che sarà presentato domani in Consiglio dei ministri del Guardasigilli Angelino Alfano. "Domattina presenterò in Consiglio dei ministri, insieme alla richiesta di stato di emergenza, un piano delle carceri", ha detto il ministro in aula alla Camera durante l'esame delle mozioni sulla situazione carceraria.

Piano carceri con 3 pilastri. Tre i pilastri portanti del piano carceri: un piano di edilizia carceraria "che ponga il nostro paese al livello delle sue necessità portando i posti negli istituti a 80 mila"; norme di accompagnamento "che attenuino il sistema sanzionatorio per chi deve scontare un piccolissimo residuo di pena"; un incremento di 2mila unità per gli agenti di polizia penitenziaria per "migliorare il sistema complessivo delle nostre carceri". Alfano ha sottolineato che in 18-20 mesi il governo "ha già realizzato 1.600 nuovi posti" nelle carceri "con grandi sforzi", sottolineando che "nei dieci anni precedenti ne sono stati creati circa 1.600".

Franceschini: il governo non abusi di ordinanze. Il capogruppo del Pd alla Camera Dario Franceschini ha chiesto la garanzia che la dichiarazione dello stato di emergenza non venga messa in campo per utilizzare lo strumento dell'ordinanza in deroga alle disposizioni legislative. La dichiarazione dello stato di emergenza per le carceri, ha risposto Alfano, "non é il preludio di un abuso". Per Alfano, si tratta, invece, "di uno strumento di efficienza. Nel 2010, partendo dal presupposto che nei due anni precedenti c'é stato un saldo attivo di incremento della popolazione detenuta di 700 unità al mese, intendiamo realizzare un numero di posti che ci consenta di tamponare l'emergenza".

Perplessità federaliste sul Garante nazionale dei detenuti. "Manifesto delle perplessità federaliste sulla figura del garante nazionale dei detenuti", ha detto Alfano. Per il Guardasigilli ci sono già le figure dei garanti regionali: "approfondiremo per evitare sovrapposizioni tra il garante nazionale e i garanti regionali". (N.Co.)

12 gennaio 2010

 

 

 

 

 

Palamara, Anm: "Il processo breve metterà in ginocchio la giustizia"

12 gennaio 2010

"Dai nostri archivi"

Benvenuti nel paese dove i processi non finiscono mai

Verso il lodo Alfano bis, ma il Pdl è pronto ad aprire sull'immunità parlamentare

Processi brevi, l'Anm accusa: "Il 50% in prescrizione". Alfano: "Clamoroso abbaglio"

Sulla giustizia Schifani e Mancino invitano ad abbassare i toni

Cittadinanza: stop al ddl fino alle regionali

 

Il processo breve metterà in ginocchio la giustizia italiana. Il presidente dell'Associazione nazionale magistrati (Anm), Luca Palamara, ribadisce il giudizio estremamente negativo che il sindacato delle toghe dà del ddl sul processo breve, che inizia oggi il suo iter in aula al Senato. Il provvedimento, dice Palamara, "rischia di mettere in ginocchio la già disastrata macchina giudiziaria", perché "non dà giustizia alle vittime dei reati e garantisce l'impunità a chi commette fatti delittuosi". Del resto, "per come è combinata la macchina giudiziaria - fa infatti notare il leader dell'Anm - non potremo mai definire i processi nei tempi indicati dal legislatore. Noi per primi vogliamo una riforma reale della giustizia che tenga conto degli interessi dei cittadini e consenta di dare un servizio credibile".

Il Pd chiede il ritorno in commissione del provvedimento. Intanto in Parlamento la capogruppo del Pd al Senato, Anna Finocchiaro, chiede di far tornare il testo di nuovo all'esame della commissione. "Non credo proprio che ci siano le condizioni per far tornare il ddl sul processo breve in commissione – le risponde a distanza il presidente della commissione Giustizia del Senato, Filippo Berselli -. Penso, però, che una soluzione di compromesso potrebbe essere quella di dare all'opposizione tempi adeguati per presentare in aula i loro sub-emendamenti". Per Berselli in aula ci sarà la possibilità di discutere il provvedimento in modo approfondito.

Schifani: giustizia e riforme procedano su binari separati. Il presidente del Senato Renato Schifani sottolinea che giustizia e riforme devono procedere su binari "paralleli e separati", per evitare che i contrasti tipici della legislazione ordinaria si ripercuotano sulle riforme costituzionali con il rischio di pregiudicarne il corso. Schifani non ha voluto fare previsioni sull'atteggiamento che potranno assumere le opposizioni in aula sul "processo breve", soprattutto dopo le parole del segretario del Pd Bersani che ancora ieri aveva ammonito la maggioranza a ritirare i provvedimenti sulla giustizia per non mandare gambe all'aria il confronto sulle riforme.

Otto gli emendamenti depositati dal relatore. Sono 8 in tutto gli emendamenti sul processo breve, depositati dal relatore del provvedimento, Giuseppe Valentino (Pdl). Fra le novità c'è una diversa e più ampia scansione temporale dei tempi del processo prima della sua estinzione, legata anche alla gravità dei reati, in particolare per quelli di terrorismo e mafia. Poi arriva l'eliminazione delle esclusioni soggettive e oggettive per evitare problemi di costituzionalità e una distinzione nelle norme transitorie tra reati commessi prima o dopo il 2 maggio 2006 per l'applicazione immediata delle disposizioni del processo breve o meno, con la conferma che, se sono trascorsi più di due anni dall'elevazione dei capi di imputazione senza un giudizio, i procedimenti interessati vengono annullati. L'emendamento 2.1000 stabilisce che per "violazione della durata ragionevole del processo", il procedimento per i reati sotto i 10 anni, dal momento in cui il pm "esercita l'azione penale", si estingue dopo 3 anni per il primo grado, 2 anni per il secondo e un anno e 6 mesi per la Cassazione. Inoltre, in caso di annullamento della cassazione con rinvio al tribunale o in appello si prevede un anno per ogni grado di giudizio. Una diversa scansione temporale è prevista "per quei reati pari o sopra i 10 anni. Non più 3 ma 4 anni in primo grado, 2 anni in secondo e un anno e 6 mesi in Cassazione". Per quanto riguarda i reati di terrorismo e mafia, invece, i termini salgono a 5 anni per il primo grado, 3 per il secondo e 2 anni per la Cassazione. Qui, però, il giudice ha la facoltà di prorogare questi termini di un terzo in caso di processi molto complessi e vi sia un elevato numero di imputati.

Di Pietro: la riforma tributaria è il miele sull'olio di ricino del processo breve. La riforma tributaria è "il miele sul cucchiaino per l'olio di ricino del processo breve e del legittimo impedimento". Questo scrive Antonio Di Pietro sul suo blog. "Magari fossi prevenuto quando penso che Berlusconi non può permettersi una riforma tributaria "reale" visti i 10 miliardi di debito pubblico mensili del 2009. Magari fossi prevenuto quando penso che di riforme tributarie, di aliquote semplificate, ridotte, leggere, semplici, eque, larghe, strette, alte e magre ne ha dichiarate in tutte le salse dal `94 senza averle mai realizzate. Magari fossi prevenuto quando penso che la riforma tributaria è il miele sul cucchiaino per l'olio di ricino del processo breve e del legittimo impedimento. Magari fossi prevenuto quando associo lo squillar di trombe riformiste alle elezioni regionali, salvo poi sentire il tamburellare del boia a urne chiuse per annunciare nuovi tagli alle pensioni, gli innalzamenti di aliquote, nuovi bolli, bollini, imposticelle dettate da un rigore doveroso per il perdurare della crisi. Magari fossi prevenuto, ma sono pronto a scommettere che mi troverò quanto prima in Parlamento a votare l`ennesima fiducia di una legge "ad personas", ossia utile al club degli impuniti di governo e poi, semmai, in mezzo a una selva di "se e forse", la riforma tributaria". Di Pietro dice di avere il presentimento (o la certezza) "che sarà la cruda realtà a deludere chi una riforma tributaria reale se l'aspettava nel 2010". (N.Co.)

12 gennaio 2010

 

 

 

 

 

2010-01-11

Fisco, Berlusconi: "Riforma nel 2010? Spero di sì"

11 gennaio 2010

Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi (Afp)

PILLOLA POLITICA / Il ritorno di Berlusconi: avanti sulla giustizia, aspettando le regionali

di Emilia Patta

LE IMMAGINI / Berlusconi torna a Palazzo Grazioli

Se Berlusconi parla con Repubblica...

Il premier: riforma fiscale con due sole aliquote

Maroni e Brunetta: sì alla riforma del fisco con 2 aliquote al 23 e al 33%

"Dai nostri archivi"

Maroni e Brunetta: sì alla riforma del fisco con due sole aliquote al 23 e al 33%

Il ritorno di Berlusconi: avanti sulla giustizia, aspettando le regionali

Berlusconi: riforma fiscale con due sole aliquote

Giustizia vertice Pdl sulle riforme. Penalisti in sciopero

Alfano: "Avanti con la riforma costituzionale della giustizia"

I tempi della riforma fiscale? "Non lo so, c'è da lavorare, penso però che si possa fare quest'anno. Soprattutto se ci sarà la volontà di tutte le parti penso che si possa fare". Così il premier Silvio Berlusconi, fermandosi a parlare con i cronisti al suo rientro a Roma, dopo lo stop forzato dovuto all'aggressione subita il 13 dicembre a Milano.

Ridurre le aliquote fiscali. La proposta del presidente del Consiglio è di ridurre a due – una al 23 e l'altra al 33% – le aliquote fiscali. "Ora dobbiamo pensare alle riforme: ho lavorato molto sulla riforma fiscale che è fondamentale per ammodernare il paese e su questo credo valga la pena di impegnarsi tutti: ci sono idee molto buone e spero che l'opposizione possa su questo convenire con noi che si tratta di cose indispensabili". Il premier ha anche assicurato che il ministro dell'Economia Giulio Tremonti è d'accordo con la necessità di procedere alla riforma fiscale: "Certo che è d'accordo, ho lavorato con lui". E a chi gli chiedeva se la reintroduzione dell'immunità parlamentare potesse essere una strada per riaprire un dialogo con l'opposizione anche sui temi del fisco, Berlusconi ha risposto: "non lo so".

Nel pomeriggio incontro con Napolitano. Il premier, rientrando nella sua residenza romana di Palazzo Grazioli, ha confermato che nel pomeriggio incontrerà il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Terminato il vertice sulla giustizia. Avanti sulla riforma della giustizia. "Abbiamo deciso di andare avanti - ha detto il Guardasigilli Angelino Alfano al termine del vertice di Palazzo Grazioli - sulla riforma della giustizia: partiranno immediatamente degli incontri all'interno della coalizione per definire un testo di riforma costituzionale della giustizia, la grande riforma della giustizia da sottoporre subito al dibattito parlamentare". Intanto si andrà avanti con i disegni di legge già calendarizzati alla Camera e al Senato, "cioè sul progetto per assicurare tempi certi ai cittadini impelagati nelle maglie della giustizia e sul legittimo impedimento, che non è nient'altro che il diritto a governare".

Il premier: "Leggi ad personam? No ad libertatem". Berlusconi respinge seccamente l'invito del segretario del Pd Pier Luigi Bersani a sgombrare il campo da leggi ad personam sulla giustizia per poter avviare il confronto sulle riforme: "Non voglio parlare di queste cose", ha detto arrivando a Roma. "Sono leggi ad libertatem - ha affermato il premier - e mi indigno soltanto a sentire queste cose. E non voglio indignarmi".

Con Fini una collaborazione leale. Berlusconi ha anche parlato con i giornalisti dei suoi rapporti con il presidente della Camera e cofondatore del Pdl Gianfranco Fini. "Per me non ci sono problemi, ci sono tanti anni di una collaborazione leale, non ho mai avuto dubbi al riguardo".

"Ormai il Duomo te lo tirano addosso". C'è tempo anche per una battuta con i suoi sostenitori. "Ormai questi pezzi hanno perso di valore e te li tirano addosso...", ha detto facendo riferimento all'aggressione subita a Milano, quando ricevette in volto una statuetta del Duomo.

Aggredita in diretta una giornalista del Tg1. Il teledisturbatore Gabriele Paolini ha strattonato e fatto cadere in terra una cronista del Tg1, Sonia Sarno, impegnata nella diretta all'esterno di Palazzo Grazioli. I tecnici della Rai sono riusciti a bloccare i primi attacchi di Paolini per entrare nell'inquadratura. Poi Paolini che si è aggrappato a Sonia Sarno trascinandola e facendola cadere per terra. La cronista ha sfiorato con la testa una fioriera, rischiando un impatto molto pericoloso. Paolini, dopo l'assalto, si é allontanato da via del Plebiscito. La Sarno si è poi recata in commissariato per sporgere denuncia contro Paolini.

11 gennaio 2010

 

 

 

Il ritorno di Berlusconi: avanti sulla giustizia, aspettando le regionali

di Emilia Patta

11 gennaio 2010

"Dai nostri archivi"

Verso il lodo Alfano bis, ma il Pdl è pronto ad aprire sull'immunità parlamentare

Fisco, Berlusconi: "Riforma nel 2010? Spero di sì"

Giustizia vertice Pdl sulle riforme. Penalisti in sciopero

Camere di nuovo al lavoro sotto il segno della giustizia

Alfano: "Avanti con la riforma costituzionale della giustizia"

 

"Leggi ad personam? Mi indigno. Le nostre sono leggi ad libertatem". Tornato a Roma dopo un mese – per la prima volta dopo l'aggressione subita in piazza Duomo a Milano – Silvio Berlusconi riunisce a Palazzo Grazioli il guardasigilli Angelino Alfano e i maggiorenti del Pdl per fare il punto sulla giustizia: avanti con il processo breve, che dovrebbe essere approvato a giorni in prima lettura in Senato in forma "allegerita" per venire incontro alle richieste dell'opposizione; ma soprattutto avanti con il legittimo impedimento, appoggiato anche dall'Udc, con l'obiettivo di arrivare all'approvazione da parte della Camera entro il mese di gennaio.

La presenza della "finiana" Giulia Bongiorno al vertice è segno che il premier vuole mantenere i buoni rapporti ritrovati con Gianfranco Fini nei giorni di Natale. "Con Fini nessun problema – ha detto il premier arrivando nella sua residenza romana di Palazzo Grazioli – sono tanti anni di collaborazione leale alle spalle, io non ho mai avuto dubbi al riguardo". Non solo processo breve e legittimo impedimento: dal vertice è venuto anche il via libera alla riforma costituzionale della giustizia, con la separazione delle carriere del magistrati e la conseguente divisione in due del Csm. Riforma che ha, e non da oggi, il via libera di Fini.

E il partito democratico? "Sul processo breve accoglieremo tutti i principali rilievi dell'opposizione", ha rimarcato il vicepresidente dei senatori Pdl Gaetano Quagliariello al termine del vertice. I pontieri del dialogo sono sempre al lavoro, e va ricordato che il terzo provvedimento su cui punta il premier – dopo processo breve e legittimo impedimento – è la reintroduzione dell'immunità parlamentare, proposta bipartisan di Franca Chiaromonte (Pd) e Luigi Compagna (Pdl).

Per l'intanto, tuttavia, il Pd mantiene la linea del "no alle leggi ad personam". Né potrebbe essere altrimenti, con le regionali alle porte. Ben 70 gli emendamenti presentati al legittimo impedimento, di cui uno soppressivo dell'intero articolato che istituzionalizza l'impossibilità a comparire in udienza, per premier e ministri, per motivi legati all'incarico e alla funzione di governo. Quanto al dialogo, il leader dei democratici Pierluigi Bersani è stato tranchant: "Non siamo per il tanto peggio tanto meglio ma Berlusconi deve sapere che non decide lui quando si fa l'amore e quando si litiga".

Per ora il Pd porta a casa l'intenzione della maggioranza di emendare il processo breve fin quasi a farlo diventare una "normale" legge per ridurre i tempi dei processi come ci chiede l'Europa (innalzamento e rimodulazione dei tempi per i reati più gravi e nessuna distinzione tra recidivi e non recidivi). Per il dialogo vero si aspetta il giorno dopo le regionali.

11 gennaio 2010

 

 

 

 

 

Alfano: "Avanti con la riforma costituzionale della giustizia"

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11 gennaio 2009

Dal Pd emendamento per abrogare il legittimo impedimento

Camere di nuovo al lavoro sotto il segno della giustizia (di Roberto Turno)

Avanti sulla riforma costituzionale della giustizia. Questa la decisione emersa dal vertice sulla giustizia che si è svolto a Palazzo Grazioli. "Partiranno immediatamente degli incontri all'interno della coalizione – ha detto il ministro della Giustizia Angelino Alfano - per definire un testo di riforma costituzionale della giustizia, la grande riforma della giustizia da sottoporre subito al dibattito parlamentare". Un lavoro che avrà tempi rapidi, ha assicurato Alfano, intanto andremo avanti con i progetti di legge già calendarizzati e all'ordine del giorno di Camera e Senato, cioè il processo in tempi certi per i cittadini che si trovano impelagati nelle maglie della giustizia, il cosiddetto processo breve e il legittimo impedimento che per noi nient'altro che il diritto a governare". Alfano ha sottolineato che "l'incontro è andato molto bene e abbiamo riscontrato la consueta coesione nella maggioranza e nella coalizione".

Sì alle modifiche sul processo breve. Il vertice di maggioranza ha dato il placet all'emendamento del senatore Giuseppe Valentino al provvedimento sul processo breve, in discussione al Senato. Il presidente della commissione Giustizia del Senato, Filippo Berselli ha sottolineato che l'emendamento targato Giuseppe Valentino "accoglie in parte i rilievi dell'opposizione. Abbiamo motivo di ritenere che le pressioni che ci sono state da parte delle opposizioni non abbiano più motivo di esistere".

Si è parlato anche di riforma del Csm e separazione delle carriere. Alla riunione si sarebbe parlato anche della più ampia riforma della giustizia comprendente la riforma del Csm e la separazione della carriere tra magistratura giudicante e requirente. Al vertice di maggioranza sulla giustizia, che si è svolto nella residenza romana del premier, oltre a Berlusconi, erano presenti il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, il sottosegretario Gianni Letta e i capigruppo di Camera e Senato del Pdl e della Lega. Al tavolo, per il Carroccio, Roberto Cota e Federico Bricolo, per il Pdl i capigruppo di Camera e Senato Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri e i vice, Italo Bocchino e Gaetano Quagliarello. Presenti anche il ministro della Difesa e coordinatore del Pdl, Ignazio La Russa, il coordinatore del Partito, Denis Verdini e la presidente della Commissione Giustizia della Camera, Giulia Bongiorno. A Palazzo

Grazioli infine anche il senatore del Pdl Carlo Vizzini.

11 gennaio 2009

L'OSSERVATORE ROMANO

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2010-01-04

IL MATTINO

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La GAZZETTA dello SPORT

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CORRIERE dello SPORT

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LA STAMPA

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SORRISI e CANZONI

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WIKIPEDIA

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GENTE VIAGGI

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AUTO OGGI

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QUATTRO RUOTE

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INTERNAZIONALE

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PUNTO INFORMATICO

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IL SECOLO XIX

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IL MANIFESTO

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LE MONDE

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